Nell’atrio
di Palazzo Salviati è esposta una copia della Lupa Capitolina, di fattura
etrusca, a cui il Pollaiolo aggiunse in
epoca rinascimentale i due gemelli, Romolo e Remo. Il legame forte che persiste
tra Palazzo Salviati e Roma, anche esaltato durate la vita e permanenza a
Palazzo del Collegio Militare (1883-1943), impone di aprire questo nostro
lavoro su un breve exursus sulle origini di Roma.
Molte
sono le possibilità di scelta, o se si preferisce, le vie che possono essere
percorse per attuare quanto sopra. La scelta è caduta su un opera “L’origo gentis Romae” che ci è parsa estremamente significativa ai nostri
scopi. Si tratta di un breve studio di carattere storiografico narrante le
origini più remote di carattere storiografico a cavallo tra storia e
mitologia., i cui estremi di narrazione sono, all’inizio, Saturno e la sua
figura, ed alla fine, Romolo e quello che significa.
L’Historia tripartita di Sesto Aurelio Vittore[1] è
composta da quattro brevi opere storiche che gli sono state
attribuite anche se con forti dubbi; esse sono nell’ordine: Origo gentis Romanae, che ne costituisce la prima parte,, il Liber
De viris illustribus Romae, il Liber De Caesaribus, che rappresenta
la sua opera principale, ed anche sicuramente scritta da Vittore, nota anche
col titolo di Historiae abbreviatae. Infine si può citare il De Vita et Moribus Imperatorum Romanorum
excerpta ex Libris Sex. Aur. Victoris.[2]
Nei paragrafi in cui l’opera si articola vi è tutto il percorso della
origine dei Romani. Nella introduzione, la disputa sul primato di Giano su
Saturno come primi ad arrivare in Italia
dall’Oriente, con l’indicazione delle usanze da loro introdotte (Paragrafo
1-3); In una versione sull’origine postdiluviana degli “aborigini” del Lazio
governati prima da re Pico e poi da Fauno (Paragrafo 4.5); narrazione delle
origini del re Evandro, delle origine italiche di Ercole, con
L’opera
è datata 360 d.c., mentre per quanto riguarda datazione effettiva tramite dei termini ante quem la critica si è scontrata con problemi
grandissimi. Ormai la critica moderna è
concorde che “L’Origo
gentis Romanae” sia stata
scritta da un autore non identificabile diverso sia dagli autori delle altre
due opere sia dall’deatore del corpus, autore di un brano di connezzione tra l’Origo e il De viris illustribus
La data della fondazione
di Roma è stata fissata al 21 aprile
dell'anno 753 a.C. (Natale di Roma) dallo storico latino Varrone,
sulla base dei calcoli effettuati dall'astrologo Lucio Taruzio.[1] Altre leggende, basate su altri
calcoli indicano date diverse.
I Romani avevano elaborato
un complesso racconto mitologico sulle
origini della città e dello stato; il racconto ci è giunto con le opere
storiche di Tito Livio, Dionigi di
Alicarnasso, Plutarcoe le opere
poetiche di Virgilio e Ovidio,
quasi tutti vissuti nell'età augustea. In quest'epoca
le leggende, riprese da testi più antichi, vengono rimaneggiate e fuse in un
racconto unitario, nel quale il passato viene interpretato in funzione delle
vicende del presente.
I moderni studi storici e
archeologici, che si basano su queste e su altre fonti scritte, nonché sugli
oggetti e sui resti di costruzioni rinvenuti in vari momenti negli scavi,
tentano di ricostruire la realtà storica che sta dietro il racconto mitico, nel
quale man mano si sono andati riconoscendo elementi di verità. Secondo la storiografia moderna, Roma non fu fondata
con un atto volontario, invece nacque, come altri centri coevi dell'Italia
centrale, dalla progressiva riunione di nuclei abitati sparsi, fenomeno detto sinecismo (ipotesi dell'origine per
sinecismo).
[1] Africano, nacque di umili origini e salì la scala
sociale grazie ai suoi assidui studi; Ammiano Marcellino lo definisce «uomo
degno d'essere imitato per la sobrietà di vita».Fu autore di una storia romana
pubblicata nel 361 circa, di cui Sofronio Eusebio Girolamo chiese una copia a
Paolo di Concordia. Conobbe a Sirmio l'imperatore Giuliano, il quale proprio
nel 360 contese il regno al cugino Costanzo II; nel 361, morto Costanzo,
Giuliano fece venire Vittore da Sirmio a Naisso, dove gli conferì l'incarico di
consolare della Pannonia secunda oltre ad onorarlo con una statua di bronzo.
Nel 389 fu praefecturs urbi di Roma.
[2] Nei suoi scritti
l'interpretazione dei fatti è filtrata in Aurelio Vittore dalle posizioni
conservatrici e anticristiane dell'aristocrazia romana con una sentita adesione
alle posizioni filo-senatoriali. Proprio al Senato Romano l'organismo politico
che fu simbolo della grandezza di Roma egli si sente vicino, se non per
origini, certo per comunanza di pensieri
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