La Turchia si spacca in due, ma - con il 51% dei voti -
consegna la vittoria a Erdogan e approva la sua riforma
costituzionale che trasforma il Paese in una Repubblica
presidenziale. Le opposizioni lamentano irregolarità e
annunciano battaglia, mentre Erdogan esulta e
prospetta un'altra consultazione popolare per reintrodurre
la pena di morte. La tensione resta intanto alta nella
penisola coreana, dopo l'invio della squadra navale
della portaerei Carl Vinson da parte di Washington.
Il vicepresidente Usa Mike Pence ha cominciato
proprio da Seul il suo tour asiatico, per rassicurare
l'alleato sudcoreano e mandare segnali a Kim Jong-un:
"La nostra pazienza strategica è finita". E l'Italia,
tra crisi nel Pacifico e in Medio Oriente, è protagonista
dell'agenda di politica estera 2017: dopo i primi
incontri ministeriali di Lucca e Roma, si avvicina
il G7 di Taormina, che vedrà il debutto di Donald
Trump e del nuovo presidente francese, oltre
che del premier Gentiloni e di Theresa May.
L'alleanza transatlantica ne verrà fuori indenne?
Questione palestinese
La Scuola di Gomme di Al Khan Al Ahmar
Dipartimento di Policy di GVC Italia
17/04/2017 |
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Al Khan Al Ahmar è una delle 18 comunità beduine che risiedono in zona E1, l’area che prende il nome dal piano con il quale Israele ha programmato di unificare Gerusalemme Est a Ma’ale Adumim, uno degli insediamenti israeliani più grandi in Cisgiordania. Fondato nel 1975, secondo B’Tselem, è residenza di circa 40 mila coloni.
Nel villaggio di Al Khan Al Ahmar si trova la cosiddetta Scuola di Gomme, finanziata dalla Cooperazione Italiana allo Sviluppo. La scuola è a rischio di demolizione sin dal 2009 ed è al centro di lunghe vicende giudiziarie nelle Corti israeliane, nonché oggetto di scambi diplomatici fra Italia e Israele e proteste da parte dell’Ue.
A inizio marzo, le autorita’ israeliane hanno emesso ordini di demolizione per tutte le strutture del villaggio di Al Khan Al Ahmar, ponendo i residenti a rischio di un trasferimento forzato di massa e riportando il caso al centro dell’attenzione.
I residenti, rifugiati registrati dall’Unrwa, provengono dal deserto del Naqab, oggi parte di Israele.Secondo l’organizzazione Bimkom, furono espulsi dalle proprie terre nei primi Anni ‘50. Fanno parte dei circa 300,000 palestinesi, stimati dalle Nazioni Unite, residenti in Area C all’interno di piccoli villaggi costituiti da baracche e circondati da insediamenti israeliani, illegali per il diritto internazionale.
Dal punto di vista dei coloni Lo scorso 13 marzo, Josh Hasten, dell’organizzazione dei coloni israeliani Regavim, ha pubblicato un articolo sul Jerusalem Post, in cui illustra ‘il diabolico piano di Autorità palestinese e Unione europea per l’Area C’, colpevoli di sostenere la crescita di mini-città in Area C e nello specifico nel corridoio E1. Secondo l’autore ‘il principale accampamento illegale, divenuto il simbolo di questa storia, è la comunità di Khan Al Ahmar’.
Rifacendosi al regime dei permessi di costruzione applicato da Israele in Cisgiordania e ritenuto discriminatorio dalle Nazioni Unite e da vari esperti di diritto internazionale, Hasten ritiene le attivita’ di Unione europea e Autorità palestinese ‘illegali’ in quest’area. Hasten ha aggiunto che ‘il Governo ha fatto di tutto per offrire soluzioni abitative permanenti a queste famiglie’, riferendosi ai siti urbani costruiti da Israele in Cisgiordania dove i beduini dovrebbero essere rilocati, una volta trasferiti forzatamente.
Demolizioni e sfollati in E1 Secondo le Nazioni Unite nei primi due mesi del 2017 le autorità israeliane hanno demolito 24 strutture nelle 18 comunità beduine che vivono nella zona E1, provocando lo sfollamento di 133 persone, di cui la metà bambini. Metà delle strutture demolite erano assistenza umanitaria da parte di Stati europei. In totale, fra il 2013 e il 2016 le autorita’ israeliane hanno demolito circa 180 strutture in 13 delle 18 comunità situate nella zona E1 provocando lo sfollamento di 500 persone.
Le demolizioni in Area C sono suffragate dalla mancanza di permessi di costruzione, ma secondo B’Tselem, fra il 2000 e il 2012, solo il 5,6% delle richieste di permessi è stato approvato e secondo Bimkom, fra il 2010 e il 2014, il 98% delle richieste di autorizzazione a costruire in Area C da parte di palestinesi è stata rigettata. Tale situazione obbliga la popolazione palestinese a realizzare, in condizioni precarie, le infrastrutture temporanee necessarie a soddisfare i bisogni basici.
Una parte per il tutto Negli ultimi due anni, demolizioni e confische nei villaggi palestinesi in tutta l’Area C sono aumentate, parallelamente all’espansione di insediamenti israeliani. Il caso di Al Khan Al Ahmar è uno dei tanti, simile a quella di Susya. L’utilizzo mirato del regime di autorizzazioni descritto e le restrizioni al movimento sono fra i principali fattori che impediscono l’accesso ai servizi di base e lo sviluppo di questi villaggi palestinesi in Area C. Nel frattempo l’espansione degli insediamenti illegali continua.
Nonostante il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite abbia approvato la risoluzione 2334/2016 nella quale ritiene gli insediamenti israeliani in territorio occupato ‘privi di validità giuridica e flagrante violazione del diritto internazionale’, nonché un ostacolo al raggiungimento della soluzione a due Stati e della pace, il 6 febbraio 2017 la Knesset ha approvato una legge che legalizza diversi avamposti costruiti su terreni di proprietà privata palestinese in territorio occupato.
Il 30 marzo, il Governo israeliano ha annunciato la costruzione di un nuovo insediamento in territorio occupato, per la prima volta dopo più di 20 anni, con l’obiettivo di alloggiare i coloni dell’avamposto di Amona, smantellato ed evacuato su ordine della Corte Suprema ad inizio febbraio.
L’ambiente coercitivo e le Violazioni di Diritto Internazionale Molti interpreti di diritto internazionale ritengono che ciò che accade in Area C sia configurabile come trasferimento forzato della popolazione. Il trasferimento della popolazione dello Stato occupante in territorio occupato (gli insediamenti israeliani) e il trasferimento della popolazione del territorio occupato fuori o all’interno di esso (i trasferimenti dei palestinesi dai villaggi dell’Area C) costituiscono entrambi gravi violazioni degli articoli 49 e 147 della IV Convenzione di Ginevra del 1949. Secondo il diritto penale internazionale le gravi violazioni sono da considerare crimini di guerra.
Uno degli elementi del crimine di trasferimento forzato è la creazione di un ambiente coercitivo. Le demolizioni, la restrizione all’accesso ai servizi di base, i divieti di movimento, nonché le violenze non sanzionate da parte dei coloni e dell’esercito israeliano, sono fra i fattori che creano un ambiente coercitivo.
Due Stati? La cosiddetta soluzione a due Stati, promossa per decenni da Ue e Stati Uniti, mira alla nascita di uno Stato palestinese indipendente, avente quindi un proprio territorio. Tuttavia, le continue violazioni di diritto internazionale attraverso cui Israele compromette l’unità del territorio del futuro Stato palestinese, tra i quali gli insediamenti illegali e il trasferimento forzato, sembrano aver già compromesso la possibilità di realizzarla.
In questo senso il caso di Al Khan Al Ahmar e’ un esempio del ‘tutto’, un progetto di annessione del territorio e inibizione della nascita del futuro Stato. Quali soluzioni concrete possono quindi offrire i Paesi, soprattutto quelli alleati di Israele, che ancora formalmente promuovono la soluzione a due Stati?
Dipartimento di Policy di GVC Italia. GVC - Gruppo di Volontariato Civile - è un’organizzazione non governativa laica e indipendente, nata a Bologna nel 1971, attiva in Palestina sin dal 1992 con progetti di assistenza umanitaria e sviluppo socioeconomico. Per maggior informazioni.
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