ALBO D'ORO NAZIONALE DEI DECORATI ITALIANI E STRANIERI DAL 1792 AD OGGI - SITUAZIONE

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Palazzo Salviati. La Storia

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mercoledì 28 dicembre 2011

Immagini dalla Cina, la fabbrica del Mondo


Il Traffico alla periferia di Pechino

I treni ad Alta velocità


Il problema dei trasporti non sembra un problema irrisolvibile

lunedì 21 novembre 2011

Auguri di Natale

La 57 sessione
 organizza per
Giovedì 15 Dicembre 2011 alle ore 19,45 alla
Casa dell'Aviatore, Viale dell'Università, Roma,
una cena conviviale per scambiarci gli Auguri di Natale.
Le adesioni sono raccolte da Auro di Falco

lunedì 14 novembre 2011

Sassari

Sassari, ubicata al centro della vasta regione a Nord-Ovest della Sardegna, è con i suoi 139.000 abitanti, la seconda città dell'isola. Il nome di Sassari lo troviamo per la prima volta in un antico registro del monastero di San Pietro di Silki, dove in un atto del 1131 è nominato "Jordi de Sassaro". Nel 1135 si parla invece della chiesa di Sancti Nicolai de Tathari


Sassari è una città "giovane" ma il suo territorio e il Museo Sanna offrono numerose testimonianze della presenza dell'uomo del Neolitico recente: dall'imponente ziqqurat di Monte d'Accoddi edificato verso il 2400 A.C. ai 170 nuraghi e alle vestigia romane del Il Secolo d.C.

Nella seconda metà del Xlll secolo Sassari, Comune governato da un podestà, alleato prima con Pisa e in seguito con Genova, contava più di 10.000 abitanti. Le case costruite all'interno delle mura si alternavano con campi e corti, ed erano separate da stradine strette e tortuose. Lungo l'asse sud-nord si estendeva la "Platha de Cothinas" : l'attuale Corso Vittorio Emanuele. Nella sua parte centrale, dove oggi è il Teatro Civico, si apriva la piazza del Comune con il Palazzo Comunale.
Nel 1294 la città si costituì in libero Comune e promulgò gli "Statuti Sassaresi" che rappresentavano l'organizzazione giuridica, politica ed amministrativa della città. Il passaggio sotto la dominazione aragonese segnò l'avvento di un secolo di ribellioni, carestie e pestilenze che spopolarono la città, la quale rifiorì con la pace del 1420 e riconquistò la sua posizione dominante nel Nord della Sardegna. Il Castello Aragonese del XIV secolo fu demolito alla fine del XIX secolo. "L'Albergo Cittadino", il Palazzo Comunale nel Corso ed alcune belle dimore nel tratto della "Platha", restano comunque testimonianza di quel periodo. Il successivo quarto del XVI secolo vede una marcata influenza delle tendenze italiane nell'architettura di Sassari, soprattutto grazie all'arrivo dei Gesuiti e all'influenza degli architetti militari italiani chiamati in città per costruire le fortificazioni che dovevano proteggere l'isola dalle incursioni dei pirati.
Vanno ricordate come testimonianze di questo periodo la nascita del Collegio di Studi di San Giuseppe o Studio Generale, che nel 1634 verrà denominato Università di Sassari, prima Università della Sardegna. La Fontana di Rosello, eretta nel 1605 - 1606 in stile tardo-rinascimentale, divenne il simbolo della città e del suo legame alla terra
Dopo la peste del 1652 e fino ai primi decenni del XVIII secolo si assiste ad un vero boom dell'edificazione, soprattutto per quanto riguarda gli edifici religiosi ed in particolare della cattedrale di San Nicola
Il passaggio alla dominazione piemontese intorno al 1718 si rifletterà, sull'architettura cittadina solo 50 anni dopo. Se ne ritrova testimonianza nel Palazzo Ducale, sede attuale dell'Amministrazione cittadina e sulle facciate di altre case aristocratiche.
Negli anni seguenti vengono costruiti il Teatro Verdi, il nuovo ospedale, le carceri. Viene creato un sistema di piazze secondo un asse longitudinale che va dalla Piazza Azuni a Piazza d'Italia. Intorno al 1870, in Piazza d'Italia, sorge il maestoso Palazzo della Provincia e il neo gotico Palazzo Giordano
L'edilizia conosce un nuovo rilancio dopo la crisi della fine del XIX secolo, rilancio segnato questa volta dall'eclettismo di fine 800 che includeva il "neo gotico" e "l'esotico" con influenze esterne al pari dell'utilizzo di materiali di costruzione insoliti. Un accostamento tra l'eleganza e la bizzarria si trova nelle ville "art nouveau" e la severità degli edifici pubblici (Umberto I) che vedranno, in seguito alla prima guerra mondiale , l'espressione della "restaurazione" e "l'art dèco" incarnarsi nel ritorno alle forme architettoniche dei decenni precedenti e nel "razionalismo moderno".
In effetti, negli anni 30 del 1900 la crescita demografica va di pari passo con la nuova frenesia di costruzione, dando il via al quartiere residenziale di viale Italia, con case in stile nazionalista ed il quartiere popolare di Monte Rosello, unito alla città dal Ponte dei Fasci, emblema del fascismo Italiano. La trachite locale viene usata a profusione per costruire a ridosso delle carceri il Palazzo di Giustizia, di stile neoclassico, e nella Piazza Conte di Moriana, in stile razionalista, ed altri diversi palazzi. Dopo la seconda Guerra Mondiale la popolazione è pressoché raddoppiata: da 72.000 agli attuali 139.000 abitanti.
A presto con nuove immagini e nuove descrizioni (prossima tappa: Alghero)

Pierfranco Faedda  (faeddapi@hotmail.com)

L'asinara.

Cari amici, in allegato trovate la storia del carcere dell'Asinara e le notizie più approfondite sull'isola e sul parco, che qui sotto potete leggere in sintesi. Un abbraccio a tutti


L'Asinara
Solo la storia più recente, documentata o trasmessa a voce, fa conoscere le vicissitudini umane ed ambientali di quest’isola e le sue storie, grandi e piccole.
Della storia dell’ultimo secolo si hanno poche informazioni documentate, per la maggior parte filtrate dall’inaccessibilità carceraria.
Più indietro nel tempo esistono documenti d’archivio e ricostruzioni di qualche studioso, ma non esiste una analisi storica completa delle vicende dell’isola.

E’ per questo che la Soprintendenza Archeologica di Sassari ha in atto una campagna archeologica e storica che consentirà, per la prima volta, con documenti d’archivio e con ricerche sul campo terrestre e marino,
di riscrivere la Storia di quest’isola del Mediterraneo.L’alone di fascino e di mistero ha comunque sempre accompagnato l’Asinara lungo il trascorrere dei secoli;
ed è proprio secondo la leggenda che nel 2280 a.C. Ercole accettò dai Sardi di diventare il loro Re e di dare nome alle località dedicate al suo culto. Così la piccola isola diventò Herculis Insula.
L’isola è sempre stata molto frequentata per la sua posizione baricentrica nel mare Mediterraneo; la conoscevano i fenici, nelle loro navigazioni commerciali,  i greci, che la usavano come approdo lungo le rotte per la Provenza, e anche i romani, nelle loro sfortunate avventure marinaresche.

Nel Medioevo vi giunsero per primi i monaci camaldolesi, che si dedicarono alle costruzioni religiose e anche alla coltivazione dei terreni. Nel frattempo, nelle riparate baie dell’isola avevano fissato la propria dimora temporanea pirati e corsari.

Col tempo arrivarono sull’isola i pastori sardi e i pescatori liguri, che la colonizzarono sino alla fine del 1800.

Però, i 500 abitanti che si erano faticosamente ambientati furono improvvisamente costretti a fare le valigie nel 1885, dalla legge firmata da Re Umberto che prevedeva l’esproprio dell’isola per la creazione di una colonia penale agricola e di una stazione sanitaria di quarantena.

Durante la Prima guerra mondiale, l’isola fu utilizzata come campo di concentramento per migliaia di prigionieri serbi e austro-ungarici.
Nei recenti anni ’80, la colonia penale fu trasformata in carcere di massima sicurezza e, dal 1997, in Parco Nazionale.
Le incursioni islamiche, barbariche e piratesche prima, il campo di concentramento, la stazione sanitaria e il carcere poi, hanno ostacolato per secolii vari tentativi di valorizzazione e colonizzazione di quest’angolo di Sardegna e l’invasore di turno ha sempre cercato invano di sfruttarne le eccezionali caratteristiche di riparo e di approdo ma anche di isolamento dal mondo. Ora grazie al Parco l’isola è disponibile a tutti.

Pierfranco Faedda  (faeddapi@hotmail.com)

L'Asinara: Il Parco

L'Asinara, per dimensioni la seconda isola sarda dopo Sant'Antioco, presenta una forma stretta, allungata in senso Nord-Sud con un andamento della linea costa molto frastagliato, indice di una notevole varietà di habitat. L'Isola presenta una situazione storica, ambientale e giuridica estremamente singolare. Sebbene i primi resti della presenza umana risalgano al neolitico, la natura si e potuta conservare grazie ad un susseguirsi di eventi che le fecero assumere il nome poco accattivante di Isola del Diavolo: è stata una Stazione Sanitaria di quarantena, un campo di prigionia nella prima guerra mondiale ed uno dei principali supercarceri italiani durante il periodo del terrorismo degli anni '70 e nella lotta contro la delinquenza organizzata sino all'istituzione del Parco. Questo isolamento, durato oltre un secolo, ha provocato da un lato la nascita del fascino e del mistero dell'Isola e dall'altra l'indiretta conservazione di alcune aree integre e vergini, rendendola un patrimonio unico e di inestimabile valore a livello internazionale.

Flora e vegetazione

Il territorio dell'Asinara ha subito negli ultimi anni un intenso uso delle risorse da parte dell'uomo che ha condizionato in particolare il paesaggio vegetale. Soprattutto le zone interne, per gli usi agricoli, forestali e zootecnici, esercitati spesso in modo irrazionale, risultano a volte alterate e degradate. Le famiglie numericamente più rappresentate sono le composite, le leguminose e le graminacee, che insieme alle ombrellifere e alle scrofulariacee, rappresentano circa la metà della flora spontanea dell'isola.

La Fauna

Anche la fauna ha subito negli ultimi decenni profonde modificazioni. Le fonti storiche riportano la presenza di specie importanti da un punto di vista naturalistico come il muflone, il cervo sardo, la foca monaca e il falco pescatore. Nell'isola oggi sono segnalate oltre 80 specie di vertebrati terrestri appartenenti alle classi degli Anfibi, Rettili, Uccelli e Mammiferi. Tuttavia il numero non fornisce un'idea dell'importanza che l'isola riveste a livello internazionale per la conservazione e riproduzione della fauna selvatica che annovera diverse specie rare e in via di estinzione. Fra le entità endemiche possono essere ricordate la luscengola, un curioso rettile squamato, la lepre sarda e la crocidura rossiccia, piccoli riditori; fra le specie sardo-corse la piccola lucertola algiroide nano, il barbagianni di Sardegna, lo scricciolo, il pigliamosche e lo zigolo nero, nella sottospecie sarda, il quercino e il muflone.

Per quanto riguarda il loro status di conservazione possono essere segnalate:

 tre specie vulnerabili: uccello delle tempeste, gabbiano corso e sterna comune;

 due specie a status indeterminato: berta maggiore e berta minore;

 sette specie rare: muflone, algiroide nano, lepre sarda, testuggine comune, tarantolino, falco pellegrino, cormorano dal ciuffo;

 tre insufficientemente conosciute: discoglosso sardo, pernice sarda e gazza.

L'asino bianco dell'Asinara

L'asino bianco (Equus asinus var. albina) è caratterizzato da dimensioni ridotte che in un soggetto adulto sono di circa 1 m di altezza al garrese. Presenta una testa quadrangolare con profilo rettilineo, collo corto, arti robusti, piede bianco, piccolo e poco resistente. Presentano una marcata fotofobia ed un andatura incerta in ambienti luminosi. L'originalità dell'animale è dovuta al caratteristico fenotipo che si manifesta con colorazione bianca del mantello, colore rosa della pelle e parziale pigmentazione dell'iride, percepita di colore rosa-celeste.

L'ambiente marino

L'ambiente marino costituisce per l'Asinara elemento di particolare pregio ed interesse scientifico ed è sostanzialmente caratterizzato da un'elevata integrità e diversità delle comunità floro-faunistiche, da un notevole valore paesaggistico, dall'ottima qualità delle acque in termini ecologici e di contaminazione chimica.

La Storia

Solo la storia più recente, documentata o trasmessa a voce, fa conoscere le vicissitudini umane ed ambientali di quest'isola e le sue storie, grandi e piccole. Della storia dell'ultimo secolo si hanno poche informazioni documentate, per la maggior parte filtrate dall'inaccessibilità carceraria. Più indietro nel tempo esistono documenti d'archivio e ricostruzioni di qualche studioso, ma non esiste una analisi storica completa delle vicende dell'isola. E' per questo che la Soprintendenza Archeologica di Sassari ha in atto una campagna archeologica e storica che consentirà, per la prima volta, con documenti d'archivio e con ricerche sul campo terrestre e marino, di riscrivere la Storia di quest'isola del Mediterraneo.

La prima presenza umana antica sull’isola sembra essere di origine protonuragica, con le domus de janas (letteralmente case delle fate: tombe o dimore?) costruite negli anfratti dell’unica lente di calcare morbido presente sull’isola, nei pressi della ex-diramazione carceraria agricola di Campu Perdu. Coevo è il bronzetto nuragico, raffigurante il bue stante, che pare sia stato ritrovato sull’isola e che ora è esposto all’Antiquarium Turritano di Porto Torres, ma la sua provenienza è tuttora incerta.

Oltre cento chilometri di coste, secche e rocce affioranti costituiscono un ambiente quasi inesplorato della storia marina dell’isola; i fondali non sono solo ricchi di pesci e alghe, ma anche di relitti di navi di tutte le epoche, affondate per eventi naturali di particolare intensità, per l’insidia dei fondali o per le numerosissime e cruente battaglie navali. Recente è il ritrovamento di un relitto di epoca romana, che trasportava anfore contenenti prodotti a base di pesce, ora visibile a pochi metri di profondità, a poca distanza dal molo di Cala Reale. Sul terreno, inoltre, non è difficile imbattersi in un coccio di tegola o anfora romana, segni espliciti di una diffusa presenza anche sulla terraferma. E’ certo dunque che i romani abitarono l’isola, tenendo stretti contatti con la vicina colonia di Turris Lybissonis, l’odierna Porto Torres. E diedero all’isola il nome di Sinuaria, per via delle numerossissime insenature.

Le prime incursioni degli Arabi in Sardegna a all’Asinara risalgono al 700 d.C. e sono caratterizzate da furibonde battaglie con i fieri Sardi, popolo intenzionato a difendersi ma assolutamente sprovvisto di mezzi adatti. La ritirata verso l’interno da parte delle popolazioni costiere lasciò scoperte coste e isole, che diventarono teatro di battaglia delle Repubbliche marinare, in particolar modo di Genova e Pisa.

Dopo la vittoria del 1015 contro Mugahid, l’ultimo invasore islamico, la Sardegna si aprì al continente, favorendo lo stanziamento delle diverse famiglie, specialmente liguri e toscane, attirate dai facili guadagni che la Sardegna allora prometteva. Fra queste casate vi furono anche i malaspina, marchesi di Lunigiana, che pare abbiano fatto erigere il castello situato nel massiccio che sovrasta lo stretto passaggio marino di Fornelli. La storia di questo castello, che dal basso della collina si confonde quasi con le rocce granitiche, appare tuttora comunque controversa: alcuni, ad esempio, ne fanno risalire la costruzione interno al 1590.

Tra le varie battaglie navali nelle acque dell’isola tra Aragonesi, con base ad Alghero, e i Genovesi, di stanza all’Asinara, si ricorda quella avvenuta nel 1409, che alla fine vide vincitori questi ultimi, pur se numericamente inferiori, in quanto in possesso delle bombarde, che in questa battaglia, per la prima volta, vennero usate nelle acque sarde.

Negli anni intorno al 1500, per il perdurare delle incursioni dei turchi e dei mori cominciarono ad edificarsi sulle coste sarde le torri di avvistamento e difesa; ma, almeno in un primo momento non bastarono a difendersi dai pirati, primo fra i quali il Barbarossa, che fece dell’Asinara la sua base per le scorrerie nel Tirreno, arroccandosi nel fortilizio del castellaccio, nella zona di Fornelli. A partire dal 1600 gli aragonesi costruirono le torri di Cala d’Arena, di Cala d’Oliva e di Trabuccato, tuttora visibili anche se non in ottimo stato. E i loro custodi, gli alcaici e gli artiglieri, esercitarono la loro indispensabile funzione anche contro i nuovi corsari del Mediterraneo, i francesi.

Quando la Sardegna nel 1720 passò ai Savoia, l’Asinara cominciò a popolarsi con pastori provenienti dalla Corsica e rifiutati dai sardi della Gallura e del Logudoro. Anche la tonnara di Trabuccato, in funzione da secoli e temporaneamente dismessa, riprese la sua produttività. Si arrivò in quel periodo a circa 100 abitanti, tra pastori, pescatori e torrieri. Uno dei più clamorosi tentativi di colonizzazione avvenuti nel passato fu quello dei fratelli francesi Gioacchino e Felice Velixandre. I due, speculatori di professione, fecero di tutto pur di avere la concessione dell’isola dal Governo Sardo, col preciso impegno di popolarla e colonizzarla. E’ stata sempre questa la storia dei Sardi, sempre incapaci di valutare le risorse locali, sempre animati dal desiderio di trovare un colonizzatore capace di farli rinascere. Insomma, nel 1767, i due francesi vararono il primo piano dell’isola dell’Asinara; i Velixandre allontanarono i 69 abitanti locali e vi insediarono 150 coloni francesi, i quali, però, si arresero alle difficoltà ambientali e agli imbrogli dei due fratelli che rinunciarono,nel breve volgere di due anni, al tentativo di colonizzazione.

L’iniziativa dei Velixandre servì se non altro a richiamare l’attenzione, sempre tutt’altro che disinteressata, di molti; fra questi, un nobile sassarese, Don Antonio Manca Amat, Marchese di Mores, riuscì a convincere l’allora Re di Sardegna Vittorio Amedeo II di Savoia, che nell’anno 1775 gli concesse l’isola con il titolo di Duca dell’Asinara. Sotto questo nuovo regime feudale migliorò la situazione dell’isola. Don Antonio fece arrivare dei Liguri che, forti delle loro esperienze, diedero segni concreti di sviluppo nell’agricoltura e nella pesca. Questo travaso di popolazione e cultura ligure venne reso più facile dall’unione politica tra la Repubblica Marinara di Genova e il Regno di Sardegna. Comunque, anche in questo caso l’incremento demografico che tutti si aspettavano non si verificò. La soppressione dei Feudi dell’Asinara e dell’isola Piana, venne regolata da una legge del 1837. Nel 1883, sette anni prima che avesse termine tale regime feudale, gli abitanti dell’isola non superavano le 250 unità.

La Legge n.3183 del 28 giugno 1885 autorizzò l’espropriazione dell’Asinara per stabilirvi una colonia agricola ed un lazzaretto, con uno stanziamento di ben 600.000 lire per la prima e di 400.000 per il secondo. La Legge passò non senza contrasti e non senza la ferma, tenace ed ostinata reazione degli abitanti della piccola isola. Trasferire in Sardegna gli abitanti dell’Asinara non fu cosa di poco conto: dovette intervenire la forza pubblica e navi da guerra traghettarono forzatamente i più ostili. La maggior parte del bestiame perì nelle operazioni di trasporto, mentre più tardi gli ex Asinaresi furono decimati dalla fame e dalla tubercolosi. Le 45 famiglie provenienti dall’isola trovarono un luogo adatto nella vicina Nurra e fondarono il borgo di Stintino.

Dopo la fine della grande guerra, l’isola risulta divisa tra tre Ministeri: Ministero della Marina, per i fari di Punta Scorno e della Reale; Ministero della Sanità, dalla Stazione Sanitaria Marittima della Reale a Trabuccato; Ministero di Grazia e Giustizia, tutto il restante territorio, utilizzato come casa di lavoro all’aperto. In quegli anni venne istituito il primo servizio di posta, effettuato con una barca a vela latina, il Postalino.

Negli anni dopo la campagna di Etiopia, tra il 1937 e il 1939, furono deportati all’Asinara centinaia di confinati etiopi, per essere sottoposti a “osservazione e bonifica sanitaria”. Tra essi anche la figlia del Negus Ailè Selassiè, che morì poco dopo a Torino, dopo aver perduto il figlioletto proprio all’Asinara. E’ sempre di quel periodo la costruzione di fortini e postazioni antisbarco, tuttora visibili in tutta l’isola.

Nella seconda guerra mondiale, l’Asinara non fu direttamente coinvolta in alcuna azione bellica, anche se non mancarono episodi rilevanti, come l’affondamento della corazzata italiana Roma avvenuto al largo di Punta Scorno esattamente il giorno dopo l’armistizio. In quegli anni cessa l’attività della Stazione Sanitaria, che viene in parte destinata ad ospitare persone in soggiorno obbligato per sospetto di mafia.

Dopo la seconda guerra mondiale l’amministrazione carceraria riprese il controllo dell’isola, con la colonia agricola impegnata nella coltivazione di cereali, ortaggi e vigneti e con l’allevamento di bestiame. E’ degli anni ’60 la costruzione di importanti opere e infrastrutture, quali bacini artificiali e interventi portuali.

Si arriva così alla metà degli anni ’70, quando una diramazione del carcere fu destinata a detenuti di particolare pericolosità. Erano questi gli “anni di piombo”, quelli in cui il fenomeno del terrorismo rappresentava un pericolo per lo Stato. In particolare l’art.90 del Nuovo Ordinamento carcerario del 1975 destinava un particolare trattamento ai terroristi reclusi, che durò sino alla sua revoca nel 1984. Soggiornarono allora nel supercarcere di Fornelli i maggiori esponenti del gruppo terroristico delle Brigate Rosse, quali Renato Curcio e Alberto Franceschini, oltre a una nutrita rappresentanza di detenuti appartenenti all’Anonima Sarda.



Nel mese di aprile 1988 viene presentato un disegno di legge dal senatore Montresori e da tutti i parlamentari sardi, per il trasferimento dell’isola dal Demanio Statale alla Regione Sarda, con destinazione parco naturale. In seguito, però, ad una polemica registrata dalla stampa sui privilegi rilasciati a parlamentari e funzionari ministeriali, nasce la sfida di popolo che consiste nell’osare ciò che è sempre stato negato a molti per il godere di pochi: il sindaco Rodolfo Cermelli guida la spettacolare azione dimostrativa di protesta che sfocia nel famoso “tuffo” nelle acque interdette il giorno 20 agosto e nel conseguente sbarco sulla spiaggia di Cala Sant’Andrea di oltre 700 persone con un centinaio di imbarcazioni, con notevole eco sugli organi di stampa e comunicazione. Nel frattempo il Ministero della Sanità rinuncia ai diritti sull’isola e lascia la sua porzione del territorio al demanio dello Stato.

Nel 1991, proprio quando sembra prendere consistenza l’idea del “carcere leggero”, se leggero può definirsi un carcere, il Senato approva il disegno di legge sulle aree protette: fra queste, oltre al Gennargentu e Golfo di Orosei, a sorpresa viene inserita, con un emendamento del Senatore Montresori, anche l’isola dell’Asinara. La legge quadro sulle aree protette n.394 viene approvata dal Parlamento e con l’art.34 viene istituito il Parco nazionale del Golfo di Orosei, Gennargentu, e Isola dell’Asinara, con la clausola che entro sei mesi si perfezioni la prevista intesa con la Regione Sarda, pena l’istituzione di un altro Parco nazionale in luogo del Parco sardo. Nel febbraio 1992 si riunisce a Cagliari la commissione mista incaricata di studiare la proposta Amato per la creazione di un villaggio penitenziario sull’Asinara, che si conclude però con un nulla di fatto proprio a causa di diversità di vedute nella gestione del territorio dell’isola tra Ministero di Grazia e Giustizia e comunità locali. Nel giugno 1992 si firma comunque l’intesa Stato-Regione che sancisce l’istituzione del Parco Nazionale sardo.

Nell'ottobre 1995, in un incontro Stato-Regione, si ribadisce la proposta di una possibile suddivisione in due settori del territorio dell’isola: da una parte il carcere (ancora per due anni) e dall’altra le prime basi per la creazione del Parco nazionale. Insomma, una soluzione compromissoria rispetto a quanto dettato dalla legislazione vigente, ed in particolare dalla Legge 422/92 che fissava il termine della dismissione completa del carcere al 31 dicembre 1995. Il 28 ottobre Federico Palomba, presidente della Regione Sarda, annuncia che l’indomani si sarebbe firmato l’accordo fra Stato e Regione per l’istituzione del Parco nazionale. Ma, contemporaneamente, proprio lo stesso giorno, ritornano all’Asinara “ospiti” di rilievo fra i quali spiccano i nomi di Totò Riina e Leoluca Bagarella. In dicembre il Consiglio dei Ministri vota una proroga di altri quattro anni per la presenza del carcere, facendo slittare alla fine del 1999 la creazione del Parco.

Nel gennaio 1996, dopo l’arrivo nell’isola dell’Asinara di un altro detenuto di spicco, Renato Vallanzasca, la reazione della comunità locale si fa sentire: il Sindaco Dessì e l’intero Consiglio Comunale minacciano le dimissioni nel caso in cui il Governo non ottemperi agli impegni presi e il deputato sardo Giampaolo Nuvoli invita gli altri parlamentari sardi a fare altrettanto. Nel frattempo, i Verdi di Porto Torres, organizzano un “Comitato di liberazione” ribadendo la loro contrarietà per il metodo di politica moderata che non aveva portato fino ad allora a risultati concreti. Il 5 gennaio si svolge in città, in silenzio ma con una larga partecipazione popolare, una fiaccolata per la liberalizzazione dell’Asinara, nell’ennesimo tentativo di sensibilizzazione. Il 7 febbraio 1996, il Consiglio Comunale, dopo ripetuti tentativi di dialogo istituzionale, si riunisce in piazza Montecitorio a Roma, davanti alla Camera dei Deputati, per manifestare tutta la rabbia nei confronti del Governo che non ha ottemperato alla data di scadenza del 31 dicembre 1995 per la dismissione del carcere. Il 22 febbraio però il decreto scade e viene reiterato il testo originario. In giugno arriva anche il parere negativo ai requisiti della necessità e urgenza dell’utilizzo delle carceri di Pianosa e Asinara: le azioni popolari e istituzionali evidentemente portano i loro benefici effetti ma ancora il Parco non c’è. E si notano le prime manifestazioni di preoccupazione da parte dei 330 agenti di custodia sardi ancora presenti all’Asinara, 150 dei quali abitano a Porto Torres.

Il 1997 è l’anno decisivo per la creazione del Parco. Già dal mese di gennaio il Ministro dell’Ambiente Edo Ronchi conferma la volontà di istituire un sottocomitato per l’Asinara, che opererà in maniera autonoma data la sua specificità e poca omogeneità rispetto al Parco del Gennargentu. Il primo passo per lo scorporo dell’Asinara si concretizza con la Legge 344 del 1997, nella quale all’art.4 viene istituito il Parco Nazionale dell\'’Asinara.

Durante la Conferenza Internazionale sulle Isole Protette del Mediterraneo, organizzato in aprile dall’Amministrazione Comunale di Porto Torres e dall’Associazione Mediterranea per l’Avifauna Marina Medmaravis, i rappresentanti dei parchi insulari e marini del Mediterraneo, scienziati e ricercatori di levatura mondiale, uomini politici e cittadini, si recano sull’isola dell’Asinara per quella che può essere considerata la prima visita turistica autorizzata ufficialmente nell’isola.

Nel giugno del 1997, il neoeletto sindaco Eugenio Cossu, indica al Sottosegretario del Ministero dell’Ambiente Valerio Calzolaio, in visita sull’isola, le priorità per l’inizio dell’avventura Parco: viabilità, trasporti e vigilanza.

Nel novembre del 1997 viene emanato il Decreto di perimetrazione provvisoria del parco e le prime norme di salvaguardia. Nel gennaio dell’anno successivo, successivamente alla partenza degli ultimi agenti della Polizia Penitenziaria, si insedia sull’isola il primo nucleo del Corpo Forestale e di Vigilanza Ambientale della Regione Sarda, con precisi e impegnativi compiti di controllo dell’isola a terra e a mare, in collaborazione con la Capitaneria di Porto Torres. In attesa dell’istituzione di un organo di gestione del Parco, le strutture e gli animali domestici dell’Amministrazione Penitenziaria vengono affidati all’Azienda Foreste Demaniali della Regione, già presente con il personale sull’isola con compiti di riqualificazione ambientale.

Nel marzo del 1998 viene nominato Presidente del Parco Eugenio Cossu, sindaco di Porto Torres, insieme agli undici componenti del Comitato di gestione Provvisoria, in rappresentanza della comunità locale, degli Enti territoriali istituzionali, delle Associazioni ambientaliste, dell’Università e del Ministero dell’Ambiente.

Il Parco comincia effettivamente ad operare a metà del 1999, con la creazione di una struttura operativa composta da tecnici e personale amministrativo, struttura indispensabile per un’impresa ambiziosa e mai sperimentata in Sardegna e forse in altre parti del mondo: recuperare un’isola e il suo ambiente, per oltre 100 anni interdetti al pubblico e destinati ad usi diversi, ripristinando soprattutto le condizioni naturali e ambientali, la vivibilità e l’efficienza delle infrastrutture di servizio, ma salvaguardando in particolar modo l’atmosfera e l’anima del luogo.

Nel giugno 2000, l’intero compendio dell’Asinara comprendente terreni ed immobili viene trasferito dal Demanio dello Stato alla Regione Sardegna, così come previsto dallo Statuto Sardo per le dismissioni demaniali. Restano comunque allo Stato, in capo a vari Ministeri, alcune limitate porzioni di territorio per usi governativi: oltre al faro di Punta Scorno ed alcune zone sommatali di Punta Maestre Serre, affidate ai Ministeri di Difesa e delle Comunicazioni, sono affidate al Ministero dell’Ambiente a al Ministero dei Beni Culturali le strutture più importanti dell’area di Cala Reale. Altre strutture vengono affidate al Ministero delle Finanze, della Giustizia, della Difesa e dell’Interno.

L'Asinara: Il Carcere

Durante la fase di transizione legislativa, nella quale si passa dai codici degli Stati preunitari alla promulgazione del codice Zanardelli, in Italia viene proposta l’istituzione delle Colonie Agricole, prendendo in considerazione il modello dell’isola di Pianosa (istituita nel 1858) e tra le diverse aree viene scelta in modo quasi incidentale l’isola dell’Asinara, è il 16 giugno 1885.

Il regolamento delle Colonie Penali Agricole entra in vigore il 1 marzo 1887 e prevedeva la suddivisione in due categorie, quelle destinate ai condannati ai lavori forzati e quelle per i condannati a tutte le altre pene.
La permanenza dei detenuti nella colonia era legata principalmente alla buona condotta e alle capacità nei lavori di coltivazione, dissodamento e bonifica dei terreni, nonché nella costruzione di strade e fabbricati.
Nel caso specifico dell’Asinara, i detenuti venivano trasportati con delle spedizioni effettuate dalle forze dell’ordine, denominate “traduzioni”; ogni traduzione accompagnava un numero di detenuti che variava dalle 10 alle 40 persone.
Una volta arrivati sull’isola, i detenuti affrontavano un colloquio con il comandante militare e dopo una prima valutazione, in base alla condanna riportata ed al tipo di reato, venivano ripartiti nelle varie diramazioni.
All’ingresso del carcere nel quale erano stati destinati, venivano sottoposti ad una visita sanitaria; solo il medico poteva disporre l’isolamento dell’individuo, così come poteva stabilire di metterlo nel letto di “contenzione”, nel quale doveva rimanere supino e dove gli venivano bloccati gli arti con appositi anelli, regolabili in base alla circonferenza di polsi e caviglie, per consentire un accurato controllo; il medico aveva inoltre il compito di redigere il diario clinico, una sorta di registro nel quale annotava le eventuali malattie e cure alle quali il soggetto veniva sottoposto.
Successivamente affrontavano il colloquio con lo psicologo e l’assistente sociale; anch’essi valutavano l’individuo e poi riportavano il loro giudizio in apposite cartelle.
Tutti i detenuti che soggiornavano all’Asinara venivano trattati allo stesso modo, senza preferenze e quelli considerati “buoni” avevano la possibilità di lavorare all’interno del carcere, come ad esempio nelle cucine o nelle foresterie.
Ognuno poteva usufruire del “sopra-vitto”, ovvero una quota da poter spendere all’interno dell’isola per acquistare libri e qualsiasi oggetto che avesse uno scopo culturale. Tale quota veniva stabilita dal Ministero di Grazia e Giustizia e ad esempio, nel 1985, non poteva superare le 350.000 lire mensili.
I familiari potevano andare a trovare i loro parenti periodicamente; per i detenuti del 41 bis, cioè tutti i mafiosi e i brigatisti, le visite erano concesse una volta al mese ed il colloquio avveniva tramite citofono separati da un vetro antiproiettile. Per tutti gli altri il colloquio era settimanale e senza nessun vetro.
La Colonia Penale Agricola, che divenne successivamente Casa di Reclusione, ossia luogo di soggiorno per i detenuti con condanna definitiva, era organizzata in diversi insediamenti residenziali, denominati “diramazioni” o “distaccamenti”.
Ogni diramazione era una sorta di piccolo carcere, costituito dai dormitori per i detenuti, dalla caserma e alloggi per le guardie e dalle stalle per il ricovero degli animali.
Per quanto riguarda l’amministrazione carceraria, ogni distaccamento era composto da un direttore amministrativo, un capo diramazione, un comandante militare, educatori ed educatrici (in tutto sei), un assistente sociale, un psicologo, un psichiatra e diversi militari.

martedì 6 settembre 2011

Massimo Coltrinari Nuovo Numero cellulare

Carissimi Amici,

Ho cambiato il numero di cellulare: chi desidera il nuovo numero può chiderelo alla email

Massimo Coltrinari

sabato 23 luglio 2011

Esercitazione Cjex 2011


Una delegazione costituita da 25 Ufficiali frequentatori del 13°Corso ISSMI e da 2 Tutors, guidata dal Capitano di Fregata Corrado Campana, si è recata presso la Führungsakademie der Bundeswehr – l’Istituto di alta formazione degli Ufficiali delle Forze Armate tedesche sito ad Amburgo – per lo svolgimento della esercitazione CJEX (Combined Joint European Exercise 2011), una attività addestrativa svolta congiuntamente dall’Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze e dagli omologhi Istituti di Germania, Francia, Spagna e Regno Unito.


Questa esercitazione, che rappresenta il momento culminante del Corso, consiste in una intensa e complessa attività di pianificazione di una operazione militare svolta da JOPGs (Joint Operational Planning Groups) internazionali costituiti da Ufficiali appartenenti alle diverse Forze Armate di tutte le Nazioni partecipanti, secondo uno scenario fittizio ma realistico che include, oltre alle problematiche tipicamente operative di minaccia convenzionale e asimmetrica, aspetti relativi alla gestione dei rapporti con i Media e gli organi di informazione (Public Information), con le Organizzazioni Internazionali e Non Governative (IO/NGO) e di cooperazione Civile-Militare (CIMIC).

Questa attività è finalizzata ad uniformare ed armonizzare le procedure seguite nel processo di pianificazione utilizzate nel contesto europeo, mantenendo e migliorando il livello di coordinamento tra i singoli Paesi, e a questo scopo i frequentatori della delegazione italiana ad Amburgo, insieme alle analoghe rappresentanze di Francia, Spagna e Regno Unito, hanno operato in maniera integrata con i frequentatori appartenenti alle Forze Armate tedesche sotto la guida dei Tutors di ciascuna nazione e dei Senior Mentors della Führungsakademie.



(Fonte. Sito del Ministero della Difesa)

mercoledì 25 maggio 2011

President Ma's Remarks at the Videoconference
with the Center for Strategic and International Studies

Building National Security for the Republic of China

Speech by
President Ma Ying-jeou

Republic of China (Taiwan)

Video Conference with Center for Strategic & International Studies Washington, D.C.
May 12, 2011



At the Office of the President this evening, President Ma Ying-jeou took part in a videoconference with the Center for Strategic and International Studies (CSIS), the theme of which was "Building National Security for the Republic of China." After introductions by Mr. John Hamre, President and CEO of CSIS, the President delivered his opening remarks, fielded questions from the audience, and then made some closing remarks.



President Ma's Opening Remarks:



President Hamre, distinguished guests, ladies and gentlemen, good morning!



It gives me great pleasure to be addressing my friends at the Center for Strategic and International Studies once again. We last met two years ago on the occasion of the 30th Anniversary of the Taiwan Relations Act, a milestone in the history of the Republic of China on Taiwan. And this year, after a long journey of blood, toil, tears and sweat, the Republic of China is achieving a greater milestone, its centennial anniversary. This year also marks the third year of my presidency. Therefore, it is time I shared with you how I am building three lines of defense for the ROC’s national security, so as to ensure its longevity for many more centuries to come. These three lines of defense are institutionalizing the Cross-Strait rapprochement, enhancing Taiwan’s contributions to international development and aligning defense with diplomacy.



The First Line of Defense: Institutionalizing the Cross-Strait Rapprochement



The Cross-Strait rapprochement that began three years ago continues to bear fruit and increase regional peace and stability. We witness this in so many aspects of our society. The arrival of nearly three million mainland Chinese visitors has created a tourism boom in Taiwan almost 10 times than before. The increase in Cross-Strait trade also boosted Taiwan’s total trade volume to a record high of 526 billion US dollars in 2010. Since the Cross-Strait Judicial Mutual Assistance Agreement was signed in 2009, a joint crackdown on Cross-Strait crimes by the police forces of both Taiwan and mainland China has seen more than 100 fugitives repatriated to Taiwan, up 50% from before, and has cut cases of fraud in Taiwan by more than a quarter. And in education, more than 5,600 mainland exchange students studied in Taiwan’s universities in 2010, paving the way for another 2,000 students to arrive in the fall semester this year. We have also seen a surge in Taiwanese companies with a heavy investment presence in mainland China returning to list their companies on the Taiwan Stock Exchange, rather than on the Hong Kong Stock Exchange, a dramatic reversal of previous practices.



I owe much of my administration’s success to our new approach to Cross-Strait relations. The new way of thinking revolves around moving beyond the outdated mode of unilateralism that previously characterized, and also hindered, relations between the two sides. As the renowned diplomatic historian Paul Schroeder concluded in his study of the events that led up to the Congress of Vienna peace era, “One must have change of thought, before one can have change of action.”



Before I came to office, we had all witnessed the spread of instability, unpredictability and especially insecurity in Cross-Strait relations. I had long recognized that Cross-Strait relations required a new mindset, one that would emphasize the commonalities, take advantage of our shared interests, capitalize on our mutual opportunities and de-emphasize our political disagreements. Former KMT Chairman Lien Chan undertook some of the first steps towards instilling this new mindset when he embarked on his “Journey of Peace” to the mainland in 2005. His speech at Peking University, calling for the two sides to join together to “beat swords into plowshares”, captured the essence of this new idea. The decades-old rivalry between Taiwan and mainland China was thus given a rare window of opportunity for change.



After I came to office in 2008, I worked hard to accelerate this change. All around me, the world was changing at breakneck speed while the ill-founded policies of the last decade were threatening to sideline Taiwan in the Asia-Pacific region. I knew I had to break out of the Cross-Strait deadlock for the sake of Taiwan’s economic future and national security. Hence, I championed a “three-no” policy of “no unification, no independence, and no use of force” (不統、不獨、不武) under the ROC Constitution. This has changed the fundamental structure of, and created a “virtuous cycle” for, Cross-Strait relations.



I then adopted the “92 Consensus” (九二共識) as the cornerstone for the Cross-Strait negotiations. The 92 Consensus, meaning “one China, respective interpretations”, has proven crucial to paving the way forward. It was under this Consensus that the six rounds of Chiang-Chen Talks were able to take place, and the two sides were able to achieve so many practical, indeed incredible, breakthroughs. By “putting Taiwan first for the benefit of the people,” (以臺灣為主,對人民有利) we and Beijing have thus far signed 15 agreements that tackle the issues of greatest concern to the people in Taiwan. At the same time, my administration managed to institutionalize convenient, predictable and stable channels for Cross-Strait communications. It was only through this groundwork that the next milestone – of signing an Economic Cooperation Framework Agreement (ECFA) last year – could be realized and its benefits fully exercised. One econometric study has even shown that the ECFA will eventually add 4.4% to our GDP, once the dynamic gains of structural adjustments have time to be fully implemented. And that is not even including other potential spillover benefits as a result of an improved services, trade and investment environment.



It is also my belief that increased exchanges across the Strait will lead to increased exchanges with other countries, for both sides. This will enhance mutual understanding between Taiwan, the mainland and other countries, which will in turn help Cross-Strait relations evolve even further. That is, the virtuous cycle in Cross-Strait relations has positive consequences for the international community, which then adds even greater momentum to improvements in Cross-Strait relations. For example, due to the diplomatic truce between the two sides of the Strait, the number of diplomatic allies that Taiwan has remained constant at 23, compared to a loss of six allies by the previous administration. Taiwan has also joined the Government Procurement Agreement (GPA) and become an observer in the World Health Assembly (WHA) after a hiatus of 38 years. Taiwan has expanded its visa waiver programs from 53 to 113 countries and regions—with the United States as a notable exception, as well as working-holiday arrangements for young people from 2 to 6 countries.



This just shows what can be achieved by merely changing the way one thinks. This I believe is also the essence of good governance: never to interfere, but to build the necessary structures that encourage the right conditions for growth in society. And it is through this process of institutionalization that we created explicit or implicit principles, norms, rules, and procedures around which the expectations of both sides can converge. This very convergence has created predictability and mutual understanding in our relations, leading to stability across the Taiwan Strait and in the region as a whole. The idea of institutionalizing the Cross-Strait rapprochement, therefore, is not only to reduce the possibility of miscalculation but, more importantly, to increase the cost of reversing this trend.





The Second Line of Defense: Enhancing Taiwan’s Contributions to International Development



Although the incredible breakthroughs achieved in Cross-Strait relations have ensured a brighter future for Taiwan and the region, Taiwan’s national security is also heavily dependent on how it contributes to the international community. I envision Taiwan contributing on two primary fronts: the economy, and foreign relations. In terms of the economy, Taiwan already has the infrastructure and conditions in place to attract the best talent and become East Asia’s next commercial center. Without a doubt, the expansive business and personal networks Taiwan has built up throughout the region over the last 60 years are an invaluable asset. Its historical ties and cultural and language affinity with the mainland give it a competitive edge in the vast Chinese mainland market. At the same time, Taiwan also has a special partnership with Japan, as we share many cultural traits, common interests, ideas and even the same fashion sense. Therefore, many Japanese and Taiwanese businessmen have decided to work together to enter the mainland Chinese market. And this type of win-win partnership can be successfully repeated with other countries.



Taiwan is located at the geographical center of East Asia, and could not be in a better position for tapping into business opportunities in the region. Any businessman or multinational company based in Taiwan has convenient access to the whole Asia-Pacific region. With direct air and sea links, Taiwan is connected to all major cities in the Chinese mainland, from the coastal metropolises of Shanghai and Beijing, to the fast developing cities in the Chinese hinterlands. At the same time, all other major cities in the region – such as Tokyo, Seoul, Singapore, New Dehli, or Sydney – are well within reach.



Taiwan is also endowed with many “soft-power” attributes that make it an ideal place for both domestic and multinational companies. Its democracy and rule of law ensure that the rights of individuals and companies, including intellectual property rights, are guaranteed. The country’s modern and comprehensive transportation, healthcare and education infrastructure ensures that those who live here enjoy access to very good quality services. We also have a highly educated, innovative and skilled labor force just waiting for foreign companies to tap into. We have created an enviably safe society where anyone out at night walking their dogs or buying food at the grocery store can feel safe. And improvements are happening all the time, making our society a better place to live and do business in. Against a backdrop of stable Cross-Strait relations, Taiwan’s regional connections, geographic advantages and soft-power attributes make it poised to ride the next wave of opportunities in the region, and to help others do the same if they choose to join us.



With respect to foreign relations, there is also a lot of value that Taiwan can add to the global community. And as a maturing democracy, I believe Taiwan must learn to fully shoulder its own responsibilities in the world. In fact, Taiwan’s national security is inseparably tied to its role as a responsible stakeholder. Our nation’s political and economic survival depends entirely on how well we uphold the peace and stability of the international system. This is the same system that is making Taiwan prosperous, and allowing our government and people to connect with the rest of the world in ways that are enriching our nation even further. So, Taiwan certainly has a vested interest in putting a stop to improper diplomatic practices and in adopting a foreign aid policy that is more in line with international standards and norms. This is exactly what we have been doing over the last three years. Humanitarian work has especially become an important platform for Taiwan’s contributions to the international community. Taiwan’s democracy and economic prosperity have combined to give rise to a vibrant society of numerous non-profit organizations. In almost every major disaster that has occurred in the world recently, Taiwan has been an important contributor, whether providing financial aid to help rebuild homes in Sichuan, or giving life-sustaining medical aid to Haitian children. We were also one of the first to arrive with emergency relief supplies and rescue teams when Japan was struck by the triple disaster of an earthquake, tsunami and nuclear incident. Deeply saddened by the devastation, my wife and I were personally on hand to answer calls from donors at a major fundraiser in Taiwan last March. An equivalent of 27 million US dollars was raised that night. My administration had also pledged another 3 million US dollars. In fact, Taiwan ended up donating more than 200 million US dollars in total, which is Japan’s biggest donor so far. But, as you may know, our humanitarian contributions in that crisis extended beyond Japan. Our China Airlines was chartered to help fly out scores of US expatriates to Taipei before they headed back home to the United States. This second defense line aims to give Taiwan a higher moral ground in international politics.



The Third Line of Defense: Aligning Taiwan’s Defense with Diplomacy



From securing the Cross-Strait rapprochement to enhancing Taiwan’s contributions in international development, I now come to the last but equally significant part of the ROC’s national security: aligning Taiwan’s defense with diplomacy. I have two priorities. First, I want to continue to build up Taiwan’s credibility and trust with our closest allies, especially the United States. To be a trustworthy partner, Taiwan must be keenly aware of how its actions in the international system affect the interests of the big powers. This means “never rocking the boat” and “full consultation.”



Second, Taiwan has the resolve to defend itself. My administration wants to enhance Taiwan’s defense capability on a newly designed volunteer military system. This is a huge undertaking, as we need to overcome difficulties in training, organization, finance and military doctrines. However, we are confident that we will succeed in building a small but strong military force. Complementary to our defense capability is Taiwan’s democratic values, rule of law, and an advanced civil society, which could make Taiwan an indispensable reference for socio-economic development in the Chinese mainland. This is, it could be said, a soft-power approach to national defense.



Given the high stakes that America has invested in the region, I am sure the US, of all countries, can appreciate my administration’s commitment to being a responsible stakeholder. For example, President Barack Obama expressed earlier this year his support for the progress that has been made to reduce Cross-Strait tensions, and in particular how its continuation will be in the interests of the region and the United States. However, for Cross-Strait relations to continue advancing, the US must help Taiwan level the playing field. Negotiating with a giant like the Chinese mainland is not without its risks. The right leverage must be in place, otherwise Taiwan cannot credibly maintain an equal footing at the negotiation table. This is why I continue to urge the US to provide Taiwan with necessary defensive weaponry, such as the F-16 C/Ds and diesel-powered submarines, to keep its aerial and naval integrity intact, which is key to maintaining a credible defense. As Secretary of Defense Robert Gates wrote in Foreign Affairs last year, the US can best help itself by “helping others defend themselves.” At the same time, American presence in the very system it helped create decades ago is crucial to that system’s survival. In the end, only a strong US commitment, backed by its credibility in East Asia, can guarantee the peace and stability of this region.



Concluding remarks



In conclusion, a country’s overall strategy for security requires a sound political foundation in the domestic setting. My approach to Taiwan’s national security is based on my administration’s unwavering identification with the Republic of China and its Constitution. This is a common denominator for our vibrant democracy, which has a wide spectrum of political views ranging from those who prefer de jure Taiwan independence, to those who enjoy the status quo and to those who favor reunification with mainland China. Any deviation from or equivocation on this common denominator will only cause unnecessary uncertainties and risks in Taiwan’s domestic politics, Cross-Strait relations and international politics. Given that the stakes for all the countries in East Asia and for Taiwan’s future development are high, I am confident my approach to the ROC’s national security is already at an optimum.



My friends in America, the future of the region holds enormous opportunities, but also many potential pitfalls. Changes in both Taiwan and the mainland’s domestic politics could derail much of what has been achieved. Intransigence, overconfidence or unilateral pursuit of national interests could lead to a losing scenario for all relevant parties. So it will be essential to keep track of these moving pieces in the future. For my part, the process of transforming Taiwan into a valuable member of the global community, and thus ultimately enhancing its own security, will continue full-steam ahead under my administration. The same-old “no frills, no surprise” diplomacy will also continue to be the operational code for my administration’s conduct of foreign policy. That said, I hope this year will mark the start of a new 100 years that will be known as the century when the Taiwan-US partnership achieved its greatest accomplishments.



Thank you!



President Ma's Closing Remarks:



Dear friends and colleagues, as the famous American poet Robert Frost once wrote, “I took the road less travelled by, and that has made all the difference.” The past three years have witnessed unprecedented breakthroughs and positive developments in Taiwan and the region. Yet for the road ahead, we still need to be patient and careful in our political rhetoric, in the signals we send, in the gestures we make, and in the reputation we cultivate. I draw reassurance from the positive developments that continue to unfold across the Strait and in the international community, and I have full confidence in my administration’s roadmap. On a deeper level the improvement of Cross-Strait relations in the past three years reflects the result of something fundamentally more significant: the comprehensive overhaul of Taiwan’s strategic approach to the world. An approach that has coupled Cross-Strait relations, the economy and foreign relations together in such a way as to fully maximize Taiwan’s potential value in the global community. Taiwan has to transform itself into a peacemaker, a contributor of humanitarian aid, a center for innovation and business opportunities, a major promoter of cultural exchange and the standard bearer of Chinese culture. As the Republic of China reaches its centennial anniversary, I believe my administration’s grand strategy will make the Republic more secure, more prosperous for many, many years to come. I also firmly believe America’s friendship will be an inseparable part of the Republic of China’s future, as it has been in the past one hundred years.

Thank you!

venerdì 20 maggio 2011

Una nota di Corrado Campana




Una delegazione costituita da 25 Ufficiali frequentatori del 13°Corso ISSMI e da 2 Tutors, guidata dal Capitano di Fregata Corrado Campana, si è recata presso la Führungsakademie der Bundeswehr – l’Istituto di alta formazione degli Ufficiali delle Forze Armate tedesche sito ad Amburgo – per lo svolgimento della esercitazione CJEX (Combined Joint European Exercise 2011), una attività addestrativa svolta congiuntamente dall’Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze e dagli omologhi Istituti di Germania, Francia, Spagna e Regno Unito.


Questa esercitazione, che rappresenta il momento culminante del Corso, consiste in una intensa e complessa attività di pianificazione di una operazione militare svolta da JOPGs (Joint Operational Planning Groups) internazionali costituiti da Ufficiali appartenenti alle diverse Forze Armate di tutte le Nazioni partecipanti, secondo uno scenario fittizio ma realistico che include, oltre alle problematiche tipicamente operative di minaccia convenzionale e asimmetrica, aspetti relativi alla gestione dei rapporti con i Media e gli organi di informazione (Public Information), con le Organizzazioni Internazionali e Non Governative (IO/NGO) e di cooperazione Civile-Militare (CIMIC).

Questa attività è finalizzata ad uniformare ed armonizzare le procedure seguite nel processo di pianificazione utilizzate nel contesto europeo, mantenendo e migliorando il livello di coordinamento tra i singoli Paesi, e a questo scopo i frequentatori della delegazione italiana ad Amburgo, insieme alle analoghe rappresentanze di Francia, Spagna e Regno Unito, hanno operato in maniera integrata con i frequentatori appartenenti alle Forze Armate tedesche sotto la guida dei Tutors di ciascuna nazione e dei Senior Mentors della Führungsakademie.



domenica 8 maggio 2011

La Giornata dell'8 Maggio: la Visita al Gianicolo

La sessione si incontra

Auro di Falco, con la collaborazione di Massimo il finanziere e Vincenzo, ha organizzato la vista al Gianicolo, domenica 8 maggio, aperta a tutti i componenti della sessione, nel solco delle intese concertate nella cena conviviale alla Casa dell'Aviatore, sala Balbo, per gli auguri di Pasqua.
Massimo ha fatto da guida esplicativa sul percorso Casd- Sant-Onofrio-Quecia del Tasso-Monumtno di Anita e Giuseppe Garibaldi - Colpo del Cannone- Orto Botanico- Via Garibaldi-Lungara Palazzo Salviati. Il percorso completo è pubblicato su http://www.studentiecultori.blogspot.com/ (maggio)
La mattinata si è conclusa con il pranzo alla Sala del Casd ed i conversari sono continuti fino al primo pomeriggio.
In questa giornata si è cnvenuto con Damiano, Auro e Marina di organizzare un inconotr non su basi storico-divulgative ma dedicato a Camilleri ed alla sua produzione letteraria.
Di seguito una nota su questo percorso preparata da Chiara Albanese.

8 maggio 2011 LA Sessione si incontra per la visita al Gianicolo

Cultura a portata di mano: una panoramica di alcune delle maggiori bellezze romane


Introduzione

Quest’oggi condivideremo insieme a tutti voi una passeggiata virtuale nella storia, nella cultura e nell’arte del quartiere di Trastevere e del colle del Gianicolo. È nostra intenzione incentivare alla coltivazione della cultura attraverso le immagini di alcuni dei luoghi più belli e significativi della Capitale.
La cultura è alla base dei popoli. Non è la nazione che fa la cultura, ma è la cultura che determina una nazione. E per capire la cultura di un popolo, è necessario conoscerne la storia; questa non è opinabile, è data. Saranno quindi la bussola della storia e la mano della cultura che ci accompagneranno, vi accompagneranno, attraverso tale passeggiata virtuale.

Storia di Trastevere e degli argini

Possiamo iniziare la nostra discussione culturale localizzando geograficamente l’area della quale illustreremo alcune delle bellezze più significative: si tratta della zona di Trastevere, uno dei più affascinanti quartieri romani. È utile al fine della nostra esposizione raccontarne alcuni stralci di storia.

Trastevere è il XIII rione di Roma, si trova sulla riva ovest (riva destra) del fiume Tevere, a sud della Città del Vaticano. Il suo nome deriva dal latino trans Tiberim (al di là del Tevere), che era anche il nome di una delle regioni augustee. La considerazione della zona come parte della città inizia con l'imperatore Augusto, che divise il territorio di Roma in 14 regioni; l'attuale Trastevere era la quattordicesima ed era chiamata regio transtiberina. Tuttavia, tale regione era ancora al di fuori della città vera e propria, almeno fino all'imperatore Aureliano (270-275 d.C.), che fece estendere le mura per includere anche Trastevere, insieme al monte Vaticano. Grazie al benessere del periodo imperiale, molte personalità decisero di costruire la propria villa in Trastevere: quella di Clodia, amica di Catullo, e quella di Gaio Giulio Cesare (Horti Caesaris).

Il Trastevere del medioevo aveva vie strette, tortuose e irregolari; inoltre, a causa dei mignani, avancorpi sporgenti lungo le facciate delle case, non c'era spazio sufficiente per il passaggio dei carri. Alla fine del '400 tali mignani furono demoliti, ma nonostante ciò Trastevere rimase un labirinto di viottoli.

Le strade non ebbero alcun tipo di lastricazione fino alla fine del '400 grazie all'intervento di Papa Sisto IV, che fece pavimentare alcune strade prima con mattoni di laterizi messi a spina di pesce, poi con i sampietrini, più adatti alle ruote dei carri. Grazie al parziale isolamento (si trovava al di là del Tevere) e all'ambiente multiculturale fin dal tempo dell'antica Roma, gli abitanti di Trastevere, chiamati trasteverini, venivano a formare quasi una popolazione a sé stante: popolani di nota tenacia, fierezza e genuinità.

Il quartiere di Trastevere ebbe nella sua storia il problema costante delle inondazioni del fiume Tevere, che affliggevano anche molte altre parti di Roma. Era una vera calamità: le acque in piena provocavano molti morti e il crollo di numerosi edifici. Inoltre quando si ritiravano lasciavano fango e melma stagnanti, causando gravi epidemie, in particolare di tifo. Questa grave questione fu "risolta" alla fine del XIX secolo: dopo la terribile inondazione del 29 dicembre 1870, il neonato Stato Italiano, tramite il re Vittorio Emanuele II°, decise la costruzione di muraglioni lungo l'argine del fiume, decisione che fu avviata a partire dal 1871. Oltre all’obiettivo principale di arginamento, i lavori ebbero anche uno scopo secondario: furono voluti per “marcare” il passaggio allo Stato Italiano, avvenuto dopo la conquista di Roma, il 20 settembre 1870, ed il seguente plebiscito del 2 ottobre che sancì l’annessione di Roma al resto dell’Italia unita. Era cioè un segno di discontinuità rispetto allo Stato precedente. Per vedere com’era il fiume senza argini, basta andare ad ammirare l’affresco alla sala sottufficiali, qui all’interno del CASD, il quale si trova sulla parete sinistra subito dopo l’ingresso. Il dipinto rappresenta proprio com’era il Tevere senza argini. In tutti questi progetti fu coinvolto Garibaldi deputato, impegnato nell’opera dell’arginatura del fiume come omaggio al nuovo Stato.


Il carcere di Regina Coeli

Il primo elemento storico che esamineremo è la struttura chiamata Regina Coeli, ovvero il più noto carcere di Roma oltre che, a livello amministrativo, la casa circondariale della capitale. Ubicato nel rione Trastevere al numero 29 della via della Lungara (indirizzo di trista quanto diffusa fama cittadina), l’edificio è dislocato in un complesso edilizio risalente al 1654, in precedenza sede di convento; nel 1881 fu convertito all'uso attuale. Recepì il nome della struttura religiosa, che era appunto dedicata a Maria, Regina coeli. L'edificazione del complesso iniziò sotto papa Urbano VIII nel 1642, ma la morte di questi fece sospendere i lavori, che furono ripresi dal suo successore, Innocenzo X. Dal 1810 al 1814 il convento fu confiscato in ottemperanza al decreto napoleonico che imponeva la soppressione degli ordini religiosi. Similmente accadde nel 1873 allorché le religiose carmelitane (della Congregazione di Sant'Elia) dovettero nuovamente abbandonare il convento, stavolta definitivamente, per un'analoga legge del neonato Regno d'Italia. I lavori di adattamento delle strutture furono diretti da Carlo Morgini e si completarono nel 1900.

Nel 1902 il carcere fu eletto sede della prima scuola di polizia scientifica (che vi sarebbe rimasta sino agli anni Venti) e del casellario giudiziario, oltre che essere sfruttato come ovvio serbatoio di "materiale di studio" per le nascenti discipline dell'antropologia criminale.

Durante il fascismo, insieme alla struttura situata alla via Tasso, ospitò oppositori politici.

La capienza prevista attuale è di circa 900 detenuti, dato numerico sovente sopraffatto dalla popolazione detenuta effettiva

Santa Maria in Trastevere

Passiamo ora alla prima delle numerose strutture religiose che si possono trovare all’interno del quartiere trasteverino: la chiesa di Santa Maria in Trastevere. Per la tradizione la chiesa fu fondata dal pontefice San Callisto sul luogo dove nel 38 a.C sarebbe avvenuta una prodigiosa eruzione di olio dalla terra, che era probabilmente petrolio, poi interpretata come annuncio della venuta del Messia. Costruita in forma basilicale da Giulio I° [337-352] e modificata nei secoli XIII° e IX°, la forma attuale risale alla ricostruzione del 1138-48 sotto Innocenzo II°.

Nel 1702 Clemente XI° commissionò la rielaborazione del portico e la modifica della facciata che venne progettata da Carlo Fontana, mentre sotto Pio IX°, Virginio Vespignani eseguì un restauro stilistico. [1866-77].

L’interno è spartito in tre navate divise da ventidue colonne antiche di granito che sostengono una trabeazione costituita da frammenti antichi che continua sulla controfacciata. Il pavimento cosmatesco, del 1200, è stato invece quasi completamente rifatto dal Vespignani.


Complesso spagnolo

Lasciando la chiesa di Santa Maria in Trastevere, proseguendo in quest’excursus religioso, proseguiamo il nostro itinerario iniziando la scalata sul Gianicolo. Il Gianicolo è per l’appunto un colle romano, prospiciente la riva destra del Tevere e la cui altezza massima è 82 metri. Il nome del colle secondo la tradizione deriverebbe dal dio Giano, signore delle porte, che vi avrebbe fondato un centro abitato conosciuto con il nome di Ianiculum.

Salendo da Trastevere, la suggestiva scalinata che conduce a San Pietro in Montorio è segnata da una bella Via Crucis di 14 bassorilievi di terracotta policromata, opera di Carmelo Pastor posti a sostituzione degli stessi motivi antichi purtroppo scomparsi. A metà scalinata vi è l’antico ingresso dell’accademia. L’accesso, ora chiuso viene utilizzato dagli immigrati ispanico-meridionali (in particolare dai peruviani) come altare ove accendono ceri e si rivolgono a Dio come nella loro tradizione.

La scalinata conduce a cosiddetto “complesso spagnolo” del Gianicolo, il quale comprende:

• Chiesa San Pietro in Montorio

• Tempietto del Bramante

• Accademia reale di Spagna

• Villa Vaini (residenza dell’Ambasciatore di Spagna in Italia)

• Liceo Spagnolo Cervantes.

Al termine della gradinata, l’edificio più maestoso è proprio la Chiesa di San Pietro in Montorio.

La chiesa è databile tardo XV secolo e fu commissionata dal Re di Spagna Ferdinando il cattolico e da sua moglie Isabella di Castiglia, i quali vollero riedificare l’area caduta in un secolare abbandono. Non si ha certezza su chi sia l’architetto: si è indecisi fra Baccio Pontelli e Meo del Cabrino (più probabile il primo).

La chiesa, il cui nome “montorio” deriva indubbiamente dall’originale nome del Gianicolo mons aureus – monte aureo (a causa del colore della sua terra chiara), è intitolata a San Pietro per due motivi:

• Gianicolo è la collina dedicata al Dio Giano Bifronte, protettore delle porte. San Pietro è colui che ha in consegna le chiavi della chiesa universale, da qui il diritto ad avere una propria rappresentanza sul colle

• La tradizione vuole che proprio nell’area in esame sia stato crocifisso San Pietro

Infine, una curiosità: sotto l’altare maggiore vi è una tomba priva di iscrizioni. Appartiene a Beatrice Cenci, una giovane decapitata per aver ucciso il padre che aveva abusato di lei. Fino al settembre 1789, all'interno della chiesa era conservata, in una teca, la testa di Beatrice, decapitata in piazza di ponte S.Angelo l'11 settembre 1599: dopo 190 anni Jean Maccuse, soldato francese, profanò la teca e, dopo essersi divertito a prendere a calci la disgraziata testa di una delle donne più belle di Roma, andò via con il misero resto in tasca. Il francese, colpito da una terribile maledizione, da quel momento in poi non ebbe più pace: scherzo del destino, alla fine la sua testa andò ad ornare la teca di un sultano in Africa.

Sul lato destro della chiesa longitudinalmente si sviluppa il relativo convento.

Nei pressi di San Montorio, si trova il “Tempietto del Bramante”. Datato 1502, l’edificio sacro fu anch’esso dal Re di Spagna.

Il luogo di culto si erge al centro del chiostro a pianta quadrata. Il tempietto ha, invece, pianta circolare (come si puo’ vedere in diapositiva) e 16 colonne che sorreggono una loggia e la sovrastante cupola. Al centro della cappella sotterranea, vi è il foro nel quale sarebbe stata piantata la croce del martirio dell’Apostolo Pietro. Ciò che colpisce del tempietto è l’assoluta equilibrio volumetrico che vuole concretizzare la lungamente teorizzata “Chiesa Ideale”.


La Cannonata del Gianicolo

Tra le particolarità del Gianicolo è opportuno menzionare la tradizionale “cannonata di mezzogiorno”. Tutti i giorni, infatti, alle ore 12.00, militari dell’Esercito provvedono a sparare un colpo d’artiglieria a salve da un incavo sottostante piazza Garibaldi. Questa tradizione vanta origini abbastanza singolari, ricollegabili a due eventi storici particolarmente significativi nell’ambito del processo di unificazione italiano, vale a dire la Repubblica Romana del 1849 e la battaglia per la conquista di Roma del 1870.

Nel 1849 il colle del Gianicolo fu teatro della famosa resistenza romana, a difesa dell’omonima Repubblica, contro gli attacchi dei francesi venuti in soccorso di papa Pio IX, il quale si trovava a Gaeta. Un presidio di artiglieria “romana” era posizionato presso la fontana dell’Acqua Paola; la stessa era utilizzata dagli artiglieri come accampamento sfruttandone l’assenza d’acqua dovuta al relativo taglio idrico imposto dagli assedianti francesi. Tale taglio era stato deciso come strategia per spezzare la resistenza romana; tuttavia alcune notizie riguardanti il traffico di esplosivi e di armamento bellico nelle condotte asciutte, portarono gli invasori oltralpe a revocare questa decisione. Una notte di maggio dunque, mentre i soldati riposavano, i francesi aprirono improvvisamente l’acqua, che inondò l’accampamento all’interno della fontana; gli artiglieri presero questo atto come una specie di scherzo goliardico, con gran derisione di chi aveva assistito alla scena. Il giorno seguente, a mezzogiorno in punto, a titolo di ripicca, un artigliere ancora bagnato prese il controllo di un cannone, e dopo averlo direzionato verso villa Medici sparò un colpo contro la stessa. All’epoca villa Medici ospitava un convento francese di frati francescani, i quali a mezzogiorno erano soliti sedersi a tavola. La tradizione infatti voleva che, una volta seduti per il pranzo, i frati non potessero più alzarsi fino al termine del pasto, e qualora ciò fosse accaduto i religiosi non avrebbero più potuto riprendere a mangiare. La cannonata aveva dunque questo scopo, vale a dire interrompere il pranzo dei francesi. Tale scherzo si ripeté nei giorni seguenti, sempre allo stesso orario, divenendo un punto di riferimento per il popolo trasteverino che non aveva più il segnale del mezzogiorno dato dalle campane delle chiese, in quanto il papa era assente da Roma. A questo punto inizia la tradizione del “colpo di cannone di mezzogiorno”, che si protrae fino al ritorno del papa; infatti, al termine della Repubblica Romana, con la restaurazione dell’autorità pontificia la “cannonata del Gianicolo” viene soppressa in favore del ripristino dell’uso delle campane.

Ben 21 anni dopo, il cannone del Gianicolo ritorna sulla scena. Il 20 settembre 1870 sul Gianicolo era schierata l’artiglieria dell’Esercito Italiano a supporto delle truppe di fanteria, che di li a poco sarebbero entrate nella futura Capitale attraverso la breccia di Porta Pia. Qualora Roma avesse opposto resistenza attraverso le barricate, dal Gianicolo si sarebbe potuto spezzare questa resistenza tramite l’artiglieria campale ivi posizionata e comandata dal generale Nino Bixio, braccio destro di Garibaldi.

Alle 05.45 Roma subiva leggeri colpi di artiglieria necessari per facilitare le operazioni di ingresso nella città, ai quali contribuiva anche la divisione (di artiglieria) posta sul Gianicolo.

Alle 09.45, ormai varcata Porta Pia, arrivò l’ordine di interrompere il fuoco, ma il generale Bixio, noto personaggio anticlericale, voleva a tutti costi uno scontro più intenso per regolare i conti con i pontifici, in ricordo dei fatti accaduti durante la Repubblica del 1849. Così, anziché interrompere il fuoco dell’artiglieria, il generale ordinò di intensificare il bombardamento.

Alle 10.30 giunse dal quartier generale un tenente, con l’ordine di interrompere il fuoco, ma Bixio lo mise immediatamente agli arresti, non ottemperando all’ ordine. Dopo altri 20 minuti, arrivò un tenente colonnello, al quale il generale riservò lo stesso trattamento. Visti gli esiti negativi, al comando capirono che avevano a che fare col tenace temperamento di Bixio; così, alle 11.10, inviarono al Gianicolo un generale di grado superiore a quello di Bixio. Costui prese temporaneamente il comando destituendo Bixio, dando l’ordine di sospendere il fuoco. Dopo 10 minuti, interrotto il fuoco dell’artiglieria, il generale Bixio fu reintegrato nel suo comando.

Non soddisfatto della vicenda, il generale Bixio a mezzogiorno meno cinque minuti fece ruotare un pezzo d’artiglieria e, puntandolo verso villa Medici, fece sparare una carica esattamente alle 12.00, in onore al mezzogiorno romano laico.

Il giorno dopo Bixio fece in modo che nessuna campana suonasse, ed un altro colpo di cannone alle 12.00 fu sparato, ripristinando la tradizione del Colpo del Gianicolo che tuttora sopravvive.


I busti gianicolensi – Colomba Antonietti

Sul colle del Gianicolo è impossibile non notare l’impressionante numerosità di busti marmorei, posti a ricordo delle più importanti personalità italiane. Ogni busto nasconde una storia, una vicenda, un’avventura che è importante ricordare; a titolo di esempio qui citiamo la vicenda di Colomba Antonietti, unico busto femminile presente nell’area.

Colomba Antonietti nacque a Bastia Umbra, vicino ad Assisi il 19/10/1826 da una famiglia di fornai (Michele e Diana Trabalza). Si trasferì fanciulla a Foligno ed il 3 dicembre 1844 sposò, contro il volere delle famiglie, l'ufficiale dell’esercito pontificio conte Luigi Porzi, nato ad Imola da famiglia forlivese. Il Porzi tuttavia non denunciò il matrimonio al Governo e pertanto dovette scontare tre mesi di carcere a Castel S.Angelo, dopo i quali lasciò l'esercito. Scoppiata nel frattempo la guerra con l’Austria, l’ Antonietti seguì il marito - passato alle formazioni della Repubblica Romana - in battaglia in Veneto, vestita dell'uniforme da ufficiale e con i capelli recisi.

Colomba Antonietti partecipò con virile coraggio insieme al marito alla battaglia di Velletri nel 1849 e, per il valore dimostrato, ebbe l'encomio di Garibaldi. Durante la battaglia di Porta S.Pancrazio a Roma morì colpita da un proiettile d'artiglieria il 13 luglio 1849, mentre porgeva al marito la sacca ed altri oggetti per riparare la breccia. La leggenda vuole che morendo tra le braccia del marito sussurrasse “viva l’Italia”. La salma fu sepolta con l'uniforme nella chiesa di Santa Cecilia, mentre il Porzi emigrò in Uruguay. Garibaldi la paragonò ad Anita, Luigi Mercantini compose in suo ricordo una lirica, Bastia Umbra le dedicò un monumento su cui è incisa una iscrizione dettata da Isidoro del Lungo.


Il giardino botanico

Scendendo dal Gianicolo, si trova con facilità il giardino botanico. Il giardino, o orto botanico della città di Roma, si colloca all’interno del giardino di Palazzo Corsini, oggi sede dell’Accademia dei Lincei.

L'antenato dell'attuale Orto botanico di Roma è il Simpliciarius Pontificius Vaticanus (cioè il giardino dei "semplici" dove si coltivavano piante medicinali e utili, presenza costante nei monasteri), menzionato sotto il pontificato di Bonifacio VIII.

Il primo vero orto botanico di Roma fu voluto nel XVI secolo da Alessandro VI, e successivamente ricostruito da Pio IV, che lo dotò anche di un guardiano (che faceva anche da guida). Pio V ingrandì il giardino affidandolo al botanico Michele Mercati.

Occorrerà attendere il 1823 perché l’Orto Botanico venga finalmente trasferito sulle pendici orientali del Gianicolo, a fianco di Palazzo Salviati su Via della Lungara, il cui ingresso fu ricostruito nel 1837. Nel 1883 furono acquistati terreni dal Duca Corsini, proprietario del Palazzo omonimo alla Lungara, sia per la costruzione della Passeggiata del Granicolo sia per fissare la dimora dell’Orto Botanico, dove ancora oggi è installato.

Il primo direttore, colui che nel parco Corsini praticamente abbandonato fece installare le prime collezioni, fu Pietro Romualdo Pirotta (Pavia 1853-Roma 1936), professore di botanica all'Università di Roma dal 1883.

L'Orto (citiamo dal sito) ha funzione didattiche, di educazione ambientale e di ricerca scientifica. Esso è sede di mostre, corsi, conferenze e simposi ed ha annualmente quasi centomila visitatori. L'attività per le scuole è molto intensa con circa 250 visite guidate. L'Orto inoltre è sede di ricerche altamente specializzate sull' ecologia dell'ambiente urbano.

Il giardino ospita attualmente oltre 3000 specie vegetali, tra le quali palme, boschetti di bambù, roseti, un giardino giapponese, piante acquatiche, serre, e molto altro ancora.

Il convento di Sant Onofrio

Infine, ultimo ma non per importanza tra i luoghi sacri dell’area, è importante citare il convento di Sant’Onofrio. Un dormitorio degli Eremitani dedicato a S. Onofrio fu qui iniziato nel 1419 dal Beato Nicolò da Forca Palena, che acquistò i terreni necessari con l'aiuto di elemosine di vari fedeli, fra i quali i cardinali Gabriele Condulmer (poi Eugenio IV) e Domenico De Cupis. Si presenta attualmente nell’aspetto dato dagli interventi susseguitisi nel tempo fino al tardo Cinquecento. Intorno al 1439 fu iniziata la costruzione della chiesa. Passato il Beato Nicolò con i suoi compagni alla disciplina della Congregazione di S. Gerolamo, fondata dal B. Pietro Gambacorti da Pisa nel 1446, il gerolamino Jacobelli nello stesso anno aprì la strada che dalla Lungara, costeggiando il palazzo Salviati, saliva al santuario (l'attuale via di S. Onofrio). La chiesa fu condotta a termine e decorata nel corso del sec. XVI.

Con motu proprio del 15 agosto 1945 Pio XII concedeva la chiesa e il convento, ove si conservano le memorie del cantore della gesta dei Crociati che lottarono per ridare la libertà al Santo Sepolcro a Gerusalemme, proprio all'Ordine equestre del Santo Sepolcro che però, con il passare dei secoli, ha perduto il suo carattere monastico e militare trasformandosi in una organizzazione laica avente lo scopo precipuo della difesa e diffusione della fede in particolare in Palestina, prescrivendo ai componenti dell'Ordine una intensa vita cristiana. Ad essi è ora riservata parte dell'antico convento con il Museo Tassiano.

Nel 1946, la chiesa e il convento sono stati affidati ai Frati Francescani dell'Atonement, comunità fondata da P. Paolo Wattson nel 1898 a Graymoor (comune di Garrison, New York).

Nel loro Centro Pro Unione a Piazza Navona, i Frati svolgono il loro ministero ecumenico attraverso corsi di ecumenismo, conferenze, stampa e diffusione in Italia del materiale per la Settimana di Preghiera per l'unità dei Cristiani. Dirigono inoltre una biblioteca pubblica specializzata in teologia ecumenica.

Dal portico si accede al chiostro e alle due stanze al primo piano, trasformate in Museo, dove il 25 aprile 1595 morì il poeta Torquato Tasso e dove sono conservati i manoscritti e antiche edizioni delle sue opere.

Lo visitarono commossi Goethe, Chateaubriand (“uno dei più bei siti della terra”) e Leopardi. Quest’ultimo scrisse al fratello di avere pianto visitando il sepolcro del Tasso: “è il primo e l’unico piacere che ho provato a Roma”. Aggiunse considerazioni sulla sua sublime nudità rispetto ai “superbissimi mausolei” che “si osservano con perfetta indifferenza per la persona cui furono innalzati”. Dentro la chiesa dedicata a Onofrio, santo anacoreta, un dipinto di Antoniazzo Romano mostra il bellissimo volto della sua Madonna circondato di blu, nell’Annunciazione. Fuori dal cancello un cartello avverte: “zona extraterritoriale”.





L’anfiteatro degli Arcadi



Nel 1699 il Duca Don Antonio Maria Salviati fece scavare nel pendio di una collinetta interna al giardino un teatro di forma ovale, con tre ordini di sedili in pietra, per ospitare gli Arcadi. I poeti dell'Arcadia (accademia dell'Arcadia 1690) avevano lo scopo di rievocare una poesia semplice e limpida, vicina ai modelli bucolici greci e dell'elegia latina. Il poeta dell'Arcadia più conosciuto è Pietro Metastasio (pseudonimo di Pietro Trapassi: Roma 1698 - Vienna 1782), le cui opere giustamente più apprezzate sono i melodrammi (la Didone abbandonata), il Demetrio, l'Olimpiade, l'Attilio Regolo e molti altri). Alle spalle di tale anfiteatro degli Arcadi fu creato un parco della rimembranza, dove nel 1921 fu eretto un piccolo monumento alla memoria degli allievi della scuola militare caduti in combattimento. Nel 1938 fu realizzato il sacrario, sul monumento un cartiglio bronzeo a memoria della vittoria nella 1° guerra mondiale, e sullo sfondo l'esedra a gradoni.

Conclusione

In conclusione a questa esposizione, possiamo quindi affermare che la cultura non è un qualcosa che risiede sugli scaffali di una polverosa biblioteca, bensì è attorno a noi, spesso (come nel caso qui esposto) a portata di mano.

La cultura è la coscienza di un popolo; un popolo che sa chi è stato e cosa è stato, sa anche chi sarà e cosa sarà. Al termine del discorso, l’invito che rivolgiamo a tutti è dunque questo: sviluppate la vostra cultura, la quale è ingrediente essenziale della vita di tutti i giorni ed elemento cardine alla base dell’identità nazionale.

venerdì 6 maggio 2011

VISITA GIANICOLO 8 MAGGIO 2011

A TUTTI

IL PRIMO RISORIGMENTO

ROMA E IL GIANICOLO

LA REPUBBLICA ROMANA DEL 1949

VISITA



8 maggio 2011 ore 9,30





PROGRAMMA



Ore 09.00 - Punto di incontro. Palazzo Salviati. CASD

Ore 09,15 - In quadra mento generale e descrizione del percoso



1.) Palazzo Salviati. LA Facciata e l’arginazione del TevEre del 1875-1878

2.) Salita di Sant’Onofrio. Giacomo Leopardi

3.) Santa Dorotea e Le correnti della DC del dopoguerra

4.) Sant’Onofrio. Il convento e la TomBa di Torquato Tasso

5.) L’Ordine del Santo Sepolcro. La nascita dell’Ospedale Babino gesù

6.) La Quercia e l’anfiteatro del Tasso.

1. Sosta.

2. Breve inquadramento storico della repubblica Romana del 1849

3. Armellini, Saffi e Mazzini



7) Il Faro degli Italiani. La questione della immigrazione Italia di inizio sacolo

D’annunzio e l’italianità nel mondo

8. Lauro De Bosis e l’opposizione antifascista degli anni ’30. Il volo su Roma

9. Primo Panorama su Roma . Il quadrante nord ovest

10.Il Monumento di Annita Garibaldi. Storia e figura femminile del Risorgimento

11. Le Erme del primo Riquadro. Augusto Elia e le altre figure

12. Le curiosità di Roma. Il teatro delle Marionette

II Sosta.

1. Il Monumento a Giuseppe Garibaldi. I Fasci del 1799 La Massoneria

2. IL Piazzale

3. Il simbolo laico del tocco di mezzogiorno. Il Colpo di Cannone Storia

4. I Figli ed i Nipoti di garibaldi

5. Le Erme del Piazzale



Secondo Paronama di Roma. Il Quadrante Nord

13. Il monumento a Righetto. La partecipazione popolare alla difesa della Repubblica

Romana.

14. Le Erme del terzo Riquadro. Erme: Colomba Antonietti. Magg. Pagliari

15. Le altre Erme. L’Accademia Americana e l’orto Botanico.

16. Il Fontanone di Paolo II Farnese. L’Ambasciata di Spagna

17. San Pietro in Montorio. Sebastiano del Piombo

18. Il tempietto del Bramante



Terzo Panorama su Roma. Il quadrante Est e i Colli Romani

19. La Discesa verso Trastevere. La Via Crici.

20. Il Bosco degli Arvali. L’Arcadia

21. La caserma Podgora. Il Rastrellamento dei Carabinieri 7 ottobre 1943

22. Porta Settimiana. Le Mura di Leone XIV. La forasina

23. Villa Fornasina e i Dipinti di Raffaello

24. Villa Corsini

25. Via della Lungara. La casa della Memoria a San Francesco di sales

26. Regina Coeli. Il Monastero e le trasformazioni in base alle leggi Siccardi

27. Palazzo Salviati. Il Rastrellamento degli Ebrei 16 ottobre 1943. Kappler ed il vaticano

A seguire colazione conviviale alle 13 presso la mensa del Circolo Sottuficiali a Via della Lungara
Per ogni informazione: risorgimento23@libero.it

Elsa Morante: il Dovere Civile di divulgare


IL PASSATO CHE NON PASSA
"Il capo del Governo si macchiò ripetutamente durante la sua carriera di delitti che, al cospetto di un
popolo onesto, gli avrebbero meritato la condanna, la vergogna e la privazione di ogni autorità di governo.

Perché il popolo tollerò e addirittura applaudì questi crimini? Una parte per insensibilità morale, una parte per astuzia, una parte per interesse e tornaconto personale.

La maggioranza si rendeva naturalmente conto delle sue attività criminali, ma preferiva dare il suo voto al forte piuttosto che al giusto. Purtroppo il popolo italiano, se deve scegliere tra il dovere e il tornaconto, pur conoscendo quale sarebbe il suo dovere, sceglie sempre il tornaconto.

Così un uomo mediocre, grossolano, di eloquenza volgare ma di facile effetto, è un perfetto esemplare dei suoi contemporanei. Presso un popolo onesto, sarebbe stato tutt'al più il leader di un partito di modesto seguito, un personaggio un po' ridicolo per le sue maniere, i suoi atteggiamenti, le sue manie di grandezza,

offensivo per il buon senso della gente e causa del suo stile enfatico e impudico. In Italia è diventato il capo del governo. Ed è difficile trovare un più completo esempio italiano.

Ammiratore della forza, venale, corruttibile e corrotto, cattolico

senza credere in Dio, presuntuoso, vanitoso, fintamente bonario, buon padre di famiglia ma con numerose amanti, si serve di coloro che disprezza, si circonda di disonesti, di bugiardi, di inetti, di profittatori; mimo abile, e tale da fare effetto su un pubblico volgare, ma, come ogni mimo, senza un proprio carattere, si immagina sempre di essere il personaggio che vuole rappresentare."

Elsa Morante

Qualunque cosa abbiate pensato, il testo, del 1945, si riferisce a Mussolini...

giovedì 21 aprile 2011

AUGURI 
 DI UNA BUONA PASQUA

lunedì 11 aprile 2011

Nucleare si o no

Contro gli sprechi a sostegno delle fonti da intemperie,
è solo esercizio
dell’inalienabile Diritto alla legittima difesa.

(Roma 10 aprile 2011) - Il Comitato Italiano per il Rilancio del Nucleare (Cirn) riconosce all’attuale Governo italiano una consapevolezza e un senso di responsabilità nel concedere infruttuose regalie alle fonti meteoambientali nettamente in controcorrente con le precedenti fideistiche talebane infatuazioni ecoambientaliste. Purtroppo il Governo italiano, che in modo analogo a quello di altri governi europei comincia a rendersi conto di come queste presunte opzioni siano solo inutili e dannosi sprechi, è prigioniero dell’intollerante sistema burocratico europeo che, anche in questo caso, impone norme vincolanti che fortemente stridono con una razionale valutazione tecnica e con un approccio oculato, quale quello del “buon padre di famiglia”. Il reale problema è, in realtà, il mitizzato sistema “Europa”.

«Esprimiamo pertanto forte e sentita solidarietà - dichiara Giorgio Prinzi, Segretario del Comitato Italiano per il Rilancio del Nucleare - al ministro per lo Sviluppo Economico Paolo Romano, fortemente contestato dai sostenitori delle fonti da intemperie e da coloro che hanno legittimi interessi in esse e per questo si battono perché il fiume in piena del danaro pubblico copiosamente riversato sulle fonti da intemperie con onerosi aggravi nella bolletta elettrica non venga neppure in modo blando arginato».

«Definiscono il decreto allo studio del Governo - commenta l’ingegner Giorgio Prinzi - come “decreto ammazza rinnovabili”; in realtà ogni azione messa in atto contro queste assurde, irrazionali e costosissime forme di produzione dell’energia elettrica è solo l’esercizio dell’inalienabile diritto alla legittima difesa contro la prevaricante protervia con cui le si è sinora imposte in dispregio di ogni regola di buon senso, di razionale approccio tecnico, degli stessi principi del libero mercato sui quali si dovrebbe fondare l’Unione Europea. Stiamo invece costruendo una Europa dirigista e totalitaria, avulsa dalla realtà oggettiva, quanto mai lontana dagli interessi reali di noi che ci sentiamo e vogliamo essere Cittadini europei».

Il Comitato Italiano per il Rilancio del Nucleare rende noto che, aderendo a cortesi richieste in tal senso, provvederà quanto prima ad archiviare i propri comunicati stampa su una dedicata pagina web.
(giorgioprinzi@libero.it)