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domenica 20 giugno 2021

Osvaldo Biribicchi. La Battaglia di Vittorio Veneto

 


 


 

La Battaglia di Vittorio Veneto, o terza battaglia del Piave, fu l’ultima combattuta dal Regio Esercito Italiano nella Prima Guerra Mondiale, tra il 24 ottobre ed il 4 novembre 1918. Lo scenario politico-sociale in cui maturò lo scontro finale tra gli eserciti italiano ed austro-ungarico era radicalmente diverso da quello dell’anno precedente in cui il primo, dopo Caporetto, si era ritrovato carente di armi, munizioni ed equipaggiamenti. Alla disfatta materiale si era accompagnata anche quella, non meno importante, psicologica; tutto sembrava perduto. Eppure, come spesso è accaduto nella storia d’Italia, la lacerante sconfitta subita nella 12a battaglia dell’Isonzo (Caporetto) gettò le basi per la ripresa morale di tutta la nazione. Rimosse dispute e divisioni, il governo avviò un grande piano industriale nazionale per riorganizzare l’esercito e salvare la patria. Le industrie belliche, che all’inizio del conflitto erano 125, nel 1918 raggiunsero il numero di 5.700 con 1 milione e 668 mila occupati[1]. Nel fronte avversario, invece, in quell’ultimo anno di guerra la situazione era tragica ed i segnali del crollo si erano manifestati già nel corso del 1917. In Germania, presa nella morsa del blocco navale britannico, le masse operaie avevano incrociato le braccia paralizzando le fabbriche. In Austria, devastata dalla fame a causa dell’assedio dell'Intesa, la situazione politica ed economica era addirittura peggiore.

La battaglia finale fu preceduta da due battaglie non meno importanti: quella di Arresto (o prima battaglia del Piave) sulla linea difensiva Monte Grappa – Montello – Mare Adriatico sviluppatasi in due periodi, dal 10 al 26 novembre e dal 4 al 26 dicembre 1917 (le truppe del generale Josef Krautwald tentarono senza riuscirci di sfondare il fronte) e dalla battaglia del Solstizio (o seconda battaglia del Piave) dal 15 al 23 giugno 1918. Il Regio Esercito, ancora una volta, riuscì prima a contenere le forze nemiche e subito dopo, nella notte tra il 22 e il 23 giugno, a sopraffarle grazie al decisivo e risolutivo intervento dell’artiglieria.  

Il Comando Supremo con la terza battaglia del Piave passò all’offensiva con lo scopo di dividere la massa austriaca del Trentino da quella del Piave nel punto dello schieramento avversario, che andava dalle Alpi dolomitiche nei pressi di Bormio al Mare Adriatico passando per le colline venete, tatticamente più debole ovvero nel tratto del Piave (di circa 40 Km) tra il paese di Pederobba e l’isolotto Grave di Papadopoli. Il piano d’attacco fu messo a punto dal colonnello Cavallero, all’epoca capo ufficio operazioni del Comando Supremo, e concordato con il generale Caviglia, comandante dell’8a Armata.

Le forze in campo erano le seguenti: gli italiani schieravano 57 Divisioni, 50 di prima linea e 7 di riserva per complessivi 912.000 uomini. Di queste, 6 Divisioni erano alleate: 3 britanniche, 2 francesi e 1 cecoslovacca più un reggimento di fanteria statunitense. Rilevante il numero delle bocche da fuoco con 7.700 pezzi di artiglieria e 1.745 bombarde. La componente mobile era costituita dalla cavalleria, dai reparti ciclisti e da quelli montati sulle autoblindo. Importante fu anche il contributo dell’aviazione con 650 velivoli, di cui 100 alleati, e 7 dirigibili.

L'Esercito austro-ungarico disponeva di forze superiori a quelle italiane: 63 Divisioni (1.070.000 uomini); sua era ancora la superiorità, qualitativa e quantitativa, nelle mitragliatrici. In particolare, nel settore scelto dagli italiani per lanciare l’offensiva, dal Brenta a Ponte di Piave, erano schierate 23 Divisioni austro- ungariche (18 in prima linea, 5 in seconda). Nelle retrovie erano disponibili 10 Divisioni di riserva facilmente spostabili dall’uno all’altro settore. Complessivamente, il Comando austro-ungarico poteva opporre direttamente e immediatamente all’offensiva italiana una massa di 33 divisioni, senza indebolire alcun settore della fronte. Mitragliatrici, cannoncini da trincea, bombarde in grandissima quantità costituivano l'armamento per la difesa immediata delle opere austro-ungariche. Potenti masse di artiglierie – in totale oltre 2.000 pezzi – pronte ad eseguire tiri di preparazione, di sbarramento, di interdizione e di controbatteria erano addensate ai fianchi e dietro i singoli settori della difesa.

Fra le diverse opzioni possibili, l’operazione del Piave venne scelta dal Comando Supremo essenzialmente per due motivi: primo perché richiedeva meno tempo ed offriva maggiori possibilità di sorpresa; secondo, perché, a sfondamento avvenuto, avrebbe consentito di conquistare Vittorio[2] e realizzare lo scopo prefissato. La riuscita di questa manovra era fondata sulla sorpresa, sulla rapidità d’azione e sulla superiorità delle forze nel punto scelto per la rottura della fronte nemica. La battaglia fu concepita, organizzata e condotta, infatti, con modalità diverse da quelle che avevano contraddistinto la maggior parte delle battaglie combattute nel corso della guerra e che l’avrebbero caratterizzata come guerra statica, di posizione.

L'idea operativa dello Stato Maggiore austriaco, invece, a partire dall’estate 1918 era di tenere le posizioni sul Piave il più a lungo possibile, creando una lunghissima linea difensiva che dal Golfo di Venezia si estendeva fino al Tirolo meridionale, passando per San Donà di Piave, Valdobiadene, Asiago ed il nord del Garda. La linea era difesa ad est dall’esercito del Piave e ad ovest dall’esercito del Trentino che teneva la linea di Asiago e il Trentino meridionale.

     Nell’estate del 1918 la situazione ad occidente stava cambiando, bisognava agire vigorosamente.

Necessaria ed indispensabile per l’attuazione di questo sforzo principale era la conduzione di un’azione diversiva sul Grappa da parte della 4a Armata. Per lo sviluppo dell’intera operazione fu rinforzata l’8a armata con 2 divisioni di Arditi ed incrementate numericamente le due ali. Alla destra, la 10a Armata, formata da due Divisioni italiane e due inglesi, con il 232° Reggimento di fanteria americano. Alla sinistra, la 12a Armata.

L'inizio delle operazioni, previsto per il 10 ottobre, era stato rinviato per la mole e la complessità della preparazione, unitamente all’incognita rappresentata dal Piave, caratterizzato da piene che non consentivano di posizionare i ponti. L’artiglieria fu schierata sul terreno in modo da neutralizzare quella avversaria ed accompagnare le varie fasi dell’attacco.

    L’offensiva fu sferrata all’alba del 24 ottobre. «Ebbe inizio con il bombardamento, effettuato da 1400 cannoni, delle posizioni austriache attorno al monte Grappa»[3], il settore tenuto dalla 4a Armata; al fuoco di preparazione partecipò anche l’artiglieria della 6a Armata (altopiano di Asiago). L’intervento iniziò alle ore 03.00 del 24 ottobre e terminò alle 07.15 quando le fanterie mossero all’attacco. Malgrado l’impegno profuso, la 4a Armata ottenne inizialmente scarsi risultati a causa dell’accanita resistenza austriaca; tuttavia conseguì il risultato di distogliere dal settore prescelto per lo sfondamento le divisioni di riserva austriache. Il Piave, che dal giorno 22 ottobre era in piena, stava decrescendo tanto che, nelle prime ore del 24 ottobre, unità britanniche ed italiane della 12a Armata avevano potuto, secondo i piani prestabiliti, occupare l’isolotto Grave di Papadopoli. Tuttavia a causa delle proibitive condizioni atmosferiche il forzamento del Piave, stabilito inizialmente per la notte 25 ottobre, fu rinviato. All’imbrunire del 26 ottobre, i genieri, con la corrente del fiume ancora molto forte, iniziarono i lavori per posizionare i ponti di barche e, nella notte del 27 ottobre, sotto una pioggia battente e tra molte difficoltà, riuscirono a costruirne uno ad est del paese di Pederobba e due davanti al Montello.

All’alba del 28 ottobre, il fiume portò via i ponti lasciando isolate le teste di ponte.

Nonostante la piena in corso, fu posizionato un nuovo ponte di barche a Palazzon dove il 28 ottobre il Generale Caviglia fece passare tutto il XVIII Corpo d’Armata che puntò con decisione verso nord. Il giorno 29 ottobre, l’8a Armata di Caviglia spezzò in due lo schieramento austroungarico e minacciò di avvolgimento i reparti austriaci ancora aggrappati sulle colline di Conegliano. Nel frattempo, la 4a Armata, pur non essendo riuscita a dividere le truppe austro-ungariche della zona alpina da quelle del piano, riuscì nel compito di logorare le riserve avversarie impedendo loro di essere lanciate nella pianura ad arginare la breccia ormai aperta dalle truppe italiane delle armate 8a, 10a e 12a.  L’esercito austroungarico, dopo una tenace resistenza, il 30 ottobre crollò ed iniziò a retrocedere. Alle ore 15.00 del 30 ottobre gli italiani entrarono a Vittorio.

Alla sera del 31 ottobre, mentre l’esercito imperiale era in completa rotta, l’Alto Comando italiano diramò l’ordine di inseguire e colpire il nemico. In quelle stesse ore a Villa Giusti del Giardino  vicino Padova iniziarono le trattative fra le Commissioni d’Armistizio del Regno d’Italia e dell’Impero Austro-ungarico. Il 3 novembre, mentre le prime pattuglie di cavalleria entravano a Trento e Udine ed i bersaglieri sbarcavano a Trieste, alle ore 18.40, il generale Weber firmò l’armistizio che sarebbe entrato in vigore a decorrere dalle ore 15.00 del 4 novembre.

L’ultima battaglia costò all’Italia un pesante tributo di vite umane: «36.498 uomini tra morti, feriti e dispersi»[4]. La guerra era finita. Una guerra particolarmente dura che aveva causato oltre 600.000 morti, circa 480 al giorno, e più di un milione di feriti.

 

Bibliografia sommaria

Colarizi Simona, Storia del Novecento Italiano – Cent’anni di entusiasmo, di paure, di speranza, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 2004.

Martin Gilbert, La grande storia della Prima Guerra Mondiale, Volume secondo, Arnoldo Mondadori Editore, 1998, Milano.

Pieropan Gianni, Storia della Grande Guerra sul fronte italiano 1915-1918, Mursia, Milano, 2012.

 

Sitografia sommaria

https://www.comune.vittorio-veneto.tv.it/home.html

http://www.difesa.it/Area_Storica_HTML/editoria/2019/Dalla_battaglia_arresto_alla_vittoria/Pagine/files/basic-html/page250.html

https://www.esercito.difesa.it/storia/Pagine/La-battaglia-del-solstizio.aspx

 

                                                                      



[1] Nel corso del conflitto, l’industria degli armamenti produsse 12.000 pezzi di artiglieria, 37.000 mitragliatrici ed oltre 70 milioni di proiettili. L’industria meccanica solo nel 1918 produsse 20.000 automobili, 15.000 motori d’aviazione e 6.523 aerei.

[2] Città veneta sulle pendici delle Prealpi Trevigiane, nel 1923 al nome Vittorio fu aggiunto “Veneto”.

[3] Martin Gilbert, La grande storia della Prima Guerra Mondiale, Volume secondo, Arnoldo Mondadori Editore, 1998, Milano, p. 584.

[4] Pieropan Gianni, Storia della Grande Guerra sul fronte italiano 1915-1918, Mursia, Milano, 2012, p. 848.

 

 

 

 

 

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