I sondaggi sorridono a Emmanuel Macron, quando mancano
10 giorni al voto per il rinnovo dell'Assemblea nazionale:
i francesi vogliono dare al presidente un mandato pieno
e si preparano a premiare la sua République En Marche
nelle urne delle legislative (primo turno l'11 giugno).
L'Ue, che studia gli spazi d'azione lasciati liberi dal
paventato disimpegno globale degli Stati Uniti di Donald
Trump, conferma intanto - per bocca del presidente della
Bce Mario Draghi - la necessità di mantenere ancora aperti
i rubinetti del Quantitative Easing, nonostante i timidi
segni di ripresa delle prospettive economiche dell'eurozona.
A Oriente, invece, la Corea del Nord non arretra di un
passo le sue provocazioni, fra lanci missilistici e sprezzanti
messaggi all'indirizzo di Washington e Seul: le sanzioni
internazionali sono ancora uno strumento valido?
erso le politiche Francia: elezioni, più web che tv Alessandro Miglioli 01/06/2017
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Che la competizione politica sia sempre più incentrata sul campo di battaglia di internet e delle nuove tecnologie è il più grande segreto di Pulcinella del nostro tempo.
Il contesto politico internazionale di questi mesi è caratterizzato da una densa serie di tornate elettorali. Gli Stati Uniti, la Francia, il Regno Unito e la Germania, (quattro fra le sei maggiori economie mondiali) saranno tutti passati per le urne in poco più di dieci mesi. A questi va poi aggiunta l’evenienza ancora possibile di elezioni politiche anticipate in Italia.
La prossimità temporale di questi appuntamenti democratici ha ulteriormente accentuato un fenomeno di interconnessione dei discorsi politici: quest’anno più che mai abbiamo assistito ad un interesse reciproco degli elettori per le scelte delle loro controparti straniere. Questo fenomeno ha certamente fra le sue concause l’interdipendenza economica che è emblema del nostro tempo, ma i fenomeni economici, mi si perdoni la tautologia, hanno ragioni di natura economica.
L’influenza dei social sul voto Quello che sarebbe interessante osservare è il modo in cui l’interconnessione sociale dovuta ai social network e ad internet più in generale sta influenzando questa serie di tornate elettorali. Concentriamoci, a titolo d’esempio, sulle recenti elezioni francesi. In questi giorni il dibattito politico nella terra digitale d’Oltralpe ha attraversato un periodo di relativa calma, non a causa di una distensione dei rapporti fra le forze politiche, quanto piuttosto per il fatto che ci si trova all’interno di un occhio del ciclone elettorale, con le elezioni presidenziali appena concluse, e quelle legislative dell’11 e 18 giugno già dietro l’angolo.
L’importanza che il cyber-discorso politico ha raggiunto è esemplificata da un dato su tutti, il tempo di parola concesso dai media tradizionali, quali radio e televisione. Secondo le rilevazioni del Csa (Conseil Supérieur de l’Audiovisuel) i due candidati che hanno ricevuto il maggior numero di ore di attenzione da parte dei media tradizionali non sono riusciti ad approdare al secondo turno.
Hamon, il candidato socialista, ha ricevuto solo un quarto dei voti di Macron, pur avendo avuto il 10% di tempo in più del giovane centrista. Fillon, il candidato dei repubblicani, si è classificato appena una manciata di voti al di sopra di Mélenchon, pur avendo potuto parlare quasi il doppio alla radio e in tv.
I due candidati vincitori del primo round delle elezioni presidenziali, e che adesso si preparano alle legislative in veste, rispettivamente, di presidente - Emmanuel Macron - e di leader del principale partito d’opposizione - Marine Le Pen -, sono invece stati costretti a basare la loro strategia su un più pervasivo utilizzo dei social media, venendo ampiamente ricompensati da questa scelta parzialmente obbligata.
Macron e Le Pen alla prova dei social Il primo e più ovvio dato sulla loro capacità di persuasione su internet è il numero “mi piace” alle pagine, che sono effettivamente le due pagine con più iscritti nel panorama politico francese. Al di là di questo dato, che non deve essere certo preso come verità ultima (Facebook non può e non deve sostituirsi alle agenzie di polling), è ancora più interessante osservare come i due candidati si pongano su posizioni opposte sul cleavage interconnessione-isolamento, invece che sulla più classica dicotomia destra-sinistra.
È su questo nuovo asse che si basa sempre più la politica: i risultati di eventi politici come l’elezione di Trump e la vittoria della Brexit ne sono efficaci testimonianze. Ed è su questo tema che si coagulano in maniera sempre più chiara due coalizioni di pensiero su base internazionale, aiutate dalle possibilità di comunicazione garantite da internet.
Queste nuove posizioni politiche, una chiaramente internazionale, e l’altra, paradossale alleanza internazionale dei nazionalismi, sono nate e cresciute grazie ed in risposta all’interconnessione. La facilità con cui ci si può rispecchiare e sentirsi partecipe delle posizioni politiche di uno straniero è effettivamente senza precedenti nella storia umana.
Questa nuova capacità di immedesimazione politica internazionale che pervade l’occidente ha però un contraltare nel fenomeno denominato dal Wall Street Journal ‘Blue Feed, Red Feed’, dai colori dei due principali partiti politici americani.
L’effetto Blue Feed, Red Feed Questo fenomeno ha origine nel funzionamento stesso degli algoritmi dei social network, ma prima ancora che da una ragione tecnologica, nasce da una ragione psicologica. In base alle preferenze espresse precedentemente, il social network propone all’utente la visualizzazione di contenuti simili a quelli già visualizzati ed apprezzati. Dunque un sostenitore della Le Pen, per fare un esempio, finirà per trovare sulla sua bacheca immagini, video ed articoli in linea con le posizioni del Front National. Viceversa per i sostenitori di Macron o di qualsiasi altro gruppo politico.
Questo meccanismo sta portando sempre di più a una fossilizzazione delle posizioni politiche dei cittadini europei, che trovandosi continuamente rinforzati nelle loro opinioni da pareri affini finiscono per non poter vedere in nessun modo i punti di forza di idee concorrenti.
Le due tendenze di cui abbiamo parlato, agendo contemporaneamente, rendono internet il luogo ideale per consolidare consensi fra coloro che hanno posizioni affini, ma al tempo stesso le azioni di convincimento sugli elettori di posizioni avversarie, ed anche solo la possibilità di uno scambio civile di opinioni, si fanno ogni giorno più difficili.
Il nuovo cleavage internazionalismo-isolamento è dunque entrato nella scena politica per restarci, probabilmente per molti anni, perché è iscritto nella struttura stessa del nuovo campo di battaglia politico.
Alessandro Miglioli è laureato all'Università di Bologna in sviluppo e cooperazione internazionale.
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Trump e l’Europa G7 e Nato, un drammatico ‘wake up call’ Ferdinando Nelli Feroci 30/05/2017
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Che non ci fosse una speciale sintonia tra il nuovo presidente americano e l’Europa era cosa nota. La distanza di posizioni e sensibilità era emersa con chiarezza fin dalla campagna elettorale di Trump candidato, e poi a seguito delle prime decisioni di Trump presidente.
Ruolo degli Usa nel mondo, le varie declinazioni del principio “America first”, la sfiducia nella Nato, il rapporto con la Russia, il disimpegno rispetto al ruolo delle istituzioni multilaterali, la diffidenza se non addirittura l’ostilità nei confronti dell’Unione europea, le posizioni espresse in materia di migrazioni, di commercio internazionale, di clima e energia, erano emersi fin dall’inizio come altrettanti fattori di divergenza tra il nuovo presidente Usa e gli europei.
In Europa si era poi sperato che il sistema dei “checks and balances” previsto dalla Costituzione americana, la pratica di governo, un’auspicata presa di coscienza delle complessità del quadro internazionale, e il ruolo di alcuni collaboratori più esperti di affari internazionali, avrebbero contribuito a ridimensionare un programma di governo probabilmente coerente con le aspettative degli elettori di Trump, ma francamente destabilizzante rispetto a un partenariato transatlantico che si era finora basato su valori e obiettivi condivisi.
La prima missione internazionale del nuovo presidente Poi è arrivata la prima missione internazionale del presidente americano,per la quale vi erano grandi aspettative in Europa e nel Mondo. Così abbiamo potuto registrare che a Riad Trump ha ribaltato l’agenda del suo predecessore e ha puntato sull’obiettivo di un asse preferenziale con l’Arabia Saudita e con i Governi del mondo arabo sunnita per una grande alleanza contro il terrorismo di matrice islamica e in funzione di contenimento dell’Iran.
E abbiamo potuto constatare che a Gerusalemme Trump ha confermato il rapporto strategico con Israele; e ha manifestato solo un generico interesse per l’obiettivo della pace fra israeliani e palestinesi (ma senza assumere impegni per un coinvolgimento diretto degli Usa nel negoziato e senza menzionare la precondizione dei due Stati).
Ma è stato a Bruxelles e poi a Taormina che Trump ha lanciato il messaggio più chiaro ai suoi partner e alleati europei. Al Vertice Nato Trump ha evitato accuratamente ogni riferimento all’impegno americano in materia di difesa collettiva (il noto Articolo V del Trattato, che costituisce il fondamento e la motivazione originaria dell’Alleanza atlantica); ha ottenuto (senza troppe difficoltà, ma anche con poche implicazioni operative) un coinvolgimento della Nato nel contrasto del terrorismo; ma ha soprattutto messo in mora gli alleati europei, sollecitando assai bruscamente una loro accresciuta partecipazione alle spese dell’Alleanza e un aumento dei bilanci della difesa.
Taormina, uno dei Vertici più difficili di sempre E poi a Taormina, in quello che è stato definito come uno dei Vertici G7 più difficili di sempre, si è potuta ancor meglio misurare la distanza che separa il presidente americano dagli europei (per una volta uniti e solidali, con l’eccezione della May in piena campagna elettorale e con una agenda politica tutta concentrata sulla Brexit).
A Taormina abbiamo non solo registrato la percepibile insofferenza di Trump per i rituali di un vertice multilaterale, e abbiamo potuto assistere alle varie scortesie istituzionali regolarmente sottolineate dalla stampa internazionale (tra cui la decisione clamorosa di evitare la consueta conferenza stampa a conclusione dei lavori del Vertice per andare a pronunciare un discorso di fronte alla truppe americane di stanza a Sigonella).
Ma soprattutto a Taormina si è avuta la netta impressione, malgrado il generoso tentativo del comunicato finale del Vertice di mascherare le differenze in un linguaggio diplomatico e apparentemente consensuale, che Trump abbia voluto cogliere l’occasione del primo incontro collegiale con i leader dell’Occidente per riaffermare le proprie posizioni di principio, contestare i meriti della concertazione e cooperazione in un quadro multilaterale e marcare le differenze,soprattutto rispetto agli europei, in particolare su gestione dei flussi migratori, commercio internazionale e contrasto del cambiamento climatico.
In sintesi a Taormina si è assistito ad un drammatico “wake up call” per gli europei, che d’ora in poi saranno consapevoli di dover affrontare senza il sostegno americano molti dossier di prioritario interesse: dalla difesa alle migrazioni, dal cambiamento climatico al commercio internazionale.
Ed è questo il senso delle dure parole, pronunciate, all’indomani di Taormina, dalla cancelliera tedesca Merkel, che per prima ha avuto il coraggio di prendere pubblicamente atto della nuova situazione (“sono finiti i tempi in cui potevamo fare affidamento sugli altri”) e ha chiamato gli europei “a prendere il loro destino nelle loro mani”, mostrando di avere colto il senso di quanto emerso al G7 e di trarne le necessarie conseguenze.
Una straordinaria finestra d’opportunità Nell’ottica di una ripresa di iniziativa politica da parte dell’Europa e degli europei, la Merkel ci ha però anchevoluto ricordare che la Brexit prima e ora Trump possono offrirci una straordinaria finestra di opportunità per una rilancio del progetto europeo.
Sviluppi e nuovi impegni nel campo della sicurezza e di una dimensione europea di difesa, completamento della governance dell’Euro, un nuovo governo dell’economia, e politiche migratorie più efficaci e solidali, dovrebbero essere i settori su cui andare rapidamente a testare la volontà e la determinazione degli europei di “riprendere in mano il loro destino”.
E tutto questo beninteso non nella prospettiva di una contrapposizione frontale con gli Usa di Trump, di cui l’Europa comunque non potrà fare a meno. Ma in un’ottica di maggiore autonomia e di maggiore responsabilità dell’Europa e degli europei rispetto al tradizionale alleato e partner.
Certo si dovrà essere consapevoli che se non si riuscirà a procedere a 27 si dovrà essere pronti ad avviare iniziative a partecipazione variabile, sulla base del metodo delle integrazioni differenziate. E si dovrà ugualmente essere consapevoli che per procedere su questa strada la volontà politica costituirà una condizione necessaria ma non sufficiente; ma che sarà necessario anche soddisfare vari requisiti e precondizioni.
Francia e Germania sembrano pronte a raccogliere la sfida. C’è da sperare che anche l’Italia saprà fare la sua parte, non limitandosi a seguire iniziative di altri, ma partecipando da protagonista con idee e proposte. Un obiettivo che presupporrebbe peraltro un minimo di stabilità del quadro politico.
Ferdinando Nelli Feroci è presidente dello IAI.
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