ALBO D'ORO NAZIONALE DEI DECORATI ITALIANI E STRANIERI DAL 1792 AD OGGI - SITUAZIONE

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mercoledì 30 giugno 2021

Valore Militare nella provincia di Arezzo

Rivista QUADERNI N. 4  del 2020


 

INTERVENTO DEL GEN.C.A DOMENICO ROSSI ALLA PRESENTAZIONE DEL QUADERNO 1-2021 SUL VALORE COLLETTIVO IN PROVINCIA DI AREZZO

 

La parola valore ,che deriva  dal latino valere, può avere tanti significati.

Prendendo spunto dalla Enciclopedia Treccani la parola valore ,con riferimento alla persona indica il possesso di alte doti intellettuali e morali o alto grado di capacità professionale mentre con riferimento ad un atto    significa coraggio, ardimento dimostrati nell’affrontare i nemici in combattimento e nel sostenere fermamente le dure prove che la guerra comporta anche con pericolo della propria vita.

Per dare atto del valore nel tempo con riferimento proprio  al combinato disposto delle doti morali e di ardimento  sono state stabilite specifiche decorazioni   conferite   AL VALOR MILITARE, per atti di eroismo militare,AL VALOR CIVILE ,per atti che manifestino preclara virtù civica, e AL MERITO CIVILE, per eccezionale senso di abnegazione nel soccorso altrui.

Decorazioni che non ha caso quindi vengono istituite  fin dal 1793 con l’ Ordine dei Decorati al Valor Militare disposto da  Vittorio Amedeo III per passare nel 1851 alle Medaglie al Valor Civile  previste con RD di Vittorio Emanuele II. Chiudono in ordine temporale le decorazioni al merito civile istituite nel 1956.

Chiarito il significato delle decorazioni,faccio notare  un dato statistico di assoluto rilievo delle decorazioni descritte nel quaderno e riferite alla provincia di Arezzo e a suoi cittadini : ben 28 .

Un dato che  già da il senso del valore collettivo di una comunità.

Partendo dalle MEDAGLIE AL VALOR MILITARE concesse (1 medaglia d’oro ;1 d’argento;1 di bronzo;1 croce di guerra) ed andando ad analizzarne le motivazioni possiamo dare ancora un maggior significato al perché nell’Aretino si possa effettivamente parlare di valore collettivo più che degli atti dei singoli.

Intanto, comprendere meglio quello che è sucesso nell’aretino tra il 43 e il 45  appare importante leggere con attenzione la motivazione della medaglia d’ora concessa alla Provincia. Viene  infatti richiamata “l’irriducibile opposizione al nemico”   non solo da parte delle formazioni armate ma anche dalle popolazioni di città e di campagna.

In sostanza una resistenza totalizzante della comunità aretina che viene chiaramente concretizzata nella relazione del 16 settembre 1964 che la provincia di arezzo invia al ministero della difesa: 2131 caduti per rappresaglie ,bombardamenti aerei ed eventi bellici; oltre 800 ponti  e 52.000 vani abitazione distrutti; 151 partigiani caduti ,senza dimenticare una purtroppo lunga   lista di comuni o frazioni oggetto delle rappresaglie ben superiore alle decorazioni conferite.

La sensazione del valore collettivo si ricava peraltro anche dalla diversità delle  motivazioni espresse nel conferimento delle decorazioni  ai SINGOLI COMUNI.

A SANSEPOLCRO  la medaglia d’argento al valor militare viene concessa perché  vengono aiutati centinaia di detenuti politici italiani e jugoslavi  evasi dal Campo di Concentramento del Renicci e soprattutto per l’insurrezione armata del 19 marzo 1944 dove la popolazione sostenuta da un reparto partigiano si ribellò alle prepotenze dei repubblichini. Dopo strenua lotta i superstiti furono immediatamente fucilati.

A CAVRIGLIA la  medaglia di bronzo al valor militare viene tra l’altro concessa per l’efficacia degli scioperi dei suoi minatori.

A PIEVE SANTO STEFANO la croce di guerra al valor militare viene conferita per le persecuzioni,deportazioni e soprattutto per le intense offese aeree e terrestri,tali da far meritare al comune  l’appellativo di SECONDA CASSINO D’ITALIA. Ne sono testimonianza la distruzione del 100% dei  fabbricati del capoluogo i morti e i deportati e finanche le migliaia di animali che furono asportati danneggiando in modo sotanziale la piccola economia del territorio.

Il supporto di vario tipo dato dalle popolazioni alle formazioni partigiane scatenò una serie di rappresaglie con una  comune  estrema crudelta’ nei confronti di cittadini inermi che furono scientemente trucidati. Situazioni efferate che hanno dato luogo al conferimento di varie Medaglie al Valor Civile :

Nel comune di BUCINE  (medaglia d’oro) nel periodo giugno luglio 1944 vi furono 29 eccidi in cui furono uccise 123 persone.

Nel comune di CIVITELLA in Val di Chiana (medaglia d’oro) persero la vita il 29 giugno del 1944  ben 244 persone  tra Civitella,San Pancrazio e Cornia.

Nella frazione di Vallucciole del comune di PRATOVECCHIO DI STIA (medaglia d’argento) furono massacrate 108 persone di cui 22 tra i tre mesi e i 17 anni Ed al merito civile.

Occorre   inoltre  sottolineare le MEDAGLIE AL MERITO CIVILE conferite ad  AREZZO E CASTIGLION FIORENTINO. In quest’ultimo comune  la morte di 71 civili in maggior parte donne e bambini fu in  questa cirostanza compiuta dai bombardamenti alleati.

In questo excursul sul valore non possiamo inoltre dimenticare le DECORAZIONI CONCESSE AI SINGOLI perché aretini o per FATTI AVVENUTI nel territorio aretino.

16 medaglie d’oro al valor militare concesse a singoli combattenti, di cui alcune riferite ad episodi di guerra e  la maggior parte per  azioni partigiane.

Un riferimento specifico alla partigiana  ROSSI MODESTA sia per essere una  delle pochissime donne medaglie d’oro della resistenza  (19 in tutta Italia  di cui 15 alla memoria) sia perché la sua storia dà il senso di comunità e di valore collettivo. Non solo volle seguire il marito nella lotta partigiana ma pretese di prendere parte attiva alla lotta anziché rimanere nelle umili mansioni assistenziali cui era stata affidata.  Arrestata e torturata moriva insieme al figlioletto di appena un anno.

Una doverosa citazione meritano anche la medaglia d’oro al valor militare e le  3 medaglie d’oro al valor civile concesse a quattro  Sacerdoti che offrirono  la propria vita in cambio di quella dei loro parrocchiani  ribadendo  in modo chiaro il valore collettivo di un popolo unito nell’anelito di libertà  e che caddero così insieme a loro trucidati.

In sostanza,  la resistenza nell’aretino è stata globale e si inquadra nella lotta al regime nazi fascista, sorta spontaneamente dopo l’otto settembre in tutta italia a partire dai combattimenti di Porta San Paolo a Roma, ed in cui si incrociano la resistenza del popolo in armi,di quello senza armi , dei militari che fatti prigionieri si rifiutarono di aderire alla Repubblica di Salò  e a quelli che confluirono nelle file partigiane o che andarono a costituire i gruppi di combattimento  che seguirono gli alleati a partire da cassino in poi fino alla liberazione del Paese. Una resistenza che ha ridato dignità alla Patria e che gli ha permesso di proseguire verso una Repubblica fondata sugli attuali valori costituzionali.

Proprio per questo il quaderno può e deve divenire un elemento di assoluta importanza nella tramissione di tali valori . Un quaderno il cui scopo che pienamente condivido è d’altronde ben illustrato nelle varie prefazioni da parte del :

-  Presidente Provinciale dell’Istituto Nastro Azzurro di Arezzo e Siena che destina il quaderno ai giovani  perché “siano consapevoli e responsabili dei compiti” che derivano dal dovere salvaguardare i valori ricevuti; 

-   Presidente Nazionale del Nastro Azzurro che indica come la  pubblicazione vuole essere un atto di memoria  e fonte di riflessione  e  invita alla  gratitudine per il “bene inestimabile” ricevuto;

-  Presidente della  Provincia di Arezzo che mette in rilievo l’importanza di “preservare la memoria di una comunità” per consegnare alle giovani generazioni un ‘identità su cui costruire un futuro migliore;

- Presidente della  Regione Toscana che assegna ai giovani il compito di “ farsi testimoni e protagonisti di una nuova cultura” basata sui diritti individuali e collettivi,ivi compreso il grande valore della libertà.

In sostanza ,nell’aretino vi è stata una resistenza di popolo ,collettiva e caratterizzata da tanti atti di valore. Il primo atto di valore peraltro  ,da cui tutto è scaturito, fu comunque la scelta di tanti giovani di opporsi a proprio rischio al nazi fascismo.

Per capirne i motivi prendo spunto da alcuni passi di una lettera scritta dall’unica medaglia d’oro vivente la Professoressa Paola Dal Din  che da me invitata ad una mostra sulle donne decorate medaglie d’oro non potendo intervenire mi scrisse  se  avessi partecipato avrei detto ai giovanì:

“ Non avevamo idee di guadagni, di potere, di carriera, ma semplicemente di salvare quanto più possibile di quello che rimaneva della nostra Patria distrutta e disperata. Forse intendevamo anche un vivere senza la guerra, senza invasori dal nord e dal sud, senza treni in partenza per portare nostra gente chissà dove. Un vivere dove fosse possibile dire liberamente il proprio pensiero. Abituati ad una vita semplice e con risorse limitate, perfino le restrizioni materiali di ogni genere ci  parevano sopportabili per il bene ideale della Libertà”.

A tutti questi giovani vada ancora una volta il nostro doveroso sincero e convinto ringraziamento per averci ridato “la libertà”,una parola cui forse oggi    possiamo dare un po di più  il giusto peso ,avendo vissuto e vivendo le necessarie limitazioni derivanti dall’emergenza corona virus.

Questo quaderno può aiutare a comprenderne    il valore , indispensabile in prospettiva futura ricordando , però, che i valori non si apprendono teoricamente, i valori vanno compresi , vissuti, e soprattutto fissati con l’impegno quotidiano affinché si trasformino in fatti concreti, attraverso scelte e comportamenti coerenti  ,condivisi da tutti perchè "Se vuoi andare veloce, vai da solo, ma se vuoi andare lontano, non puoi che andare insieme ad altri”.

 

 

Gen.C.A Domenico Rossi

domenica 20 giugno 2021

Osvaldo Biribicchi. La Battaglia di Vittorio Veneto

 


 


 

La Battaglia di Vittorio Veneto, o terza battaglia del Piave, fu l’ultima combattuta dal Regio Esercito Italiano nella Prima Guerra Mondiale, tra il 24 ottobre ed il 4 novembre 1918. Lo scenario politico-sociale in cui maturò lo scontro finale tra gli eserciti italiano ed austro-ungarico era radicalmente diverso da quello dell’anno precedente in cui il primo, dopo Caporetto, si era ritrovato carente di armi, munizioni ed equipaggiamenti. Alla disfatta materiale si era accompagnata anche quella, non meno importante, psicologica; tutto sembrava perduto. Eppure, come spesso è accaduto nella storia d’Italia, la lacerante sconfitta subita nella 12a battaglia dell’Isonzo (Caporetto) gettò le basi per la ripresa morale di tutta la nazione. Rimosse dispute e divisioni, il governo avviò un grande piano industriale nazionale per riorganizzare l’esercito e salvare la patria. Le industrie belliche, che all’inizio del conflitto erano 125, nel 1918 raggiunsero il numero di 5.700 con 1 milione e 668 mila occupati[1]. Nel fronte avversario, invece, in quell’ultimo anno di guerra la situazione era tragica ed i segnali del crollo si erano manifestati già nel corso del 1917. In Germania, presa nella morsa del blocco navale britannico, le masse operaie avevano incrociato le braccia paralizzando le fabbriche. In Austria, devastata dalla fame a causa dell’assedio dell'Intesa, la situazione politica ed economica era addirittura peggiore.

La battaglia finale fu preceduta da due battaglie non meno importanti: quella di Arresto (o prima battaglia del Piave) sulla linea difensiva Monte Grappa – Montello – Mare Adriatico sviluppatasi in due periodi, dal 10 al 26 novembre e dal 4 al 26 dicembre 1917 (le truppe del generale Josef Krautwald tentarono senza riuscirci di sfondare il fronte) e dalla battaglia del Solstizio (o seconda battaglia del Piave) dal 15 al 23 giugno 1918. Il Regio Esercito, ancora una volta, riuscì prima a contenere le forze nemiche e subito dopo, nella notte tra il 22 e il 23 giugno, a sopraffarle grazie al decisivo e risolutivo intervento dell’artiglieria.  

Il Comando Supremo con la terza battaglia del Piave passò all’offensiva con lo scopo di dividere la massa austriaca del Trentino da quella del Piave nel punto dello schieramento avversario, che andava dalle Alpi dolomitiche nei pressi di Bormio al Mare Adriatico passando per le colline venete, tatticamente più debole ovvero nel tratto del Piave (di circa 40 Km) tra il paese di Pederobba e l’isolotto Grave di Papadopoli. Il piano d’attacco fu messo a punto dal colonnello Cavallero, all’epoca capo ufficio operazioni del Comando Supremo, e concordato con il generale Caviglia, comandante dell’8a Armata.

Le forze in campo erano le seguenti: gli italiani schieravano 57 Divisioni, 50 di prima linea e 7 di riserva per complessivi 912.000 uomini. Di queste, 6 Divisioni erano alleate: 3 britanniche, 2 francesi e 1 cecoslovacca più un reggimento di fanteria statunitense. Rilevante il numero delle bocche da fuoco con 7.700 pezzi di artiglieria e 1.745 bombarde. La componente mobile era costituita dalla cavalleria, dai reparti ciclisti e da quelli montati sulle autoblindo. Importante fu anche il contributo dell’aviazione con 650 velivoli, di cui 100 alleati, e 7 dirigibili.

L'Esercito austro-ungarico disponeva di forze superiori a quelle italiane: 63 Divisioni (1.070.000 uomini); sua era ancora la superiorità, qualitativa e quantitativa, nelle mitragliatrici. In particolare, nel settore scelto dagli italiani per lanciare l’offensiva, dal Brenta a Ponte di Piave, erano schierate 23 Divisioni austro- ungariche (18 in prima linea, 5 in seconda). Nelle retrovie erano disponibili 10 Divisioni di riserva facilmente spostabili dall’uno all’altro settore. Complessivamente, il Comando austro-ungarico poteva opporre direttamente e immediatamente all’offensiva italiana una massa di 33 divisioni, senza indebolire alcun settore della fronte. Mitragliatrici, cannoncini da trincea, bombarde in grandissima quantità costituivano l'armamento per la difesa immediata delle opere austro-ungariche. Potenti masse di artiglierie – in totale oltre 2.000 pezzi – pronte ad eseguire tiri di preparazione, di sbarramento, di interdizione e di controbatteria erano addensate ai fianchi e dietro i singoli settori della difesa.

Fra le diverse opzioni possibili, l’operazione del Piave venne scelta dal Comando Supremo essenzialmente per due motivi: primo perché richiedeva meno tempo ed offriva maggiori possibilità di sorpresa; secondo, perché, a sfondamento avvenuto, avrebbe consentito di conquistare Vittorio[2] e realizzare lo scopo prefissato. La riuscita di questa manovra era fondata sulla sorpresa, sulla rapidità d’azione e sulla superiorità delle forze nel punto scelto per la rottura della fronte nemica. La battaglia fu concepita, organizzata e condotta, infatti, con modalità diverse da quelle che avevano contraddistinto la maggior parte delle battaglie combattute nel corso della guerra e che l’avrebbero caratterizzata come guerra statica, di posizione.

L'idea operativa dello Stato Maggiore austriaco, invece, a partire dall’estate 1918 era di tenere le posizioni sul Piave il più a lungo possibile, creando una lunghissima linea difensiva che dal Golfo di Venezia si estendeva fino al Tirolo meridionale, passando per San Donà di Piave, Valdobiadene, Asiago ed il nord del Garda. La linea era difesa ad est dall’esercito del Piave e ad ovest dall’esercito del Trentino che teneva la linea di Asiago e il Trentino meridionale.

     Nell’estate del 1918 la situazione ad occidente stava cambiando, bisognava agire vigorosamente.

Necessaria ed indispensabile per l’attuazione di questo sforzo principale era la conduzione di un’azione diversiva sul Grappa da parte della 4a Armata. Per lo sviluppo dell’intera operazione fu rinforzata l’8a armata con 2 divisioni di Arditi ed incrementate numericamente le due ali. Alla destra, la 10a Armata, formata da due Divisioni italiane e due inglesi, con il 232° Reggimento di fanteria americano. Alla sinistra, la 12a Armata.

L'inizio delle operazioni, previsto per il 10 ottobre, era stato rinviato per la mole e la complessità della preparazione, unitamente all’incognita rappresentata dal Piave, caratterizzato da piene che non consentivano di posizionare i ponti. L’artiglieria fu schierata sul terreno in modo da neutralizzare quella avversaria ed accompagnare le varie fasi dell’attacco.

    L’offensiva fu sferrata all’alba del 24 ottobre. «Ebbe inizio con il bombardamento, effettuato da 1400 cannoni, delle posizioni austriache attorno al monte Grappa»[3], il settore tenuto dalla 4a Armata; al fuoco di preparazione partecipò anche l’artiglieria della 6a Armata (altopiano di Asiago). L’intervento iniziò alle ore 03.00 del 24 ottobre e terminò alle 07.15 quando le fanterie mossero all’attacco. Malgrado l’impegno profuso, la 4a Armata ottenne inizialmente scarsi risultati a causa dell’accanita resistenza austriaca; tuttavia conseguì il risultato di distogliere dal settore prescelto per lo sfondamento le divisioni di riserva austriache. Il Piave, che dal giorno 22 ottobre era in piena, stava decrescendo tanto che, nelle prime ore del 24 ottobre, unità britanniche ed italiane della 12a Armata avevano potuto, secondo i piani prestabiliti, occupare l’isolotto Grave di Papadopoli. Tuttavia a causa delle proibitive condizioni atmosferiche il forzamento del Piave, stabilito inizialmente per la notte 25 ottobre, fu rinviato. All’imbrunire del 26 ottobre, i genieri, con la corrente del fiume ancora molto forte, iniziarono i lavori per posizionare i ponti di barche e, nella notte del 27 ottobre, sotto una pioggia battente e tra molte difficoltà, riuscirono a costruirne uno ad est del paese di Pederobba e due davanti al Montello.

All’alba del 28 ottobre, il fiume portò via i ponti lasciando isolate le teste di ponte.

Nonostante la piena in corso, fu posizionato un nuovo ponte di barche a Palazzon dove il 28 ottobre il Generale Caviglia fece passare tutto il XVIII Corpo d’Armata che puntò con decisione verso nord. Il giorno 29 ottobre, l’8a Armata di Caviglia spezzò in due lo schieramento austroungarico e minacciò di avvolgimento i reparti austriaci ancora aggrappati sulle colline di Conegliano. Nel frattempo, la 4a Armata, pur non essendo riuscita a dividere le truppe austro-ungariche della zona alpina da quelle del piano, riuscì nel compito di logorare le riserve avversarie impedendo loro di essere lanciate nella pianura ad arginare la breccia ormai aperta dalle truppe italiane delle armate 8a, 10a e 12a.  L’esercito austroungarico, dopo una tenace resistenza, il 30 ottobre crollò ed iniziò a retrocedere. Alle ore 15.00 del 30 ottobre gli italiani entrarono a Vittorio.

Alla sera del 31 ottobre, mentre l’esercito imperiale era in completa rotta, l’Alto Comando italiano diramò l’ordine di inseguire e colpire il nemico. In quelle stesse ore a Villa Giusti del Giardino  vicino Padova iniziarono le trattative fra le Commissioni d’Armistizio del Regno d’Italia e dell’Impero Austro-ungarico. Il 3 novembre, mentre le prime pattuglie di cavalleria entravano a Trento e Udine ed i bersaglieri sbarcavano a Trieste, alle ore 18.40, il generale Weber firmò l’armistizio che sarebbe entrato in vigore a decorrere dalle ore 15.00 del 4 novembre.

L’ultima battaglia costò all’Italia un pesante tributo di vite umane: «36.498 uomini tra morti, feriti e dispersi»[4]. La guerra era finita. Una guerra particolarmente dura che aveva causato oltre 600.000 morti, circa 480 al giorno, e più di un milione di feriti.

 

Bibliografia sommaria

Colarizi Simona, Storia del Novecento Italiano – Cent’anni di entusiasmo, di paure, di speranza, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 2004.

Martin Gilbert, La grande storia della Prima Guerra Mondiale, Volume secondo, Arnoldo Mondadori Editore, 1998, Milano.

Pieropan Gianni, Storia della Grande Guerra sul fronte italiano 1915-1918, Mursia, Milano, 2012.

 

Sitografia sommaria

https://www.comune.vittorio-veneto.tv.it/home.html

http://www.difesa.it/Area_Storica_HTML/editoria/2019/Dalla_battaglia_arresto_alla_vittoria/Pagine/files/basic-html/page250.html

https://www.esercito.difesa.it/storia/Pagine/La-battaglia-del-solstizio.aspx

 

                                                                      



[1] Nel corso del conflitto, l’industria degli armamenti produsse 12.000 pezzi di artiglieria, 37.000 mitragliatrici ed oltre 70 milioni di proiettili. L’industria meccanica solo nel 1918 produsse 20.000 automobili, 15.000 motori d’aviazione e 6.523 aerei.

[2] Città veneta sulle pendici delle Prealpi Trevigiane, nel 1923 al nome Vittorio fu aggiunto “Veneto”.

[3] Martin Gilbert, La grande storia della Prima Guerra Mondiale, Volume secondo, Arnoldo Mondadori Editore, 1998, Milano, p. 584.

[4] Pieropan Gianni, Storia della Grande Guerra sul fronte italiano 1915-1918, Mursia, Milano, 2012, p. 848.

 

 

 

 

 

giovedì 10 giugno 2021

Rivista QUADERNI N. 4 del 2020, ottobre - dicembre 2020, 18° della serie

 


Dall’Editoriale del Presidente Nazionale:

Questo numero speciale dei Quaderni è dedicato al Valore Militare nella Provincia di Arezzo, un Valore presente in tutti i momenti salienti della nostra storia patria, dal Risorgimento alla Grande Guerra, dal 2° Conflitto Mondiale alla Resistenza, come testimoniato dalle numerose decorazioni collettive e individuali nel corso degli anni. Un territorio che ha subito in particolare le terribili rappresaglie naziste dopo l’8 settembre 1943 di Bucine e Civitella Val di Chiana, le cui vittime sono state ricordate nel corso della Giornata del Decorato 2017 che l’Istituto ha celebrato ad Arezzo. Torneremo a fine ottobre

nella Città toscana, per celebrare il XXXI Congresso Nazionale; sarà l’occasione per rendere un doveroso omaggio al Gonfalone che si fregia della massina decorazione al Valor Militare e ricordare, nel Centenario della traslazione del Milite Ignoto, il passaggio del convoglio che ne portò la salma da Aquileia a Roma.

La pubblicazione é frutto della collaborazione tra la Federazione di Arezzo e il CeSVaM e costituisce inoltre un importante materiale di studio per il Master di 1° livello in Storia Militare Contemporanea 1796-1969 che viene tenuto all’Università Telematica Nicolò Cusano in partnership con il nostro Istituto.

E’ la prima del suo genere e mi auguro possa essere un esempio per le altre Federazioni a seguirne l’esempio. Vengono infine riportate le copertine dei primi 18 numeri dei Quaderni e dei 12 volumi del Dizionario Minimo della Grande Guerra.

 Il n. 4 del 2020, 18° della Rivista,  riporta a complemento del contributo della Federazione di Arezzo, Le Schede dei Volumi del Dizionario Minimo della Grande Guerra e le consuete rubriche della Rivista.

 

Info: quaderni.cesvam@istitutonastroazzurro.org

Questo numero della Rivista può essere chiesto direttamente alla Federazione di Arezzo ( federazione.arezzo@istitutonastroazzurro.org)