Oltre che dalla Francia, un paese che occorre prendere in esame più nel dettaglio è la Svizzera.
Qui dal settembre 1943 trovarono rifugio e scampo molti italiani che ritenevano non essere prudente rimanere in Italia. Tra questi moltissimi professori e docenti del Politecnico di Torino, molti di estrazione israelita, che, tramite canali accademici, raggiunsero la Svizzera e furono internati. Riuscirono a promuovere corsi universitari nei campi di internamento che li ospitavano e quindi a non disperdersi. Nel maggio 1945 rientrarono a Torino ed ebbero la capacità di riprendere le attività accademiche e ridare vita alla loro attività. Altro significativo esempio dell’Internamento in Svizzera, che ovviamente fu più organizzato e meglio regolato di quello dalla Germania e dalla Francia, anche perché il numero degli internati non superava le 20.000 unità, è quello del Reggimento “Savoia Cavalleria”.
Questo reparto di Elites del Regio Esercito,
all’indomani dell’8 settembre 1943, per sottrarsi alla cattura tedesca e per
non disperdersi e sciogliersi rimase in armi fino a che si presentò al confine
elvetico al completo degli organici e con tutte le armi, le dotazioni ed i
mezzi assegnati. L’internamento fu concesso e il reggimento deposte le armi ed
ogni materiale di guerra in appositi magazzini, ebbe il personale internato in
un campo di concentramento. Sul finire di Aprile, stante la situazione a
Milano, il reggimento riprendendo il suo assetto operativo, rientrò in Italia e
nei giorni della liberazione si mise a disposizione del Comando Volontari della
Libertà, a cui capo era il gen. Raffaele Cadorna, che da colonello aveva nel
1940 comandato il Reggimento. In quei giorni il “Savoia Cavalleria” svolse
funzioni di ordine pubblico a Milano.