oggi 25 aprile anniversario della liberazione celebrato in un clima particolare data l'emergenza nazionale. E' interessante andare a vedere le scelte iniziali della Repubblica Sociale Italiana per comprendere la scia di sangue a cui questa data ha posto termine Il Congresso di Verona
La Repubblica Sociale Italiana, come Stato, doveva avere
una sua legge fondamentale, che nell’ottobre 1943 non esisteva. In numerose
occasioni vari esponenti, tra cui Mussolini, avevano annunciato che quanto
prima si sarebbe convocata una Assemblea Costituente per dare un quadro fondante
a tutto lo Stato. Peraltro nel momento in cui si passava dalle intenzioni ai
fatti vi erano grossi problemi formali. Guerra in corso, molta parte del
territorio italiano era controllato da forze considerate nemiche. Quindi non
era il caso di rinviare la convocazione di questa assemblea al termine della
guerra; peraltro si doveva dare un punto di riferimento giuridico formale alla
amministrazione dello Stato che funzionava solo di fatto. A questa Assemblea
dovevano partecipare tutte le componenti della vita pubblica e sociale, ma non
era il caso di formare altri partiti, quindi l’unico partito ammesso era il
Partito Fascista Repubblicano, a questo organismo fu demandata la
organizzazione dell’Assemblea.
Scrive Deakin:
“C’erano è vero alcune importanti tendenze verso un riformismo nel
partito stesso e sintomi di ribellione contro la direzione di una cricca che
aveva tutti i difetti del vecchio apparato del partito. Sia questo
atteggiamento critico sia quel desiderio di revisione dei passati errori si
erano manifestate in assemblee nella città della provincia e sulla stampa
locale. La macchina del partito correva il pericolo di perdere il controllo.
Era quindi essenziale per ragioni tattiche, riportare la discussione al centro,
e aprire, come valvola di sicurezza, una inchiesta ma sotto la guida diretta
degli stessi gerarchi. Questo fu lo scopo del Congresso di Verona e fu compito
e responsabilità personale di Pavolini organizzare il dibattito intorno ad un
manifesto già preparato in cui si raffigurava l’autorità del partito”
Era un'altra truffa verso i suoi
aderenti ed un altro fallimento del fascismo, in cui Mussolini non intendeva minimamente
prendervi parte, rimanendo estraneo ad ogni contrapposizione e non impegnarsi
nemmeno a favore del segretario del partito.
Nelle more della preparazione di
questo evento l’idea di convocare una Assemblea Costituente fu sostituita da
quella di convocare i delegati del ricostruito Partito Fascista Repubblicano di
tutta l’Italia settentrionale. Questo cambiamento rispetto alle intenzioni
aveva un significato molto preciso. Il partito doveva essere al centro dello
Stato. Nonostante un documento preparato da Mussolini, il Manifesto del Partito
fu elaborato negli uffici di Pavolini, e la bozza finale fu sottoposta a
Mussolini che la approvò. Questo documento constatava di 18 punti i quali
dovevano soddisfare richieste contrastanti: si voleva il partito alla guida di
un movimento socialista repubblicano unitario e rispondente al desiderio di
giustizia sociale; nel contempo non concedeva nulla al popolo, alle sue
espressioni, al suo controllo, ma è tutto incentrato in modo ferreo nelle mani
del neonato partito fascista. Il documento stabiliva inoltre che sarebbe stata
convocata una Assemblea Costituente, espressione di un potere di origine
popolare, che avrebbe dichiarato decaduta la monarchia in Italia proclamato la
repubblica sociale e nominato il suo capo, che sarebbe stato scelto dai
cittadini ogni cinque anni. Quindi si introduceva la possibilità, se
l’Assemblea Costituente avesse terminato i suoi lavori, che il Capo poteva
anche cambiare. Ovvero Mussolini poteva anche non essere rieletto dai cittadini,
capo della Repubblica Sociale Italiana.
Interessante notare che uno dei
punti del Manifesto prevedeva che nessun cittadino poteva essere trattenuto
senza un mandato dell’autorità giudiziaria. La religione della Repubblica era
quella Apostolica Romana, con il rispetto degli altri culti. Ma una aggiunta
prevedeva che nel corso di questa guerra gli appartenenti alla razza ebraica
erano considerati nemici. In materia sociale la Repubblica si sarebbe fondata
sul lavoro manuale, tecnico e intellettuale, con l’obbiettivo di risolvere in
modo totale le aspirazioni e le necessità delle classi lavoratrici italiane.
Via via che si leggono gli altri punti emergono fortissime contraddizioni che
oscillavano tra una profonda avversione verso i venti anni di regime, che
purtuttavia era fascismo, ed una volontà di essere puri e duri, ed un ritorno
alle origini non ben definite, ma idealizzate e quasi santificate.
Il 14 novembre 1943 nella sala di
Castelvecchio a Verona si aprì questo congresso presieduto da Pavolini in una
atmosfera di esaltazione, voglia di rinnovare, e paura, nella consapevolezza di
essere una minoranza isolata ed assediata. Il discorso di apertura fu tenuto
dallo stesso Pavolini e si svolse fra continue interruzioni della platea, quasi
un contraddittorio tra il segretario ed i delegati. Poi ci furono gli
interventi variegati che oscillavano tra l’arringa, il velleitarismo, i
desideri ma soprattutto chiedendo vendetta per i “traditori” del 25 luglio, in
primo luogo Galeazzo Ciano.
In questo clima surriscaldato ed
esaltato giunse la notizia che il segretario del Partito di Ferrara era stato
ucciso. Senza approfondire cosa realmente fosse accaduto squadre di fascisti
partirono da Verona e da Padova e compirono la loro rappresaglia, uccidendo 17
persone scelte tra quelle che avevano fama di essere o antifasciste o tiepide
verso i fascisti, per “dare l’esempio”. Ferrara segnò la fine di ogni illusione
e di comprensione con l’altra parte e il nuovo corso che Verona voleva
inaugurare sboccò solo e solamente nella vendetta e nel sangue. I giorni
successivi al 25 aprile 1945 sono la diretta conseguenza di questa iniziale
scelta degli estremisti fascisti.
Il Congresso di Verona, a cui
parlò anche Renato Ricci condannando l’idea di un esercito apolitico, vide
altri interventi in una terribile confusione di idee sulla struttura della
nuova Repubblica. Ad un certo punto Pavolini prese la parola, dopo aver constatato
che il Congresso aveva chiesto la costituzione di un tribunale speciale “per i
traditori del 25 luglio”, pose fine ai lavori con queste parole
“Degli altri problemi che avete sollevato, è stata presa accurata nota.
Il Duce mi ha detto di avere qui quattro buoni stenografi “perché voglio sapere
tutto ciò che i camerati delle provincie hanno avuto da dire e hanno pensato di
dire”.
Poi Pavolini chiuse ogni
discussione. Il Manifesto di Verona con i suoi 18 punti fu approvato per
acclamazione da una assemblea esaltata così come era stato preparato dopo che
Pavolini ne aveva dato lettura veloce. Lo scopo del Congresso era stato
raggiunto: nessuno aveva messo in discussione l’idea di partito che Pavolini
proponeva e tutte le possibili varianti, osservazioni, idee erano state
incanalate ed arrestate. Il partito pavoliniano del fascismo basato sulle
squadre d’azione aveva prevalso, ma non quel tanto di fare di Pavolini un vero
e proprio trionfatore. La sua posizione non nè era uscita rafforzata e lo
stesso Mussolini fu critico con il segretario e le sue scelte.
Con le decisioni di Verona ed i
fatti di Ferrara vengono raffreddate le correnti di simpatia che il risorto
fascismo aveva destato, che erano nate a settembre, al suo riapparire. Le
squadre fasciste, ripreso le azioni del 1920-1921 e riaprirono una stagione di
sangue. Il congresso di Verona indicava in modo chiaro che la Repubblica
Sociale avrebbe soffocato nel sangue ogni opposizione, che non avrebbe esitato
a scatenare una guerra civile contro tutti quegli italiani che non aderivano al
fascismo o si opponevano ad esso. Il movimento ribellistico che praticamente
era solo agli albori e nella realtà inesistente trova la sua saldatura con il
biennio 1920-1922, e le vittime di allora trovarono da entrambe le parti dei
successori atteggiamenti ancora più determinati, ma questa volta la situazione
era completamente capovolta.
Fu Pavolini, miope e poco
lungimirante, con le sue squadre neofasciste, con la sua volontà di portare le
cose all’estremo, superando ed esautorando lo stesso Mussolini,
velleitariamente proteso a conquistare il popolo con risuscitate idee socialiste,
che avviò lo scontro ideologico, facendone una componente della Guerra di
Liberazione, e che portò il fascismo da una adesione quasi plebiscitaria degli
anni del regime ad un crescente distacco da parte della stragrande maggioranza
degli italiani dell’Italia settentrionale.