Il Dualismo tra Graziani e
Pavolini. Esercito apolitico o forze armate di partito.
Le
decisioni in merito a quali forze armate la Repubblica si doveva dotare sono
centrali nella determinazione del futuro della Repubblica stessa. Come vedremo,
il dualismo tra Graziani e Pavolini, e quello Pavolini-Ricci, generarono
divergenze che non furono mai risolte; divergenze così profondo e che relegarono
i militari della R.S.I a ruoli marginali e secondari per tutta la durata della
guerra e sconvolsero non solo il sistema voluto dai tedeschi ma in ultima
analisi determinarono anche le modalità della resa tedesca sul fronte italiano,
Mussolini da Radio Monaco il 18
settembre aveva annunciato che era sua intenzione creare un esercito di partito
incardinato sulla ex Milizia Volontaria sotto il comando di Ricci e composta solo
da volontari di provata fede. Questo piano al momento non ebbe granché fortuna
in quanto egli stesso constatò che la Milizia era malvista in tutto il paese,
screditata oltre ogni dire e quindi al momento improponibile.
Graziani, nominato ministro della
Guerra, era convinto che spettasse a lui il compito di costruire secondo i suoi
criteri le nuove forze armate. Per questo si avvalse dell’opera di un ex ufficiale
del S.I.M., il Servizio Informazioni Militare del Regio Esercito, Emilio
Canevari che lo tenesse in contatto con Mussolini e con i tedeschi. Il 3
ottobre Graziani presentò il suo progetto: i quadri delle future forze armate
tutti volontari, le truppe composte solo da giovanissimi delle classi di leva
più giovani; l’armamento fornito dai tedeschi quello più recenti. In pratica
Graziani propose un esercito sul modello della Reichwehr del 1920.
Il 9 ottobre Graziani si reco al quartier
generale di Hitler per sottoporre il suo progetto, apparentemente approvato da
Mussolini. I tedeschi ricevettero con tutti gli onori il Maresciallo e, secondo
quanto riferisce lo stesso Graziani, erano d’accordo nel costituire prima 4,
poi 8 poi 12 divisioni italiane secondo i criteri esposti dal maresciallo.
Graziani tornò a Gargano a fare rapporto a Mussolini che approvò tutti gli
accordi presi da Graziani; nel contempo fu deciso di mandare Canevari a Berlino
per firmare le intese raggiunte. Canevari il 16 ottobre raggiunse Berlino e
trattò con il generale Buhle, capo di Stato Maggiore di Keitel in merito agli
accordi per la ricostruzione delle forze armate italiane. Ed il protocollo fu steso sulla base dei
colloqui Duce-Fuhrer di metà settembre e quelli Graziani-Hitler di metà
ottobre. Si dovevano costituire unità miste italo-tedesche con reclutamento
volontario e 50 batterie costiere; si dovevano costituire tre divisioni di
fanteria ed una di alpini da addestrarsi in Germania con dieci batterie di artiglieria.
Ufficiali, sottufficiali e truppa sarebbero stati reclutati da una commissione
mista nei campi di concentramento tedeschi e le divisioni in Germania sarebbero
state rafforzate da reclute provenienti dall’Italia. Tutto doveva aver inizio
entro il 15 novembre. Canevari presso l’ambasciata italiana ebbe diversi
incontri e qualche scontro con elementi estremisti fascisti da poco liberati
dai campi di internamento. Secondo loro si doveva reclutare personale solo per
costituire unità sul modello delle SS, anche sulla scorta che già le SS
tedesche avevano reclutato 10.000 soldati italiani. Seguì un incontro con un
rappresentante di Himmler, che aveva autorizzto le trattative e si giunse alla
conclusione in successive riunioni di creare una divisione di SS italiane della
forza di 13.000 uomini e di addestrarne altri 3000 come corpo di polizia.
Queste unità sarebbero dipese esclusivamente dalle SS, e non da altri
rappresentanti italiani in Germania.
Il 25 ottobre Canevari ritornò in
Italia e fu ricevuto da Mussolini in presenza di Graziani e tutto fu approvato.
Canevari ebbe modo di scrivere che ricevette i complimenti e le lodi sia di
Graziani sia di Mussolini. Fu convocato il Consiglio dei Ministri per il 28
ottobre, data estremamente significativa per tutti i fascisti. Ma il controllo delle
forze armate provocò un durissimo scontro tra Graziani e ed i capi del rinato
partito fascista, Pavolini e Ricci
Pavolini voleva forze armate
fasciste, permeate del nuovo fascismo repubblicano, sul modello tedesco. Ma
questa sua aspirazione presupponeva un Partito fascista solido e forte. La
realtà era sotto gli occhi di tutti. Il crollo silenzioso e totale di tutta l’organizzazione
del Partito Nazionale Fascista senza che nessuno facesse un gesto per impedirlo
era emblematico. I capi, i cosiddetti gerarchi abbandonarono il Partito e si
misero in salvo in Germania, divisi da rivalità e rancore; il resto, i capi di
medio e basso livello misero da parte la loro uniforme e insieme al resto
mostrò di avere aderito al fascismo più per opportunismo che per singola
convinzione.
Ricci, nonostante ogni parere
contrario, intendeva ridare vita alla Milizia, nella sua forma più aggiornata e
nella struttura che gli era propria. In pratica intendeva che le forze armate
fossero solo e solamente articolate sulla Milizia, che doveva sostituire ogni
altra organizzazione militare. A metà novembre si era giunti alla conclusione
che la Milizia sarebbe stata subordinata all’Esercito sotto tutti i punti di
vista e senza riserve. Ricci non avrebbe avuto il diritto di ispezione. Un
nuovo corpo, la Guardia Nazionale Repubblicana, che nelle intenzioni si doveva
ispirare, forse andando un po' sopra le righe, a quella napoleonica, avrebbe
dovuto incorporare ciò che restava della Milizia, ormai screditata, dei Carabinieri
Reali, visti sempre con grande diffidenza, e della Polizia dell’Africa Italiana,
residuo delle avventure coloniali africane, nonchè la polizia in uniforme, che
per l’impiego sarebbe dipesa dal Ministero dell’Interno al pari di quella in
borghese. Ricci alla fine di novembre ebbe l’ordine formale di organizzare la
nuova Milizia nazionale.
I contrasti tra Graziani da una
parte e Pavolini, con a fianco Ricci erano basati sulla scelta di fondo: la Repubblica
avrebbe avuto forze armate apolitiche oppure forze armate politicizzate, ovvero
dipendenti dal Partito? In questa lotta che si sviluppò violenta si inserire
anche Buffarini Guidi Ministro dell’Interno che pretendeva una sua autonomia.
Il risultato fu la creazione di una serie di eserciti e di forze di polizia che
obbedivano vagamente all’autorità centrale. Mussolini non solo non pose rimedio
a tutto questo nell’interesse superiore dello Stato, ma ne era soddisfatto
perché poteva contare su una serie intricata di fazioni rivali, a volte al
limite del tradimento che gli permetteva, manovrando ora in una direzione ora
nell’altra, di mantenere una qualche iniziativa nel controllo del governo, rilevando
così una costante del fascismo in cui gli interessi superiori dello Stato erano
sempre posposti a quelli personali.
Agli occhi dei tedeschi tutto
questo non faceva altro che aumentare la loro diffidenza e, in maniera velata
ma facilmente avvertibile, la poca stima che avevano in generale degli italiani
e in particolare dei fascisti repubblichini e questo stato di cose portò ad agire
direttamente, superando in molti casi gli accordi stabiliti.
La realtà del 1943 era che
Graziani non aveva truppe operative; a fine novembre riuscì sulla carta ad
avere un Comando Generale, uno Stato Maggiore, che fu posto agli ordini del
gen. Gambara, e nominalmente le forze terresti, aeree e navali, i reparti
antiaerei e costieri, i comandi provinciali e logistici. In realtà non aveva a disposizione
truppe combattenti; l’unica speranza era riposta nelle quattro divisioni in
addestramento in Germania.
Il fallimento del reclutamento fra
gli Internati Militari in Germania, la ritrosia di Graziani e Mussolini a mandare
i chiamati alla leva delle classi 1924 e 1925 in Germania perché era
prevedibile quasi una diserzione in massa, fece sì che i rapporti con i
tedeschi si incrinarono ulteriolmente in tema di creazione di una forza
operativa efficiente ed indipendente nell’ambito della Repubblica Sociale Italiana.
L’ombra di un nuovo tradimento su quanto accaduto l’8 settembre era presente nelle
menti tedesche. Ai primi di dicembre il progetto Graziani di creare un esercito
apolitico era praticamente fallito. Tra scenate e recriminazioni, i protocolli
di ottobre furono accantonati e per tutti pagò Canevari che fu estromesso da
ogni incarico. Graziani assunse atteggiamenti estremistici, invocando la corte
marziale e la pena di morte per i renitenti alla leva, invocando anche la legge
marziale per i lavoratori da inviare in Germania e altre misure coercitivi che
sottolineavano il suo fallimento.
Da ultimo arrivò l’atteggiamento
di Hitler che, reso edotto della situazione, disse ai propri collaboratori che
la cosa si sarebbe conclusa con un nulla di fatto e, quindi, occorreva essere
prudenti e vigilare su tutta la situazione.
A fine dicembre, era evidente che la
Repubblica Sociale Italiana non avrebbe avuto forze armate in grado di
coadiuvare i tedeschi nella tenuta del fronte meridionale. Questa è la ragione
per cui nessun reparto della Repubblica Sociale Italiana, a parte qualche
elemento esterno ad essa, per volere dei tedeschi non entrò mai in linea contro
il nemico anglo-americani. La sfiducia tedesca nei fascisti italiani era di
tutta evidenza.