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venerdì 27 maggio 2016

Ricerca Parametrale n. 437. Notizie del 18 maggio 2016

Oggetto Newsletter : Usa2016, Austria, Islam d'Italia
Newsletter n° 437 , 18 maggio 2016

Donald Trump e Norbert Hofer: negli Stati Uniti come in Europa,
 la scena è tutta per i nazionalpopulismi, con il magnate dell'immobiliare
 che mette al sicuro la nomination repubblicana e l'astro nascente 
della destra austriaca che tenta il colpo al ballottaggio di domenica. 
Propagande incrociate che cavalcano le paure legate ai flussi 
migratori: l'Ue riuscirà a riformare il sistema di Dublino? 

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Ricerca Parametrale 430. Notizie del 24 maggio 2016

Oggetto Newsletter : Austria, Obama a Hiroshima,
Italia in Tunisia
Newsletter n° 439 , 24 maggio 2016

Nessun presidente populista per l'Austria. Con soli tre punti
 decimali di vantaggio, a spuntarla è il verde van Der Bellen.
 Lo scontro sembra però solo rimandato alle prossime politiche. 
Obama intanto partecipa all'ultimo G7 da presidente, 
ma l'appuntamento più importante del suo programma 
asiatico sarà il viaggio a Hiroshima, il primo di un 
presidente Usa. Anche se nessun mea culpa è in
 programma, si tratta di un pellegrinaggio storico.
 Un gesto di coraggio per rilanciare l'agenda sul disarmo? 

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Ricerca Paramentrale n.438. Notizie del 21 maggio 2016

Oggetto Newsletter : Turchia, Austria, Taiwan
Newsletter n° 438 , 21 maggio 2016

Gli austriaci vanno alle urne, i turchi dell'Akp si riuniscono 
in congresso: doppio appuntamento politico-elettorale tra 
Vienna, dove il candidato della destra nazionalpopulista e
 anti-immigrati Hofer parte come il favorito per la presidenza, 
e Istanbul con l'investitura del nuovo premier. Nuovo corso a
 Taiwan, dove si insedia la capo di Stato Tsai Ying-Wen. 
Riuscirà a prendere le distanze dal Dragone? 

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lunedì 16 maggio 2016

Ricerca Parametrale . 436 Notizie del 14 maggio 2016

Oggetto Newsletter : Negoziati Siria e Libia,
immigrazione, Italia-Cina
Newsletter n° 436 , 14 maggio 2016

A Vienna si torna a trattare sulla Libia e sulla Siria. 
Lunedì e martedì si terranno i prossimi due vertici 
internazionali sulle crisi in atto in Nordafrica e Medio 
Oriente. Molti i convocati, ma poche le speranze.
 L'Italia intanto riscopre un posto al sole nella 
mappa del potere di Bruxelles; e con il Parlamento
 europeo che boccia il riconoscimento dello status 
di economia di mercato alla Cina, Roma prova a
 far da ponte con Pechino. Riuscirà a vincere 
anche la sfida dell'integrazione e a sventare l'allarme banlieue? 

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Un problema dalle milee sfaccettature

Immigrazione
Germania, rifugiati … nel posto sbagliato
Eugenio Salvati
08/05/2016
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L’onda d’urto dei flussi migratori che per anni ha scosso quasi esclusivamente i paesi della sponda nord del Mediterraneo arriva a farsi sentire nel cuore dell’Unione europea, Ue, in primis in Germania, ossia il paese Ue che ha ricevuto il maggior numero di richieste di asilo nel 2015.

Quasi 120 mila. Oltre alla ovvia questione numerica, il tema che ha più colpito l’opinione pubblica tedesca e gli osservatori è la politica di apertura e accoglienza promossa da Angela Merkel; una scelta che ha procurato non pochi problemi politici alla Cancelliera. Appare perciò interessante capire come Berlino stia gestendo tale flusso e quali caratteristiche abbia il collocamento dei rifugiati nel paese.

Crescita dell’intolleranza tedesca
L’interessante mappatura costruita dalla rivista The Economist riguardo alla collocazione dei migranti in Germania, fornisce utili spunti di riflessione sul modo in cui il governo tedesco ha deciso di gestire organizzativamente l’accoglienza.

Secondo l’indice costruito dall’Economist (che è il prodotto dell’incrocio tra le variabili inerenti la disponibilità di alloggi nel paese, le opportunità di occupazione e le garanzie per la sicurezza degli stessi migranti) le aree che meglio potrebbero rispondere all’accoglienza dei rifugiati sono disperse lungo tutto il territorio tedesco, senza un punto di particolare concentrazione.

L’elemento che le accomuna è piuttosto la distanza dalle grandi città, con queste ultime che non rappresenterebbero i luoghi ideali di collocazione secondo i parametri di tale mappatura.

La distribuzione nei Lander tedeschi non segue però questo ipotetico indice di miglior collocazione, quanto piuttosto il tentativo di evitare la possibile sedentarizzazione di questi immigrati.

I dati ci dicono che il governo non opta per il collocamento in zone dove ci sono molte abitazioni disponibili o maggiore necessità di forza lavoro. Il criterio dominante sembra essere quello della distribuzione nei grossi centri urbani, utilizzando come parametri la grandezza delle città e la loro ricchezza. Ad esempio Berlino, nel corso del 2015, ha accolto quasi il 5% del totale dei rifugiati arrivati in Germania.

Un altro elemento che può concorrere alla decisione di dove ricollocare i rifugiati è la variabile dell’ostilità nei confronti dei migranti, che la carta dell’Economist misura con gli attacchi sferrati contro i centri di accoglienza e con episodi manifesti di intolleranza.

Nella mappa il punto di maggior tensione è la Sassonia, non casualmente un Land dell’est e una delle regioni con il più alto tasso di disoccupazione e il minor numero di investimenti.

Osservando la mappa vediamo come invece proprio in Sassonia, il governo abbia provveduto a un ricollocamento di rifugiati, non elevato in termini assoluti (in un range tra i 500 e i 999) ma sufficiente a rafforzare una certa ostilità già diffusa tra i cittadini.

Ciò conferma quanto nelle zone in cui maggiori sono le difficoltà socio-economiche, maggiore è la difficoltà ad accettare la presenza di immigrati, visti in particolare come “concorrenti” nel mercato del lavoro e nell’accesso ai servizi di welfare.

Esigenze di manodopera
Il grande afflusso di migranti economici e di richiedenti asilo verso la Germania è dovuto al fatto che quella tedesca è l’economia più forte e sviluppata del continente ed è un paese con una lunga tradizione di immigrazione economica, sia di provenienza europea che extra europea.

Nonostante la profonda crisi che ha colpito il continente a partire dal 2008, la Germania è riuscita a non scivolare nella stagnazione e si è imposta come la locomotiva economica del continente, ricominciando ad attrarre ingenti flussi di immigrati dal Sud Europa. Al momento il Paese sembra avere un notevole bisogno di manodopera non specializzata per la propria economica, un bisogno che dovrebbe crescere nei prossimi anni.

In quest’ottica, l’immigrazione sembra essere la sola risposta plausibile rispetto alle necessità del comparto produttivo: lo snodo centrale sarà capire quanta parte di questa immigrazione avrà la possibilità di integrarsi a lungo termine nel tessuto socio-economico del Paese e quanta parte sarà invece considerata come immigrazione temporanea (spesso, ma non solo, legata anche a lavori stagionali); in questo secondo caso seguendo quella che è una linea consolidata nella politica migratoria tedesca.

Meno welfare per i residenti non tedeschi
Il tema dell’accoglienza e dell’integrazione degli immigrati non riguarda solo i rifugiati provenienti dai Paesi extraeuropei, ma come detto anche i cittadini comunitari. È di pochi giorni fa l’ipotesi avanzata dal ministro del lavoro e degli affari sociali, la socialdemocratica Andrea Nahles, di presentare una proposta di legge per impedire che i residenti non tedeschi beneficino del pacchetto di ammortizzatori sociali Hartz IV (ossia sussidio di disoccupazione e assegni sociali) fino a che non abbiano maturato i diritti all’assicurazione sociale (acquisibili solo dopo cinque anni di lavoro nel Paese).

Questo provvedimento è molto simile a quello previsto nel Regno Unito - e che è stato oggetto della recente contrattazione con l’Ue per scongiurare la Brexit - e di fatto mette un altro freno al processo d’integrazione, favorendo il ritorno al concetto di cittadinanza come requisito fondamentale per accedere ai servizi offerti dello stato.

Questa scelta è uno dei vari elementi che sembrano indicare l’inizio di un processo disgregativo rispetto alle conquiste prodotte dal processo di integrazione europea negli ultimi decenni. In questo modo è evidente che la Germania, come ha fatto la Gran Bretagna, voglia scoraggiare forme di trasferimento economico e lavorativo di lungo periodo e soprattutto voglia ostacolare l’accesso al welfare per chi non è cittadino tedesco.

Queste scelte sono il frutto della pressione esercitata dai partiti euroscettici ed anti-immigrazione che costringono sempre più sulla difensiva i governi europei.

Eugenio Salvati è Dottore di Ricerca in Scienza Politica, Università di Pavia.
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Ricerca Parametrale. Notizie del 11 maggio 2016

Oggetto Newsletter : Libia, Marò, Arabia Saudita
Newsletter n° 435 , 11 maggio 2016

In una Libia debole e frammentata, il generale Khalifa Haftar 
punta a sconfiggere i seguaci del Califfato insieme alle sue
 truppe: sullo sfondo, il ruolo di Londra e Parigi e le ambizioni 
dell'uomo forte di Tobruk che calca la mano sull'odio anti-italiano. 
A Roma, intanto, è atteso il rientro di Salvatore Girone, dopo che 
il Tribunale arbitrale internazionale ha accolto la richiesta italiana, 
in attesa della definizione della giurisdizione sul caso dei
 marò e di eventuali prossime mosse diplomatiche.

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lunedì 9 maggio 2016

Ricerca parametrale n. 434. Notizie del 7 maggio 2016

Oggetto Newsletter : Sindaco di Londra,
Tricolori bruciati, Cina-Ue
Newsletter n° 434 , 7 maggio 2016

Dalle urne inglesi arriva il primo sindaco musulmano
 di una capitale europea: il laburista Sadiq Khan,
 da oggi alla guida di Londra. E mentre gli elettori 
britannici fanno le prove generali per il referendum
 sulla Brexit, la seconda puntata del nostro 
speciale immagina stavolta la vittoria del fronte
 contrario al divorzio fra Uk e Ue. In Libia, intanto, 
il governo di unità nazionale regge, ma traballa,
 fra le manovre del generale Haftar che aizza i suoi a bruciare i tricolori italiani. 

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martedì 3 maggio 2016

Un problema in più per l'Europa

Europa
Brexit, se ci lasciamo
Antonio Armellini
28/04/2016
 più piccolo più grande
Come andrà a finire il voto sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione europea. L’ambasciatore Antonio Armellini delinea i due scenari opposti, ragioni e conseguenze. In questo articolo si ipotizza una vittoria del fronte a favore dell'uscita. Nel prossimo, immagineremo il trionfo di chi vuole rimanere nell'Ue.

Dunque è ufficiale: Londra esce dall’Unione europea, Ue. L’incertezza dopo che i primi exit polls avevano indicato un testa a testa, è finita nella giornata di ieri con la conferma di risultati più deludenti del previsto per il remain.

Non solo nel Nord dell’Inghilterra ma, sorprendentemente, in Scozia e in Ulster. Non si è trattato di un tracollo: la percentuale - 56% a favore e 42% contro - ricorda quella del referendum sulla Scozia del 2014, così come il numero di votanti, che è rimasto al disotto del 60%.

La sconfitta comunque c’è stata: le grandi città - Londra, Manchester, Birmingham - hanno votato compattamente per il remain, ma l’appoggio del Sud dell’Inghilterra per il brexit non ha subito incrinature. Jeremy Corbin ha lasciato trasparire fin troppo che il suo impegno era solo di facciata e il “soccorso rosso” del voto laburista non si è materializzato quanto sarebbe stato necessario.

Voto di pancia
Che il voto sarebbe dipeso non tanto da considerazioni razionali (non ce n’erano molte, a favore del brexit) quanto psicologiche e “di pancia” lo si sapeva sin dall’inizio.

L’ultimo psicodramma greco e il fallito tentativo di dare vita a un vero sistema di controllo comune alle frontiere, mentre l’accordo con il presidente turco Racep Tayip Erdogan traballa vistosamente e si è aperto un nuovo drammatico fronte con la Libia, hanno alimentato in un elettorato in cui sono mancati i giovani (su cui contava il remain), quel miscuglio tipicamente britannico di insularismo fatto di diffidenza per tutto ciò che sa di straniero, di nazionalismo nutrito da nostalgie imperiali per una inesistente “anglosfera” in cui trovare rifugio salvifico dall’Europa, su cui puntavano i brexiteers per contrare il coro degli argomenti che quasi tutta l’industria, la City e la grande maggioranza degli alleati avevano intonato per sostenere il governo.

Quest’ultimo ha sottovalutato il pericolo di far apparire il referendum non già come una scelta sull’Ue, bensì fra l’arroganza cosmopolita delle élites e la difesa della gente comune da una globalizzazione incontrollata. Ci sarà tempo e modo per analizzare meglio le motivazioni del voto, ma la componente del rifiuto della politica intesa come prevaricazione di una casta lontana dagli interessi di quanti dovrebbe rappresentare, ha giocato più del previsto nell’orientare un voto che definire semplicemente populista sarebbe riduttivo.

Le correnti di protesta che si sono viste all’opera in Gran Bretagna si ritrovano in forme diverse e con motivazioni a volte molto lontane anche altrove nel vecchio continente: si tratta di un ulteriore campanello d’allarme per i meccanismi legittimanti dell’azione politica così come l’abbiamo sin qui conosciuta e del quale dovremmo preoccuparci tutti.

Dall’Europa reazioni prudenti
In Europa le prime reazioni sono di prudenza. Angela Merkel ha dichiarato che il risultato dovrà essere uno stimolo per la piena attuazione dell’Ue e su Londra è rimasta sul generale, dicendosi sicura che si troverà un’intesa capace di promuovere i legittimi interessi di entrambi.

Anche Matteo Renzi si è limitato a dirsi dispiaciuto per il risultato e a sottolineare che in ogni caso la Gran Bretagna rimane un membro fondamentale della famiglia europea.

Un po’ più esplicito Hollande, il quale ha detto che adesso i Ventisette non dovranno perdere tempo nel rinserrare le fila della costruzione comune.

Tutt’altra musica fra i nuovi paesi membri dell’Europa dell’Est. L’ungherese Viktor Orbane il polacco Andrzej Duda hanno annunciato una riunione straordinaria del Gruppo di Visegrad per chiedere che il referendum britannico sia replicato in tutti gli altri Paesi dell’Ue che lo vorranno. Ad applaudire a queste dichiarazioni anche l’Austria, seguita dal silenzio un po’ sbigottito di gran parte degli altri.

Regno Dis-Unito
David Cameron ha annunciato che non si dimetterà prima di aver impostato il negoziato ex art. 50 con l’Ue che dovrà stabilire “le nuove basi della collaborazione fra una Gran Bretagna libera e sovrana e una Europa democratica e amica”. Una mossa tattica disperata, nel tentativo di evitare l’implosione del partito e di tenere a bada Boris Johnson.

È assai difficile che possa riuscirvi: i conservatori sono sempre più spaccati fra una fazione, di cui potrebbe prendere la testa lo stesso Johnson, che punta ad assorbire l’Ukip di Nigel Farage e spostare più a destra l’asse del partito, ed una che guarda a Kenneth Clarke per dare vita a un nuovo partito moderato e filo-europeo, in cui potrebbe trovare ospitalità quel che rimane delle truppe liberali. Una ipotesi travolgente per la Gran Bretagna, ma il brexit costituisce una svolta epocale e il sistema dei partiti potrebbe subirne le conseguenze.

Nel frattempo, Nicola Sturgeon ha già annunciato che la Scozia chiederà un nuovo referendum sull’indipendenza e l’adesione all’Ue. Il Premier irlandese ha rilanciato la proposta di un “referendum di confine” che salvaguardi i diritti della minoranza unionista dell’Ulster nella futura Irlanda unificata. Il Galles per ora tace, ma non ci sarebbe da stupirsi se - come la Bielorussia all’epoca della dissoluzione dell’Urss - finisse per ritrovarsi indipendente “suo malgrado”.

Un Regno Dis-Unito intorno alla sola Inghilterra assiste al tripudio dei brexiteers che, avvolti nei loro Union Jack, fingono di non ascoltare il monito che Barack Obama non ha tardato a rinnovare già ieri.

Nuova Norvegia o Svizzera, maxi-Singapore, battitore libero nell’Omc: il negoziato con l’Ue sarà tutt’altro che una passeggiata e i vincitori del referendum dovranno pensare a quale strategia seguire. Non sembrano averne per ora alcuna e potrebbero essere guai.

Come lo saranno quasi sicuramente per il resto dell’Europa, che dovrebbe poter cogliere l’occasione del brexit per rilanciare la sua coesione interna e procedere finalmente verso una unione anche politica, ma che dovrà guardarsi verosimilmente dalla spinta disgregatrice del referendum per l’insieme dell’Ue. Una grande confusione sotto il cielo, di cui non si sentiva davvero il bisogno.

Antonio Armellini, Ambasciatore d’Italia, è commissario dell’Istituto Italiano per l'Africa e l'Oriente (IsIAO).
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lunedì 2 maggio 2016

Ricerca Parametrale n. 433 . Notizie del 2 maggio 2016

Oggetto Newsletter : Brexit, Migranti, Brasile
Newsletter n° 433 , 2 maggio 2016

Nonostante l'accordo con la Turchia, l'emergenza migranti alle
 porte d'Europa non s'arresta: l'Ue fa i conti con la minaccia di
 nuovi muri, mentre sono tanti i minori non accompagnati che
 approdano sulle coste mediterranee. E il prossimo sarà un mese
 difficile per l'Unione, fra voto in Spagna - dopo sei mesi di stallo
 politico nel Parlamento di Madrid, incapace di formare un governo
 - e referendum sulla Brexit. In due puntate, immagineremo i due
 opposti esiti del voto, che cosa accadrà se Londra divorzia dall’Ue?

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