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lunedì 30 marzo 2020

La Coalizione hitleriana. La Repubblica Sociale Italiana: la mancanza di un Esercito proprio


Il Dualismo tra Graziani e Pavolini. Esercito apolitico o forze armate di partito.
Le decisioni in merito a quali forze armate la Repubblica si doveva dotare sono centrali nella determinazione del futuro della Repubblica stessa. Come vedremo, il dualismo tra Graziani e Pavolini, e quello Pavolini-Ricci, generarono divergenze che non furono mai risolte; divergenze così profondo e che relegarono i militari della R.S.I a ruoli marginali e secondari per tutta la durata della guerra e sconvolsero non solo il sistema voluto dai tedeschi ma in ultima analisi determinarono anche le modalità della resa tedesca sul fronte italiano,
Mussolini da Radio Monaco il 18 settembre aveva annunciato che era sua intenzione creare un esercito di partito incardinato sulla ex Milizia Volontaria sotto il comando di Ricci e composta solo da volontari di provata fede. Questo piano al momento non ebbe granché fortuna in quanto egli stesso constatò che la Milizia era malvista in tutto il paese, screditata oltre ogni dire e quindi al momento improponibile.
Graziani, nominato ministro della Guerra, era convinto che spettasse a lui il compito di costruire secondo i suoi criteri le nuove forze armate. Per questo si avvalse dell’opera di un ex ufficiale del S.I.M., il Servizio Informazioni Militare del Regio Esercito, Emilio Canevari che lo tenesse in contatto con Mussolini e con i tedeschi. Il 3 ottobre Graziani presentò il suo progetto: i quadri delle future forze armate tutti volontari, le truppe composte solo da giovanissimi delle classi di leva più giovani; l’armamento fornito dai tedeschi quello più recenti. In pratica Graziani propose un esercito sul modello della Reichwehr del 1920.
 Il 9 ottobre Graziani si reco al quartier generale di Hitler per sottoporre il suo progetto, apparentemente approvato da Mussolini. I tedeschi ricevettero con tutti gli onori il Maresciallo e, secondo quanto riferisce lo stesso Graziani, erano d’accordo nel costituire prima 4, poi 8 poi 12 divisioni italiane secondo i criteri esposti dal maresciallo. Graziani tornò a Gargano a fare rapporto a Mussolini che approvò tutti gli accordi presi da Graziani; nel contempo fu deciso di mandare Canevari a Berlino per firmare le intese raggiunte. Canevari il 16 ottobre raggiunse Berlino e trattò con il generale Buhle, capo di Stato Maggiore di Keitel in merito agli accordi per la ricostruzione delle forze armate italiane.  Ed il protocollo fu steso sulla base dei colloqui Duce-Fuhrer di metà settembre e quelli Graziani-Hitler di metà ottobre. Si dovevano costituire unità miste italo-tedesche con reclutamento volontario e 50 batterie costiere; si dovevano costituire tre divisioni di fanteria ed una di alpini da addestrarsi in Germania con dieci batterie di artiglieria. Ufficiali, sottufficiali e truppa sarebbero stati reclutati da una commissione mista nei campi di concentramento tedeschi e le divisioni in Germania sarebbero state rafforzate da reclute provenienti dall’Italia. Tutto doveva aver inizio entro il 15 novembre. Canevari presso l’ambasciata italiana ebbe diversi incontri e qualche scontro con elementi estremisti fascisti da poco liberati dai campi di internamento. Secondo loro si doveva reclutare personale solo per costituire unità sul modello delle SS, anche sulla scorta che già le SS tedesche avevano reclutato 10.000 soldati italiani. Seguì un incontro con un rappresentante di Himmler, che aveva autorizzto le trattative e si giunse alla conclusione in successive riunioni di creare una divisione di SS italiane della forza di 13.000 uomini e di addestrarne altri 3000 come corpo di polizia. Queste unità sarebbero dipese esclusivamente dalle SS, e non da altri rappresentanti italiani in Germania.
Il 25 ottobre Canevari ritornò in Italia e fu ricevuto da Mussolini in presenza di Graziani e tutto fu approvato. Canevari ebbe modo di scrivere che ricevette i complimenti e le lodi sia di Graziani sia di Mussolini. Fu convocato il Consiglio dei Ministri per il 28 ottobre, data estremamente significativa per tutti i fascisti. Ma il controllo delle forze armate provocò un durissimo scontro tra Graziani e ed i capi del rinato partito fascista, Pavolini e Ricci
Pavolini voleva forze armate fasciste, permeate del nuovo fascismo repubblicano, sul modello tedesco. Ma questa sua aspirazione presupponeva un Partito fascista solido e forte. La realtà era sotto gli occhi di tutti. Il crollo silenzioso e totale di tutta l’organizzazione del Partito Nazionale Fascista senza che nessuno facesse un gesto per impedirlo era emblematico. I capi, i cosiddetti gerarchi abbandonarono il Partito e si misero in salvo in Germania, divisi da rivalità e rancore; il resto, i capi di medio e basso livello misero da parte la loro uniforme e insieme al resto mostrò di avere aderito al fascismo più per opportunismo che per singola convinzione.
Ricci, nonostante ogni parere contrario, intendeva ridare vita alla Milizia, nella sua forma più aggiornata e nella struttura che gli era propria. In pratica intendeva che le forze armate fossero solo e solamente articolate sulla Milizia, che doveva sostituire ogni altra organizzazione militare. A metà novembre si era giunti alla conclusione che la Milizia sarebbe stata subordinata all’Esercito sotto tutti i punti di vista e senza riserve. Ricci non avrebbe avuto il diritto di ispezione. Un nuovo corpo, la Guardia Nazionale Repubblicana, che nelle intenzioni si doveva ispirare, forse andando un po' sopra le righe, a quella napoleonica, avrebbe dovuto incorporare ciò che restava della Milizia, ormai screditata, dei Carabinieri Reali, visti sempre con grande diffidenza, e della Polizia dell’Africa Italiana, residuo delle avventure coloniali africane, nonchè la polizia in uniforme, che per l’impiego sarebbe dipesa dal Ministero dell’Interno al pari di quella in borghese. Ricci alla fine di novembre ebbe l’ordine formale di organizzare la nuova Milizia nazionale.
I contrasti tra Graziani da una parte e Pavolini, con a fianco Ricci erano basati sulla scelta di fondo: la Repubblica avrebbe avuto forze armate apolitiche oppure forze armate politicizzate, ovvero dipendenti dal Partito? In questa lotta che si sviluppò violenta si inserire anche Buffarini Guidi Ministro dell’Interno che pretendeva una sua autonomia. Il risultato fu la creazione di una serie di eserciti e di forze di polizia che obbedivano vagamente all’autorità centrale. Mussolini non solo non pose rimedio a tutto questo nell’interesse superiore dello Stato, ma ne era soddisfatto perché poteva contare su una serie intricata di fazioni rivali, a volte al limite del tradimento che gli permetteva, manovrando ora in una direzione ora nell’altra, di mantenere una qualche iniziativa nel controllo del governo, rilevando così una costante del fascismo in cui gli interessi superiori dello Stato erano sempre posposti a quelli personali.
Agli occhi dei tedeschi tutto questo non faceva altro che aumentare la loro diffidenza e, in maniera velata ma facilmente avvertibile, la poca stima che avevano in generale degli italiani e in particolare dei fascisti repubblichini e questo stato di cose portò ad agire direttamente, superando in molti casi gli accordi stabiliti.
La realtà del 1943 era che Graziani non aveva truppe operative; a fine novembre riuscì sulla carta ad avere un Comando Generale, uno Stato Maggiore, che fu posto agli ordini del gen. Gambara, e nominalmente le forze terresti, aeree e navali, i reparti antiaerei e costieri, i comandi provinciali e logistici. In realtà non aveva a disposizione truppe combattenti; l’unica speranza era riposta nelle quattro divisioni in addestramento in Germania.
Il fallimento del reclutamento fra gli Internati Militari in Germania, la ritrosia di Graziani e Mussolini a mandare i chiamati alla leva delle classi 1924 e 1925 in Germania perché era prevedibile quasi una diserzione in massa, fece sì che i rapporti con i tedeschi si incrinarono ulteriolmente in tema di creazione di una forza operativa efficiente ed indipendente nell’ambito della Repubblica Sociale Italiana. L’ombra di un nuovo tradimento su quanto accaduto l’8 settembre era presente nelle menti tedesche. Ai primi di dicembre il progetto Graziani di creare un esercito apolitico era praticamente fallito. Tra scenate e recriminazioni, i protocolli di ottobre furono accantonati e per tutti pagò Canevari che fu estromesso da ogni incarico. Graziani assunse atteggiamenti estremistici, invocando la corte marziale e la pena di morte per i renitenti alla leva, invocando anche la legge marziale per i lavoratori da inviare in Germania e altre misure coercitivi che sottolineavano il suo fallimento.
Da ultimo arrivò l’atteggiamento di Hitler che, reso edotto della situazione, disse ai propri collaboratori che la cosa si sarebbe conclusa con un nulla di fatto e, quindi, occorreva essere prudenti e vigilare su tutta la situazione.
 A fine dicembre, era evidente che la Repubblica Sociale Italiana non avrebbe avuto forze armate in grado di coadiuvare i tedeschi nella tenuta del fronte meridionale. Questa è la ragione per cui nessun reparto della Repubblica Sociale Italiana, a parte qualche elemento esterno ad essa, per volere dei tedeschi non entrò mai in linea contro il nemico anglo-americani. La sfiducia tedesca nei fascisti italiani era di tutta evidenza.

venerdì 20 marzo 2020

QUADERNI n. 4 del 2019

 I QUADERNI possono essere richieste all'istituto del Nastro Azzurro: segreteriagenerale@istitutodelnastroazzurro.org
QUADERNI ON LINE: www.valoremilitare.blogspot.com                                                                      La Rivista non si d in cambio del periodico associativo sia delle associazioni combattentistiche che d'arma

martedì 10 marzo 2020

La coalizione hitleriana. La repubblica Sociale Italiana 2


La nascita
Gli italiani appresero che si sarebbe costituito un nuovo Stato in occasione del discorso di Mussolini pronunciato da Radio Monaco il 18 settembre 1943. Oltre alla sorpresa di sentire di nuovo la voce del Duce, che era letteralmente scomparso dal 26 luglio 1943 si apprese un nuovo elemento che avrebbe interessato la coscienza di ogni italiano. Lo Stato che si andava a costruire con un proprio Governo voleva riprendere le armi e combattere a fianco della Germania e del Giappone e degli altri Stati alleati alla Germania, ricostruire nuove forze armate; eliminare i traditori del fascismo a tutti i livelli, quindi una sorta di vendetta che avrebbe portato ad uno spargimento di sangue tra italiani, ed infine porre al centro della politica il lavoro come base della società del nuovo stato, in una sorta di socialismo rigenerato.
Mussolini fu preceduto nel suo rientro in Italia da Pavolini che fissò a Roma a palazzo Wedekind il Quartier Generale del Partito. Iniziarono le trattative per la formazione del Governo, con Pavolini come esponente centrale di ogni trattativa. Secondo il giudizio dell’ambasciatore tedesco a Roma  Rahn “ la formazione del nuovo governo fascista repubblicano da parte di Pavolini è stata una tragicommedia piena di intrighi disgustosi per i posti e le occulte rivalità”.[1] Emersero le situazioni a Roma che si erano annunciate al Quartier generale del Fuhrer a metà settembre in cui il gruppo dei gerarchi, appoggiato da quel o quell’altro ministro tedesco, tutti tesi ad ingraziarsi i favori del Duce ed acquisire la sua fiducia, ognuno vantandosi anche a sproposito di avere notizie e conoscenze fondamentali soprattutto nell’atteggiamento tedesco, da cui dipendeva tutto. Mussolini non riuscì a dominare tutto questo, anzi lo favoriva nel solco delle esperienze precedenti. Sarà una caratteristica della Repubblica Sociale questa lotta fra gerarchi che non solo la indebolirono ma la screditarono ancor più agli occhi dei tedeschi. La stessa posizione del Duce ne ebbe conseguenze disastrose in termini di immagine e di credibilità. L’aver convinto il maresciallo Graziani ad assumere il dicastro della Difesa, secondo Rahn, sollevo di non poco il prestigio del nuovo governo, anche se questo poi si rileverà un altro fattore di debolezza e di dissidio.
 Il 23 settembre 1943 Mussolini da Monaco in volo raggiunse l’aeroporto di Forlì. Qui era atteso dall’ambasciatore Rahn e dal generale delle SS Wolff, che gli schierò la guardia delle SS, per la resa degli onori. Detta guardia che per espresso volere di Hitler fu distaccata presso Mussolini. In pratica fin dal primo momento del suo arrivo in Italia un plotone di SS controllava tutti i movimenti e le azioni di Mussolini ai diretti ordini di Wolff. Questo plotone seguirà Mussolini fino a Dongo, il 27 aprile del 1945 e non lo lascerà un solo istante.
La nascita della Repubblica Sociale può essere fatta risalire al 23 settembre, giorno in cui Mussolini arrivò in Italia, oppure al 27 settembre, giorno in cui Mussolini convocò il primo Consiglio dei Ministri alla Rocca delle Camminate. In questo arco di tempo Mussolini ebbe modo di farsi un quadro definitivo ed esaustivo del collasso sia del Partito Nazionale Fascista a luglio sia a seguito della crisi armistiziale. Il nuovo Stato aveva teoricamente giurisdizione nelle provincie centro-settentrionali, ma era senza capitale, in quanto Roma era stata dichiara dai tedeschi territorio operativo e quindi sotto il loro totale controllo, senza un esercito ovvero senza forze armate, senza una amministrazione civile, con una minaccia reale a sud dall’azione delle forze alleate. Ma la cosa più grave era che vi era la presenza di armate di un alleato, quello tedesco, tanto potente quanto scettico i cui organi civili e militari occupavano in realtà tutto il territorio del nuovo Stato, emettendo moneta propria, requisendo fabbriche e installazioni e dando ordini alle autorità civili italiane ancora esistenti.
Le decisioni adottate nel primo Consiglio dei Ministri sono i primi passi della Repubblica Sociale Italiana, e non furono tutti felici. Mussolini non ebbe successo presso i tedeschi ad avere Roma come capitale del nuovo stato; Roma godeva dello status di “Città Aperta” ma era anche vitale come immediata retrovia del fronte meridionale tedesco. Il non aver avuto Roma come capitale simboleggiava agli occhi degli italiani lo sfacelo dell'Italia son solo come entità territoriale, ma anche come entità storica. Come poteva nascere un nuovo Stato di unità nazionale senza la capitale storica. Si dovette ripiegare su un'altra località, possibilmente vicina al Quartier generale delle forze tedesche che era a Belluno. Nei giorni seguenti furono trovate soluzioni vari ed alla fine gli organi del nuovo stato si trasferirono al nord e Mussolini fisso la sua residenza a Villa Feltrinelli a Salò, sulla riva occidentale del lago di Garda. Da qui l’appellativo di Repubblica di Salò dato al nuovo Stato. Gli altri ministeri trovarono sede in città limitrofe, tra cui Brescia, Venezia, Mantova ecc. In pratica la Repubblica Sociale Italiana non ebbe una concentrazione in un luogo geografico di tutti i suoi organi, ovvero una capitale. Il fatto che non fu scelta Milano, sfruttando il sempre esistente dualismo tra questa città e Roma, sottolinea ancora una volta il reale potere che Mussolini deteneva nel settembre del 1943.
Ribbentrop diede subito istruzioni ai Paesi della coalizione hitleriana di riconoscere ufficialmente il nuovo governo italiano. Aderirono la Romania, la Bulgaria, la Croazia, la Slovacchia. L’Ungheria dopo forti pressioni tedesche ed infine anche il Giappone per dare ancora una parvenza al Tripartito. Fra i neutrali i tedeschi non ebbero successo. Soprattutto Franco, il fascista dittatore spagnolo fu brutale: ebbe modo di dire che Mussolini era solo un’ombra ed il suo potere si basava solo e solamente dove c’erano truppe tedesche. La gratitudine non era la maggior virtù del dittatore fascista spagnolo.
Il 29 settembre in un colloquio con Rahn, Mussolini espresse l’opinione che la situazione era disperata e che lui non vedeva alcuna via d’uscita. Una ipotesi poteva essere quella di convocare una Assemblea nazionale al più preso in cui chiamare autorità locali, veterani fascisti, i rappresentanti dei lavoratori e dei contadini, e uomini di buona volontà per trovare una soluzione. È l’idea del Congresso di Verona.


[1] Ibidem, cit., pag. 560