Europa e apertura al mondo contro Brexit e chiusura delle
frontiere. Il primo turno delle presidenziali francesi conferma
i sondaggi e manda al ballottaggio il 7 maggio prossimo,
Emmanuel Macron e Marine Le Pen, alfieri di due messaggi politici mai così opposti. Il vero sconfitto, insieme a quel che resta del partito socialista del presidente Hollande,
è il bipolarismo della Quinta Repubblica: con anche
i gollisti fuori gioco, i due partiti che hanno caratterizzato
la vita politica del secondo dopoguerra non saranno al
ballottaggio, e chiedono di far fronte comune contro la
Le Pen. Ma il vero rompicapo riguarda la governabilità: le legislative
di giugno daranno al prossimo presidente una maggioranza omogenea?
E mentre Bruxelles spera di ricavare nuova energia dal voto francese
(anche in vista dei prossimi appuntamenti elettorali in
Gran Bretagna e Germania), l'Ue lavora al rilancio delle
relazioni con l'India, dopo anni di rapporti freddi. In Iraq,
intanto, l'esercito continua a togliere terreno all'Isis,
consolidando la presa di Mosul: ma la pace passa da
un coinvolgimento attivo della minoranza sunnita.
Corsa all’Eliseo Francia: la parola agli elettori (e ai terroristi) Isabella Ciotti 21/04/2017
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Tempo due settimane e la Francia avrà un nuovo presidente: potrebbe essere un conservatore o un riformista, un liberista o un anticapitalista, un visionario o un realista. Potrebbe anche essere donna e antieuropeista.
Undici candidati, cinque e forse solo quattro i veri papabili. Domenica 23 aprile il primo turno: se nessuno raggiungerà il 50 % più uno dei voti validi - come già si prevede - il prossimo 7 maggio i francesi torneranno alle urne per il secondo turno, un ballottaggio tra i due che avranno raccolto più suffragi.
A 72 ore dalle elezioni i sondaggi parlano di elettori ancora indecisi o, peggio, propensi all’astensione, per ora attesa al 30%. Sulle intenzioni di voto pesano, in queste ore, le incognite collegate alle pulsioni suscitate dall’attentato di giovedì notte sui Campi Elisi: un attacco integralista in uno dei luoghi simbolo di Parigi, non articolato e corale come la notte del Bataclan e non drammaticamente letale come a Nizza, ma comunque capace di suscitare apprensione e paura.
Confonde, e non giova, l’assenza di una netta contrapposizione tra destra e sinistra: i colori politici primari sono sfumati in tante tinte secondarie, con esponenti dei vecchi partiti ora candidati con formazioni create a misura di elezione.
Tanto che a risaltare, in campagna elettorale e nei dibattiti televisivi, sono stati gli estremi - e i più in polemica con l’Ue - Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon: l’una che da destra chiede di uscire dall’Unione, l’altro che da sinistra vorrebbe rinegoziare i Trattati. A spaventare di più resta il Front National, il partito della Le Pen su cui gli euroscettici d’Europa - fallito il colpo in Olanda - ripongono le loro speranze.
I socialisti con le primarie hanno scelto un candidato di sinistra cui ora contendono i voti altri candidati di sinistra. La destra tradizionale repubblicana, sempre con le primarie, ha puntato su un candidato minato dagli scandali personali, rinunciando a carte probabilmente vincenti. E forse le forze politiche classiche pagheranno le loro scelte e la loro frammentazione alle prossime legislative.
Un mese dopo il ballottaggio - l’11 e il 18 giugno - i francesi dovranno infatti votare il loro Parlamento, con un sistema maggioritario che, ad oggi, fa prevedere risultati anomali: un presidente senza il suo partito - o senza maggioranza - all’Assemblea Nazionale, costretto a convivere con il governo di un partito, o di una coalizione, di segno diverso.
Marine Le Pen, la populista per eccellenza Ha ereditato e ristrutturato un partito di antagonisti con la pretesa di farne un movimento rispettabile ma comunque anti-sistema. La figlia di Jean Marie, che approdò al ballottaggio nel 2002, complici le divisioni della sinistra, è riuscita meglio di altri in Europa ad attirare l’attenzione su un programma fortemente euroscettico e populista: con lei via dall’euro via dall’Unione e via pure dalla Nato (malgrado il parere opposto di alcuni dirigenti del suo partito).
La sua Francia, come l’America di Trump, deve venire prima di qualsiasi altro interesse. Sull’immigrazione, che vede come una minaccia, ha ammonito pure il Papa, “reo” di interferire coi suoi messaggi di carità nelle scelte dei governi. Marine Le Pen è la scelta di chi “vuole rovesciare il tavolo”. Per i suoi slogan, e per la presa che sembrano avere sugli elettori francesi, è la populista più temuta a Bruxelles. È accusata di aver affidato a persone a lei vicine finti incarichi al Parlamento europeo.
Francois Fillon, il Thatcher francese Primo ministro con Nicolas Sarkozy, esponente dell’ala destra dei Repubblicani, Fillon ha vinto le primarie del partito battendo a sorpresa Alain Juppé e il “suo” ex presidente. Lo chiamano il Thatcher francese, per il suo programma vagamente ispirato alle politiche dell’ex premier britannica: tagli alla spesa pubblica e agli oltre cinque milioni di funzionari attualmente impiegati nel settore pubblico.
Ha saputo allearsi con alcuni ambienti cattolici conservatori, come l’associazione Sens Commun, garantendosi da un lato uno zoccolo duro di elettori, limitando dall’altro il suo margine d’azione. Le sue posizioni conservatrici in materia di immigrazione e diritti civili - gradite ai cattolici che lo sostengono - in un primo momento hanno fatto pensare a lui come all’unico candidato in grado di arginare il Front National di Marine Le Pen.
Come la Le Pen, più della Le Pen, la sua credibilità è però compromessa da quello stipendio sospetto pagato alla moglie per l’incarico - fittizio? - di assistente parlamentare, su cui indaga la magistratura.
Emmanuel Macron, l’europeista in solitaria Alto funzionario uscito dalla prestigiosa Ena, l’École nationale d'Administration, poi banchiere d’affari, poi consigliere economico di François Hollande e da ultimo ministro dell’Economia con Manuel Valls, Emmanuel Macron è uscito dal governo per mettersi “En Marche” da solo a metà strada tra la sinistra e la destra. Ha beneficiato della vittoria di Fillon alle primarie repubblicane e di Benoit Hamon a quelle socialiste, che hanno creato al centro un habitat per la formazione di un partito moderato.
È forse questo suo impegno a rappresentare una soluzione di compromesso, a correre non per i partiti storici ma “per la Francia”, a farlo figurare oggi fra i favoriti. Il suo programma, che lui sintetizza con l’espressione “rivoluzione democratica”, si caratterizza per l’orientamento liberista e - soprattutto - europeista. I suoi slogan non sono piaciuti ad alcuni critici, che dietro alla sua terza via hanno visto più che altro un vuoto di idee.
Benoit Hamon, l’utopista vicino a Sanders È il candidato del “reddito minimo universale”, la proposta che più si ricorda del suo programma. Anche lui già ministro, con Ayrault e con Valls, ha sconfitto l’ex premier alle primarie socialiste. Se Fillon è la Thatcher, Hamon è ormai noto come il Bernie Sanders francese (o il Jeremy Corbyn, a seconda dei punti di vista): ecologista, vicino agli interessi dei lavoratori, il candidato socialista vuole anche ridurre la settimana di lavoro da 35 a 32 ore e introdurre una tassa sui robot.
La sua campagna, inizialmente promettente, ha perso il sostegno di alcuni fra gli stessi compagni di partito: i più moderati si sono spostati verso Macron, i più radicali verso Mélenchon. E ora Hamonviv e la vigilia delle elezioni lontano dal ballottaggio sulla griglia di partenza.
Jean-Luc Mélenchon, il megafono della classe operaia Politico di lungo corso, già socialista, ha saputo costruirsi uno spazio alla sinistra del partito raggruppando sotto la sua bandiera - la France Insoumise - i comunisti e alcune formazioni della sinistra radicale. È stato l’oratore più abile della campagna elettorale, guadagnando punti soprattutto nei dibattiti televisivi. Si presenta come il candidato delle fasce operaie, ma ha saputo attirare a sé anche le classi medie e gli intellettuali di sinistra, con un programma visionario che propone una rivoluzione dei cittadini e una nuova Costituzione.
Mélenchon vuole tassare i più ricchi e garantire un salario minimo che favorisca i più poveri, riportare l’età pensionabile a sessant’anni, promuovere politiche a tutela dell’ambiente. In politica estera propone di rinegoziare i Trattati con l’Unione europea e di dialogare di più con la Russia. Un’accoppiata Le Pen / Mélenchon al ballottaggio, non esclusa dai sondaggi, anche se non la più probabile, è l’incubo degli europeisti.
Francia: i presidenti della Quinta Repubblica (Scheda)
Charles de Gaulle, 1959-1969 È il padre dell’attuale Costituzione francese, che fa redigere durante il mandato da presidente del Consiglio, nel 1958. Eletto alla presidenza della neonata Quinta Repubblica, il generale si impegna a prendere le distanze tanto dagli Stati Uniti quanto dal blocco sovietico, ponendo inoltre il veto all’ingresso del Regno Unito nella allora Cee. Tra le preoccupazioni di un presidente della Francia, in quegli anni, ci sono anche la guerra d’Algeria, cui De Gaulle riconosce l’indipendenza, e l’ondata di proteste operaie e studentesche nel 1968 passata alla storia come il Maggio francese.
Georges Pompidou1969-1974 Annunciando la morte di De Gaulle, nel 1970, dichiara che la “Francia è vedova”. Quattro anni dopo sarà lui a privare il Paese del suo Presidente, morendo prima della fine del settennato e lasciando incompiuto il suo programma di riforme, economiche e non solo: a lui si deve, ad esempio, la nascita in Francia del Ministero dell’Ambiente. Nel 1969 all’Aja, Pompidou propone il rilancio dell’integrazione europea, e nel 1972 indice un referendum sull’ingresso del Regno Unito nella Cee.
Valéry Giscard d'Estaing 1974-1981 Europeista della prima ora, è tra i promotori dell’elezione diretta del Parlamento europeo, dell’istituzione del Consiglio europeo e dei primi passi verso la creazione della moneta unica, con l’Emu. Sua è anche l’idea, nel 1975, di convocare e ospitare il primo Vertice dei Grandi a Rambouillet - un G5 inizialmente, allargatosi poi a Italia e quindi Canada fino a diventare il G7.
François Mitterrand 1981-1995 È il primo presidente socialista della Quinta Repubblica, carica che mantiene per 14 anni, affermandosi come il coinquilino più longevo dell’Eliseo. Con lui la Francia abolisce la pena di morte e depenalizza l’omosessualità. In Europa porta avanti e ravviva il percorso iniziato dal suo predecessore, rinvigorendo inoltre - con la collaborazione del cancelliere tedesco Helmut Kohl - l’amicizia con la Germania. Nel 1992 indice un referendum per chiedere ai francesi di esprimersi sulla ratifica del Trattato di Maastricht, che trasforma la Comunità in Unione. Vinceranno i Sì.
Jacques Chirac 1995-2007 Leader dei neogollisti, fondatore del Raggruppamento per la Repubblica, è sotto la sua presidenza che il mandato viene ridotto da sette a cinque anni. Tra i provvedimenti presi da Chirac anche la riduzione dell’orario settimanale di lavoro e l’introduzione delle unioni di fatto. Durante il suo secondo mandato, nel 2005, deve affrontare le rivolte delle Banlieue parigine, un’esplosione delle tensioni etniche e razziali covate nelleperiferie e una ferita ancora aperta nella Francia di oggi. Tiene la Francia, con la Germania, fuori dalla ‘coalizione dei Volenterosi’ che partecipa all’invasione dell’Iraq.
Nicolas Sarkozy 2007-2012 Repubblicano, èil presidente della “Rupture”, come lui stesso definisce il suo programma riformatore, ed è anche soprannominato l’Americano, per le sue posizioni nettamente più filo-Usa rispetto a quelle del predecessore. Nel 2014 è il primo ex capo di Stato francese ad essere posto in stato di fermo: l’accusa è di corruzione e traffico d’influenze. Torna alla vita politica l’anno dopo, vincendo le elezioni provinciali con una nuova coalizione di centro-destra. Si ricandida infine alle primarie dei Repubblicani per le presidenziali: sconfitto, annuncia il ritiro a vita privata, come già aveva fatto dopo aver perso nel 2012 contro Hollande.
François Hollande 2012-2017 Il presidente uscente lascia l’Eliseo dopo sette anni di travagli, pubblici e privati, segnati da un costante calo in termini di popolarità. L’uomo che con la sua “normalità”, aveva battuto l’ex presidente Sarkozy, che ha riformato il fisco e introdotto matrimoni e adozioni gay, ha poi imboccato la strada del declino senza riuscire a fermarsi: dalla storia clandestina con Julie Gayet alla contestata riforma del lavoro, all’atteggiamento per alcuni troppo conciliante verso la cancelliera Merkel. Ma Hollande sarà anche ricordato come il presidente della Francia umana e composta di fronte alla minaccia del terrorismo e dell’estremismo jihadista.
Isabella Ciotti è giornalista.
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