ALBO D'ORO NAZIONALE DEI DECORATI ITALIANI E STRANIERI DAL 1792 AD OGGI - SITUAZIONE

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lunedì 28 febbraio 2022

Traslazione della Salma ddel Gen. Alberto Trionfi

 


GENERALE ALBERTO TRIONFI

Sabato 29/01/2022 sono stati traslati i resti del generale Granatiere A.Trionfi, pluri decorato al VM.

La cerimonia si è tenuta al campo militare dei caduti della seconda guerra mondiale nel cimitero di Tavernelle di Ancona con la presenza di autorità civili e militari, rappresentanti di alcune associazioni d’arma e del Labaro dell’Istituto del Nastro Azzurro.

Una breve storia del decorato: nasce a Jesi (Ancona) il 2 luglio 1892 da antica e nobile famiglia ed inizia la carriera delle armi il 7 novembre 1911 quale allievo volontario alla Scuola Militare di Modena da dove uscì sottotenente dei Granatieri il febbraio 1913.

Dall’aprile 1914 al marzo 1916 fu in Libia ove conseguì la promozione a Tenente (luglio 1915). Durante la Prima Guerra mondiale fu ferito tre volte ricevendo una medaglia di bronzo al Valor Militare.

Dal 1924 al 1926 frequentò con successo i corsi della Scuola di Guerra a Torino. Promosso maggiore nel gennaio 1927, venne destinato al Corpo di Stato Maggiore e successivamente al Comando della Divisione di Napoli nel gennaio 1931.

Tenente colonnello nel maggio 1932 e nel 1935 capo della Delegazione Trasporti di Napoli. Nel 1936 viene trasferito al Corpo di Armata di Napoli come sottocapo di Stato Maggiore.

Promosso colonnello nel 1937 assunse il Comando del Terzo Reggimento Granatieri con il quale nel luglio 1939 partecipò all’occupazione dell’Albania. Nel 1939 fu Capo di Stato Maggiore della Divisione “Siena” a Napoli e nel 1940 fece ritorno in Albania.

Nel dicembre dello stesso anno raggiunse la Divisione “Lombardia” quale Capo di Stato Maggiore. Nel 1941 fu trasferito allo Stato Maggiore, poi al Comando della Difesa Territoriale di Roma e nel settembre al Comando del XVII° Corpo d’Armata.

Nell’ottobre del 1941 ebbe il comando della Scuola Militare di Roma.

Promosso generale di Brigata nell’ottobre 1942, venne destinato al Comando della Divisione “Cagliari” quale comandante della fanteria divisionale in Grecia a Navarino nel distretto di Pylos.


Dopo una breve licenza in Italia,  partì da Roma la mattina del 7 settembre 1943 ed arrivato in Grecia fu preso prigioniero dai tedeschi; non avendo aderito alla RSI, venne internato in Polonia, nel lager 64Z (Oflag 64/Z) situato a Schokken (attuale Skoki).

La prigionia durò dal 30 settembre 1943 al 28 gennaio 1945, quando, in una marcia di trasferimento, in località Kusnica Zelichowaska fu trucidato insieme ai generali Carlo Spatocco, Emanuele Balbo Bertone, Alessandro Vaccaneo, Giuseppe Andreoli ed Ugo Ferrero.

I polacchi del posto interrarono le salme dei generali e le posero nel cimitero locale.

Il 7 gennaio 1956  la salma rientrò on Ancona e venne provvisoriamente posta in una tomba di un parente, fino alla traslazione del 29 gennaio 2022 nel cimitero riservato ai caduti della seconda guerra mondiale. 

Il generale è decorato con 1 Medaglia d'Argento al V.M. e  2 Medaglie di Bronzo al V.M. .

 ( a cura di Massimo Ossidi, Vice Presidente dell'Istituto del nastro Azzurro Federazione di Ancona)

domenica 20 febbraio 2022

Marzo 1942 Operazione Chariot

 


Di Alessia Biasiolo

 

La battaglia nell’Atlantico si era rivelata una necessità tedesca per contrastare la supremazia statunitense che avrebbe impedito la politica hitleriana. Allo stesso tempo, gli anglo americani dovevano impedire che la Kriegsmarine potesse beneficiare dei porti francesi sull’oceano e, se si fosse riusciti nell’intento di minare le navi prima che potessero navigare, si sarebbero evitate perdite umane, con il nemico che sarebbe stato ostacolato nella sua strategia bellica.

 

Pertanto le operazioni atlantiche fervevano, e il 1942 certamente è stato un anno centrale in questa lotta, una volta che gli Stati Uniti erano entrati in guerra con l’agguerrito intento di porre fine alla supremazia tedesca e nipponica che avevano messo in ginocchio l’una l’Europa, l’altra la base navale hawaiana.

Venne messa a punto una nuova Operazione, denominata Chariot, nel marzo del 1942, allo scopo di rendere inservibile un bacino di carenaggio francese in uso alla Marina tedesca, soprattutto evitando che potesse ospitare la corazzata della classe Bismarck Tirpitz, la nave che principalmente aveva lo scopo di tenere occupata la Marina britannica, oppure che servisse da riparo per altre unità navali tedesche che in quel porto avrebbero potuto essere riparate in caso di avarie.

La Tirpitz, dal nome dell’ammiraglio della Kriegsmarine, prodotta dai cantieri Marinewerft  di Wilhelmshaven e varata nel 1939, era estremamente temuta dai nemici, tanto che vennero organizzati numerosi attacchi per danneggiarla ancor prima che divenisse operativa: subì in sei mesi sedici attacchi aerei da parte della Royal Air Force tra il 1940 e il 1941, senza riportare grossi danni, ma venne continuamente ancora cacciata dagli Alleati per cercare di affondarla, costringendola spesso a rifugiarsi tra i fiordi norvegesi. Il tallone d’Achille della corazzata era l’eccessivo consumo di carburante, che la rendevano vulnerabile ancor prima degli attacchi aerei e sommergibilistici, anche da parte sovietica.

Pertanto nell’Operazione Chariot, venne deciso di riempire di esplosivo, programmato con timer posizionati in cassoni di cemento che avrebbero reso impossibile il disinnesco, il cacciatorpediniere britannico HMS Cambeltown, condotto da volontari nel porto francese di Saint-Nazaire dopo averlo camuffato da torpediniere tedesco della classe Möwe. L’equipaggio che si occupò dell’operazione doveva poi essere imbarcato sulle navi al seguito. In effetti questa fase operativa portò in salvo soltanto un terzo circa degli uomini impiegati. L’Operazione realizzata il 28 marzo riuscì, con l’esplosione del cacciatorpediniere che mise fuori uso il bacino di carenaggio, causando la morte di tedeschi e civili francesi per un totale di duecentocinquanta caduti, mentre morirono 169 uomini della forza d’assalto e duecento vennero presi prigionieri.

Era chiaro che soltanto la supremazia tecnologica avrebbe risolto la Battaglia dell’Atlantico, quindi la gara alla messa a punto di adeguati sistemi di difesa era quanto mai essenziale. Nel 1942 gli U-Boote tedeschi vennero equipaggiati con il nuovo radar Metox che riusciva a captare i radar sugli aerei; ben presto il numero di attacchi dal cielo, tuttavia, aumentò con grande precisione, facendo sospettare che il radar stesso fosse facilmente rilevabile. In effetti ciò era vero, tanto quanto il nuovo radar inglese H2S a banda centimetrica e non rilevabile dal radar tedesco Metox.

Il numero di apparati continuò a moltiplicarsi su ambo i fronti, con efficacia nell’uso variabile, tuttavia l’allarme radar serviva soltanto in condizioni di buona visibilità e, pertanto, di giorno, dal momento che altrimenti non era possibile organizzare attacchi aerei contro i sommergibili che, di rimando, restavano al sicuro.

Un nuovo input nella strategia bellica navale venne dato dal proiettore Leigh che veniva installato sui bombardieri per poter illuminare il mare e avvistare gli U-Boote, soprattutto in fase di attacco finale: illuminando il sommergibile in emersione, era possibile puntare con precisione e affondarlo. Il proiettore Leigh sostitutiva così il razzo illuminante che doveva essere sparato per avere idea di dove fosse il bersaglio, ma dando al nemico un importante preavviso. Il proiettore Leigh poteva, invece, essere acceso all’ultimo minuto, impedendo l’organizzazione della difesa avversaria. L’utilizzo del proiettore ridusse di molto le perdite causate dai sommergibili tedeschi.

Nello stesso 1942, venne messo a punto anche il porcospino, un mortaio antisommergibile che poteva lanciare dalla prua della nave ventiquattro bombe in grado di colpire il sommergibile nemico e di esplodere all’impatto, a differenza delle cariche di profondità che esplodevano ad una profondità prestabilita, dovevano essere lanciate dalla poppa e smuovevano molto l’acqua, rendendo difficile poter avvistare il bersaglio. Con il porcospino il sommergibile poteva essere continuamente monitorato e attaccato fino all’avvenuto affondamento, tanto che si arrivò ad un buon 25 per cento di affondamenti riusciti, quasi quattro volte più rispetto ai successi ottenuti con le bombe di profondità.

 

Alessia Biasiolo