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domenica 8 maggio 2011

8 maggio 2011 LA Sessione si incontra per la visita al Gianicolo

Cultura a portata di mano: una panoramica di alcune delle maggiori bellezze romane


Introduzione

Quest’oggi condivideremo insieme a tutti voi una passeggiata virtuale nella storia, nella cultura e nell’arte del quartiere di Trastevere e del colle del Gianicolo. È nostra intenzione incentivare alla coltivazione della cultura attraverso le immagini di alcuni dei luoghi più belli e significativi della Capitale.
La cultura è alla base dei popoli. Non è la nazione che fa la cultura, ma è la cultura che determina una nazione. E per capire la cultura di un popolo, è necessario conoscerne la storia; questa non è opinabile, è data. Saranno quindi la bussola della storia e la mano della cultura che ci accompagneranno, vi accompagneranno, attraverso tale passeggiata virtuale.

Storia di Trastevere e degli argini

Possiamo iniziare la nostra discussione culturale localizzando geograficamente l’area della quale illustreremo alcune delle bellezze più significative: si tratta della zona di Trastevere, uno dei più affascinanti quartieri romani. È utile al fine della nostra esposizione raccontarne alcuni stralci di storia.

Trastevere è il XIII rione di Roma, si trova sulla riva ovest (riva destra) del fiume Tevere, a sud della Città del Vaticano. Il suo nome deriva dal latino trans Tiberim (al di là del Tevere), che era anche il nome di una delle regioni augustee. La considerazione della zona come parte della città inizia con l'imperatore Augusto, che divise il territorio di Roma in 14 regioni; l'attuale Trastevere era la quattordicesima ed era chiamata regio transtiberina. Tuttavia, tale regione era ancora al di fuori della città vera e propria, almeno fino all'imperatore Aureliano (270-275 d.C.), che fece estendere le mura per includere anche Trastevere, insieme al monte Vaticano. Grazie al benessere del periodo imperiale, molte personalità decisero di costruire la propria villa in Trastevere: quella di Clodia, amica di Catullo, e quella di Gaio Giulio Cesare (Horti Caesaris).

Il Trastevere del medioevo aveva vie strette, tortuose e irregolari; inoltre, a causa dei mignani, avancorpi sporgenti lungo le facciate delle case, non c'era spazio sufficiente per il passaggio dei carri. Alla fine del '400 tali mignani furono demoliti, ma nonostante ciò Trastevere rimase un labirinto di viottoli.

Le strade non ebbero alcun tipo di lastricazione fino alla fine del '400 grazie all'intervento di Papa Sisto IV, che fece pavimentare alcune strade prima con mattoni di laterizi messi a spina di pesce, poi con i sampietrini, più adatti alle ruote dei carri. Grazie al parziale isolamento (si trovava al di là del Tevere) e all'ambiente multiculturale fin dal tempo dell'antica Roma, gli abitanti di Trastevere, chiamati trasteverini, venivano a formare quasi una popolazione a sé stante: popolani di nota tenacia, fierezza e genuinità.

Il quartiere di Trastevere ebbe nella sua storia il problema costante delle inondazioni del fiume Tevere, che affliggevano anche molte altre parti di Roma. Era una vera calamità: le acque in piena provocavano molti morti e il crollo di numerosi edifici. Inoltre quando si ritiravano lasciavano fango e melma stagnanti, causando gravi epidemie, in particolare di tifo. Questa grave questione fu "risolta" alla fine del XIX secolo: dopo la terribile inondazione del 29 dicembre 1870, il neonato Stato Italiano, tramite il re Vittorio Emanuele II°, decise la costruzione di muraglioni lungo l'argine del fiume, decisione che fu avviata a partire dal 1871. Oltre all’obiettivo principale di arginamento, i lavori ebbero anche uno scopo secondario: furono voluti per “marcare” il passaggio allo Stato Italiano, avvenuto dopo la conquista di Roma, il 20 settembre 1870, ed il seguente plebiscito del 2 ottobre che sancì l’annessione di Roma al resto dell’Italia unita. Era cioè un segno di discontinuità rispetto allo Stato precedente. Per vedere com’era il fiume senza argini, basta andare ad ammirare l’affresco alla sala sottufficiali, qui all’interno del CASD, il quale si trova sulla parete sinistra subito dopo l’ingresso. Il dipinto rappresenta proprio com’era il Tevere senza argini. In tutti questi progetti fu coinvolto Garibaldi deputato, impegnato nell’opera dell’arginatura del fiume come omaggio al nuovo Stato.


Il carcere di Regina Coeli

Il primo elemento storico che esamineremo è la struttura chiamata Regina Coeli, ovvero il più noto carcere di Roma oltre che, a livello amministrativo, la casa circondariale della capitale. Ubicato nel rione Trastevere al numero 29 della via della Lungara (indirizzo di trista quanto diffusa fama cittadina), l’edificio è dislocato in un complesso edilizio risalente al 1654, in precedenza sede di convento; nel 1881 fu convertito all'uso attuale. Recepì il nome della struttura religiosa, che era appunto dedicata a Maria, Regina coeli. L'edificazione del complesso iniziò sotto papa Urbano VIII nel 1642, ma la morte di questi fece sospendere i lavori, che furono ripresi dal suo successore, Innocenzo X. Dal 1810 al 1814 il convento fu confiscato in ottemperanza al decreto napoleonico che imponeva la soppressione degli ordini religiosi. Similmente accadde nel 1873 allorché le religiose carmelitane (della Congregazione di Sant'Elia) dovettero nuovamente abbandonare il convento, stavolta definitivamente, per un'analoga legge del neonato Regno d'Italia. I lavori di adattamento delle strutture furono diretti da Carlo Morgini e si completarono nel 1900.

Nel 1902 il carcere fu eletto sede della prima scuola di polizia scientifica (che vi sarebbe rimasta sino agli anni Venti) e del casellario giudiziario, oltre che essere sfruttato come ovvio serbatoio di "materiale di studio" per le nascenti discipline dell'antropologia criminale.

Durante il fascismo, insieme alla struttura situata alla via Tasso, ospitò oppositori politici.

La capienza prevista attuale è di circa 900 detenuti, dato numerico sovente sopraffatto dalla popolazione detenuta effettiva

Santa Maria in Trastevere

Passiamo ora alla prima delle numerose strutture religiose che si possono trovare all’interno del quartiere trasteverino: la chiesa di Santa Maria in Trastevere. Per la tradizione la chiesa fu fondata dal pontefice San Callisto sul luogo dove nel 38 a.C sarebbe avvenuta una prodigiosa eruzione di olio dalla terra, che era probabilmente petrolio, poi interpretata come annuncio della venuta del Messia. Costruita in forma basilicale da Giulio I° [337-352] e modificata nei secoli XIII° e IX°, la forma attuale risale alla ricostruzione del 1138-48 sotto Innocenzo II°.

Nel 1702 Clemente XI° commissionò la rielaborazione del portico e la modifica della facciata che venne progettata da Carlo Fontana, mentre sotto Pio IX°, Virginio Vespignani eseguì un restauro stilistico. [1866-77].

L’interno è spartito in tre navate divise da ventidue colonne antiche di granito che sostengono una trabeazione costituita da frammenti antichi che continua sulla controfacciata. Il pavimento cosmatesco, del 1200, è stato invece quasi completamente rifatto dal Vespignani.


Complesso spagnolo

Lasciando la chiesa di Santa Maria in Trastevere, proseguendo in quest’excursus religioso, proseguiamo il nostro itinerario iniziando la scalata sul Gianicolo. Il Gianicolo è per l’appunto un colle romano, prospiciente la riva destra del Tevere e la cui altezza massima è 82 metri. Il nome del colle secondo la tradizione deriverebbe dal dio Giano, signore delle porte, che vi avrebbe fondato un centro abitato conosciuto con il nome di Ianiculum.

Salendo da Trastevere, la suggestiva scalinata che conduce a San Pietro in Montorio è segnata da una bella Via Crucis di 14 bassorilievi di terracotta policromata, opera di Carmelo Pastor posti a sostituzione degli stessi motivi antichi purtroppo scomparsi. A metà scalinata vi è l’antico ingresso dell’accademia. L’accesso, ora chiuso viene utilizzato dagli immigrati ispanico-meridionali (in particolare dai peruviani) come altare ove accendono ceri e si rivolgono a Dio come nella loro tradizione.

La scalinata conduce a cosiddetto “complesso spagnolo” del Gianicolo, il quale comprende:

• Chiesa San Pietro in Montorio

• Tempietto del Bramante

• Accademia reale di Spagna

• Villa Vaini (residenza dell’Ambasciatore di Spagna in Italia)

• Liceo Spagnolo Cervantes.

Al termine della gradinata, l’edificio più maestoso è proprio la Chiesa di San Pietro in Montorio.

La chiesa è databile tardo XV secolo e fu commissionata dal Re di Spagna Ferdinando il cattolico e da sua moglie Isabella di Castiglia, i quali vollero riedificare l’area caduta in un secolare abbandono. Non si ha certezza su chi sia l’architetto: si è indecisi fra Baccio Pontelli e Meo del Cabrino (più probabile il primo).

La chiesa, il cui nome “montorio” deriva indubbiamente dall’originale nome del Gianicolo mons aureus – monte aureo (a causa del colore della sua terra chiara), è intitolata a San Pietro per due motivi:

• Gianicolo è la collina dedicata al Dio Giano Bifronte, protettore delle porte. San Pietro è colui che ha in consegna le chiavi della chiesa universale, da qui il diritto ad avere una propria rappresentanza sul colle

• La tradizione vuole che proprio nell’area in esame sia stato crocifisso San Pietro

Infine, una curiosità: sotto l’altare maggiore vi è una tomba priva di iscrizioni. Appartiene a Beatrice Cenci, una giovane decapitata per aver ucciso il padre che aveva abusato di lei. Fino al settembre 1789, all'interno della chiesa era conservata, in una teca, la testa di Beatrice, decapitata in piazza di ponte S.Angelo l'11 settembre 1599: dopo 190 anni Jean Maccuse, soldato francese, profanò la teca e, dopo essersi divertito a prendere a calci la disgraziata testa di una delle donne più belle di Roma, andò via con il misero resto in tasca. Il francese, colpito da una terribile maledizione, da quel momento in poi non ebbe più pace: scherzo del destino, alla fine la sua testa andò ad ornare la teca di un sultano in Africa.

Sul lato destro della chiesa longitudinalmente si sviluppa il relativo convento.

Nei pressi di San Montorio, si trova il “Tempietto del Bramante”. Datato 1502, l’edificio sacro fu anch’esso dal Re di Spagna.

Il luogo di culto si erge al centro del chiostro a pianta quadrata. Il tempietto ha, invece, pianta circolare (come si puo’ vedere in diapositiva) e 16 colonne che sorreggono una loggia e la sovrastante cupola. Al centro della cappella sotterranea, vi è il foro nel quale sarebbe stata piantata la croce del martirio dell’Apostolo Pietro. Ciò che colpisce del tempietto è l’assoluta equilibrio volumetrico che vuole concretizzare la lungamente teorizzata “Chiesa Ideale”.


La Cannonata del Gianicolo

Tra le particolarità del Gianicolo è opportuno menzionare la tradizionale “cannonata di mezzogiorno”. Tutti i giorni, infatti, alle ore 12.00, militari dell’Esercito provvedono a sparare un colpo d’artiglieria a salve da un incavo sottostante piazza Garibaldi. Questa tradizione vanta origini abbastanza singolari, ricollegabili a due eventi storici particolarmente significativi nell’ambito del processo di unificazione italiano, vale a dire la Repubblica Romana del 1849 e la battaglia per la conquista di Roma del 1870.

Nel 1849 il colle del Gianicolo fu teatro della famosa resistenza romana, a difesa dell’omonima Repubblica, contro gli attacchi dei francesi venuti in soccorso di papa Pio IX, il quale si trovava a Gaeta. Un presidio di artiglieria “romana” era posizionato presso la fontana dell’Acqua Paola; la stessa era utilizzata dagli artiglieri come accampamento sfruttandone l’assenza d’acqua dovuta al relativo taglio idrico imposto dagli assedianti francesi. Tale taglio era stato deciso come strategia per spezzare la resistenza romana; tuttavia alcune notizie riguardanti il traffico di esplosivi e di armamento bellico nelle condotte asciutte, portarono gli invasori oltralpe a revocare questa decisione. Una notte di maggio dunque, mentre i soldati riposavano, i francesi aprirono improvvisamente l’acqua, che inondò l’accampamento all’interno della fontana; gli artiglieri presero questo atto come una specie di scherzo goliardico, con gran derisione di chi aveva assistito alla scena. Il giorno seguente, a mezzogiorno in punto, a titolo di ripicca, un artigliere ancora bagnato prese il controllo di un cannone, e dopo averlo direzionato verso villa Medici sparò un colpo contro la stessa. All’epoca villa Medici ospitava un convento francese di frati francescani, i quali a mezzogiorno erano soliti sedersi a tavola. La tradizione infatti voleva che, una volta seduti per il pranzo, i frati non potessero più alzarsi fino al termine del pasto, e qualora ciò fosse accaduto i religiosi non avrebbero più potuto riprendere a mangiare. La cannonata aveva dunque questo scopo, vale a dire interrompere il pranzo dei francesi. Tale scherzo si ripeté nei giorni seguenti, sempre allo stesso orario, divenendo un punto di riferimento per il popolo trasteverino che non aveva più il segnale del mezzogiorno dato dalle campane delle chiese, in quanto il papa era assente da Roma. A questo punto inizia la tradizione del “colpo di cannone di mezzogiorno”, che si protrae fino al ritorno del papa; infatti, al termine della Repubblica Romana, con la restaurazione dell’autorità pontificia la “cannonata del Gianicolo” viene soppressa in favore del ripristino dell’uso delle campane.

Ben 21 anni dopo, il cannone del Gianicolo ritorna sulla scena. Il 20 settembre 1870 sul Gianicolo era schierata l’artiglieria dell’Esercito Italiano a supporto delle truppe di fanteria, che di li a poco sarebbero entrate nella futura Capitale attraverso la breccia di Porta Pia. Qualora Roma avesse opposto resistenza attraverso le barricate, dal Gianicolo si sarebbe potuto spezzare questa resistenza tramite l’artiglieria campale ivi posizionata e comandata dal generale Nino Bixio, braccio destro di Garibaldi.

Alle 05.45 Roma subiva leggeri colpi di artiglieria necessari per facilitare le operazioni di ingresso nella città, ai quali contribuiva anche la divisione (di artiglieria) posta sul Gianicolo.

Alle 09.45, ormai varcata Porta Pia, arrivò l’ordine di interrompere il fuoco, ma il generale Bixio, noto personaggio anticlericale, voleva a tutti costi uno scontro più intenso per regolare i conti con i pontifici, in ricordo dei fatti accaduti durante la Repubblica del 1849. Così, anziché interrompere il fuoco dell’artiglieria, il generale ordinò di intensificare il bombardamento.

Alle 10.30 giunse dal quartier generale un tenente, con l’ordine di interrompere il fuoco, ma Bixio lo mise immediatamente agli arresti, non ottemperando all’ ordine. Dopo altri 20 minuti, arrivò un tenente colonnello, al quale il generale riservò lo stesso trattamento. Visti gli esiti negativi, al comando capirono che avevano a che fare col tenace temperamento di Bixio; così, alle 11.10, inviarono al Gianicolo un generale di grado superiore a quello di Bixio. Costui prese temporaneamente il comando destituendo Bixio, dando l’ordine di sospendere il fuoco. Dopo 10 minuti, interrotto il fuoco dell’artiglieria, il generale Bixio fu reintegrato nel suo comando.

Non soddisfatto della vicenda, il generale Bixio a mezzogiorno meno cinque minuti fece ruotare un pezzo d’artiglieria e, puntandolo verso villa Medici, fece sparare una carica esattamente alle 12.00, in onore al mezzogiorno romano laico.

Il giorno dopo Bixio fece in modo che nessuna campana suonasse, ed un altro colpo di cannone alle 12.00 fu sparato, ripristinando la tradizione del Colpo del Gianicolo che tuttora sopravvive.


I busti gianicolensi – Colomba Antonietti

Sul colle del Gianicolo è impossibile non notare l’impressionante numerosità di busti marmorei, posti a ricordo delle più importanti personalità italiane. Ogni busto nasconde una storia, una vicenda, un’avventura che è importante ricordare; a titolo di esempio qui citiamo la vicenda di Colomba Antonietti, unico busto femminile presente nell’area.

Colomba Antonietti nacque a Bastia Umbra, vicino ad Assisi il 19/10/1826 da una famiglia di fornai (Michele e Diana Trabalza). Si trasferì fanciulla a Foligno ed il 3 dicembre 1844 sposò, contro il volere delle famiglie, l'ufficiale dell’esercito pontificio conte Luigi Porzi, nato ad Imola da famiglia forlivese. Il Porzi tuttavia non denunciò il matrimonio al Governo e pertanto dovette scontare tre mesi di carcere a Castel S.Angelo, dopo i quali lasciò l'esercito. Scoppiata nel frattempo la guerra con l’Austria, l’ Antonietti seguì il marito - passato alle formazioni della Repubblica Romana - in battaglia in Veneto, vestita dell'uniforme da ufficiale e con i capelli recisi.

Colomba Antonietti partecipò con virile coraggio insieme al marito alla battaglia di Velletri nel 1849 e, per il valore dimostrato, ebbe l'encomio di Garibaldi. Durante la battaglia di Porta S.Pancrazio a Roma morì colpita da un proiettile d'artiglieria il 13 luglio 1849, mentre porgeva al marito la sacca ed altri oggetti per riparare la breccia. La leggenda vuole che morendo tra le braccia del marito sussurrasse “viva l’Italia”. La salma fu sepolta con l'uniforme nella chiesa di Santa Cecilia, mentre il Porzi emigrò in Uruguay. Garibaldi la paragonò ad Anita, Luigi Mercantini compose in suo ricordo una lirica, Bastia Umbra le dedicò un monumento su cui è incisa una iscrizione dettata da Isidoro del Lungo.


Il giardino botanico

Scendendo dal Gianicolo, si trova con facilità il giardino botanico. Il giardino, o orto botanico della città di Roma, si colloca all’interno del giardino di Palazzo Corsini, oggi sede dell’Accademia dei Lincei.

L'antenato dell'attuale Orto botanico di Roma è il Simpliciarius Pontificius Vaticanus (cioè il giardino dei "semplici" dove si coltivavano piante medicinali e utili, presenza costante nei monasteri), menzionato sotto il pontificato di Bonifacio VIII.

Il primo vero orto botanico di Roma fu voluto nel XVI secolo da Alessandro VI, e successivamente ricostruito da Pio IV, che lo dotò anche di un guardiano (che faceva anche da guida). Pio V ingrandì il giardino affidandolo al botanico Michele Mercati.

Occorrerà attendere il 1823 perché l’Orto Botanico venga finalmente trasferito sulle pendici orientali del Gianicolo, a fianco di Palazzo Salviati su Via della Lungara, il cui ingresso fu ricostruito nel 1837. Nel 1883 furono acquistati terreni dal Duca Corsini, proprietario del Palazzo omonimo alla Lungara, sia per la costruzione della Passeggiata del Granicolo sia per fissare la dimora dell’Orto Botanico, dove ancora oggi è installato.

Il primo direttore, colui che nel parco Corsini praticamente abbandonato fece installare le prime collezioni, fu Pietro Romualdo Pirotta (Pavia 1853-Roma 1936), professore di botanica all'Università di Roma dal 1883.

L'Orto (citiamo dal sito) ha funzione didattiche, di educazione ambientale e di ricerca scientifica. Esso è sede di mostre, corsi, conferenze e simposi ed ha annualmente quasi centomila visitatori. L'attività per le scuole è molto intensa con circa 250 visite guidate. L'Orto inoltre è sede di ricerche altamente specializzate sull' ecologia dell'ambiente urbano.

Il giardino ospita attualmente oltre 3000 specie vegetali, tra le quali palme, boschetti di bambù, roseti, un giardino giapponese, piante acquatiche, serre, e molto altro ancora.

Il convento di Sant Onofrio

Infine, ultimo ma non per importanza tra i luoghi sacri dell’area, è importante citare il convento di Sant’Onofrio. Un dormitorio degli Eremitani dedicato a S. Onofrio fu qui iniziato nel 1419 dal Beato Nicolò da Forca Palena, che acquistò i terreni necessari con l'aiuto di elemosine di vari fedeli, fra i quali i cardinali Gabriele Condulmer (poi Eugenio IV) e Domenico De Cupis. Si presenta attualmente nell’aspetto dato dagli interventi susseguitisi nel tempo fino al tardo Cinquecento. Intorno al 1439 fu iniziata la costruzione della chiesa. Passato il Beato Nicolò con i suoi compagni alla disciplina della Congregazione di S. Gerolamo, fondata dal B. Pietro Gambacorti da Pisa nel 1446, il gerolamino Jacobelli nello stesso anno aprì la strada che dalla Lungara, costeggiando il palazzo Salviati, saliva al santuario (l'attuale via di S. Onofrio). La chiesa fu condotta a termine e decorata nel corso del sec. XVI.

Con motu proprio del 15 agosto 1945 Pio XII concedeva la chiesa e il convento, ove si conservano le memorie del cantore della gesta dei Crociati che lottarono per ridare la libertà al Santo Sepolcro a Gerusalemme, proprio all'Ordine equestre del Santo Sepolcro che però, con il passare dei secoli, ha perduto il suo carattere monastico e militare trasformandosi in una organizzazione laica avente lo scopo precipuo della difesa e diffusione della fede in particolare in Palestina, prescrivendo ai componenti dell'Ordine una intensa vita cristiana. Ad essi è ora riservata parte dell'antico convento con il Museo Tassiano.

Nel 1946, la chiesa e il convento sono stati affidati ai Frati Francescani dell'Atonement, comunità fondata da P. Paolo Wattson nel 1898 a Graymoor (comune di Garrison, New York).

Nel loro Centro Pro Unione a Piazza Navona, i Frati svolgono il loro ministero ecumenico attraverso corsi di ecumenismo, conferenze, stampa e diffusione in Italia del materiale per la Settimana di Preghiera per l'unità dei Cristiani. Dirigono inoltre una biblioteca pubblica specializzata in teologia ecumenica.

Dal portico si accede al chiostro e alle due stanze al primo piano, trasformate in Museo, dove il 25 aprile 1595 morì il poeta Torquato Tasso e dove sono conservati i manoscritti e antiche edizioni delle sue opere.

Lo visitarono commossi Goethe, Chateaubriand (“uno dei più bei siti della terra”) e Leopardi. Quest’ultimo scrisse al fratello di avere pianto visitando il sepolcro del Tasso: “è il primo e l’unico piacere che ho provato a Roma”. Aggiunse considerazioni sulla sua sublime nudità rispetto ai “superbissimi mausolei” che “si osservano con perfetta indifferenza per la persona cui furono innalzati”. Dentro la chiesa dedicata a Onofrio, santo anacoreta, un dipinto di Antoniazzo Romano mostra il bellissimo volto della sua Madonna circondato di blu, nell’Annunciazione. Fuori dal cancello un cartello avverte: “zona extraterritoriale”.





L’anfiteatro degli Arcadi



Nel 1699 il Duca Don Antonio Maria Salviati fece scavare nel pendio di una collinetta interna al giardino un teatro di forma ovale, con tre ordini di sedili in pietra, per ospitare gli Arcadi. I poeti dell'Arcadia (accademia dell'Arcadia 1690) avevano lo scopo di rievocare una poesia semplice e limpida, vicina ai modelli bucolici greci e dell'elegia latina. Il poeta dell'Arcadia più conosciuto è Pietro Metastasio (pseudonimo di Pietro Trapassi: Roma 1698 - Vienna 1782), le cui opere giustamente più apprezzate sono i melodrammi (la Didone abbandonata), il Demetrio, l'Olimpiade, l'Attilio Regolo e molti altri). Alle spalle di tale anfiteatro degli Arcadi fu creato un parco della rimembranza, dove nel 1921 fu eretto un piccolo monumento alla memoria degli allievi della scuola militare caduti in combattimento. Nel 1938 fu realizzato il sacrario, sul monumento un cartiglio bronzeo a memoria della vittoria nella 1° guerra mondiale, e sullo sfondo l'esedra a gradoni.

Conclusione

In conclusione a questa esposizione, possiamo quindi affermare che la cultura non è un qualcosa che risiede sugli scaffali di una polverosa biblioteca, bensì è attorno a noi, spesso (come nel caso qui esposto) a portata di mano.

La cultura è la coscienza di un popolo; un popolo che sa chi è stato e cosa è stato, sa anche chi sarà e cosa sarà. Al termine del discorso, l’invito che rivolgiamo a tutti è dunque questo: sviluppate la vostra cultura, la quale è ingrediente essenziale della vita di tutti i giorni ed elemento cardine alla base dell’identità nazionale.

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