Difesa e Parlamento in Italia Tante conclusioni, nessuna premessa Michele Nones 11/05/2014 |
Le conclusioni della “Indagine conoscitiva sui sistemi d’arma destinati alla Difesa in vista del Consiglio europeo di dicembre 2013”, approvate dalla Commissione Difesa della Camera lo scorso 7 maggio, segnano una svolta nel rapporto fra Parlamento e problemi della difesa.
Innanzi tutto si è registrata una nuova attenzione e una maggiore partecipazione, ma, soprattutto, è emersa la volontà di svolgere un ruolo più attivo. Di questo bisognerà tener conto, anche se, come spesso capita quando si entra in un campo nuovo o con un nuovo approccio, il lavoro svolto ha presentato diverse incongruenze.
Già suona curioso l’approvare con cinque mesi di ritardo un documento che avrebbe dovuto servire a preparare il vertice europeo. Ma è, soprattutto, sull’impostazione dell’indagine che si dovrebbe riflettere.
È molto positivo aver affrontato il tema degli equipaggiamenti delle nostre Forze Armate, ma, evidentemente, questo rappresenta solo una parte del sistema della Difesa. Politica militare, personale, addestramento, funzionamento sono altre fondamentali componenti. Cercare di arrivare a delle conclusioni generali limitandosi a considerare solo uno degli aspetti è, per definizione, un errore di metodo.
Necessità del Libro Bianco
Diventa, oltre tutto, impossibile o molto opinabile se manca ancora, come nel caso italiano, un adeguato quadro di riferimento. Continua, infatti, a mancare quel Libro Bianco della sicurezza e difesa che più volte è stato evocato durante l’indagine come il necessario scenario di fondo in cui collocare ogni possibile decisione in merito all’allocazione delle spese della difesa.
Senza aver chiarito e condiviso quale si ritiene sarà lo scenario strategico nei prossimi dieci-quindici anni, quali le minacce e i rischi, quali le possibile risposte e gli strumenti utilizzabili, quali le risorse umane e finanziarie necessarie e disponibili, quale l’evoluzione tecnologica, ecc., cercare di definire quali equipaggiamenti bisogna acquisire è un esercizio senza senso. Si partirebbe dalla coda del problema anziché dal capo.
È stato certamente utile che i nostri parlamentari abbiano approfondito la conoscenza delle sempre più complesse problematiche legate allo sviluppo, produzione, acquisizione dei nuovi sistemi d’arma, ma questo non avrebbe dovuto essere considerato una base sufficiente per trarne conclusioni operative.
Più in generale, in questo modo si rischia involontariamente di svilire il fondamentale ruolo del Parlamento di indicazione e di controllo delle linee di azione al cui interno deve muoversi il Governo. Perdersi nei dettagli e scendere nella micro-gestione compromette la possibilità e capacità di tutelare gli interessi generali del Paese, proprio quello che più manca nel nostro sistema politico.
Per questo è importante la decisione presa a marzo dal Ministro della Difesa di avviare la preparazione del Libro Bianco come primo atto del suo incarico e considerando il dibattito parlamentare che ha evidenziato le preoccupazioni, ma anche il disorientamento della nostra opinione pubblica.
Questa iniziativa, a quasi trent’anni dalla precedente (in mezzo ve ne è stata una più limitata) avrebbe dovuto essere tenuta in maggior conto in sede parlamentare: si sarebbe così evitato di anticipare richieste e proposte che rischiano di condizionare una riflessione collettiva che dovrebbe, invece, essere più aperta possibile.
Maggiori dubbi e perplessità possono sorgere esaminando alcune parti dei documenti parlamentari, e in particolare su quello presentato dal PD.
Nella premessa viene apprezzata l’intenzione del Ministro di presentare un Libro Bianco sulla sicurezza e difesa, ma poi si procede come se fosse inutile decidendo in anticipo quali equipaggiamenti tagliare.
Si richiede, inoltre, di “votare” la relativa “proposta definitiva”. Ma un Libro Bianco disegna uno scenario e presenta le conseguenti linee di azione: a dover essere approvate saranno solo le eventuali misure che ne dovessero conseguire, non il Libro Bianco in sé. Altrimenti alla confusione sui rapporti fra Parlamento e Governo e sulle competenze delle due Istituzioni, si sommerà anche quella sul ruolo e significato del Libro Bianco.
Un’altra richiesta anomala riguarda l’utilizzo dei recenti lavori parlamentari come “linee guida” del Libro Bianco, mentre, data la loro natura, potranno essere solo un valido contributo.
I tagli ai programmi
Nella parte relativa all’Esercito si critica il programma Forza Nec in quanto solo nazionale, dimenticando che la prospettiva di collaborazioni europee, sempre aperta e perseguita da parte italiana, dipende però dalla disponibilità dei partner.
Non si può condizionare l'ammodernamento delle forze terrestri ad un accordo in ambito europeo o Nato: le capacità net-centriche sviluppate dalle forze navali e aeronautiche comportano che anche quelle terrestri si adeguino.
Bisogna, inoltre, maturare esperienze, competenze e capacità che possano essere messe sul tavolo europeo per non doversi limitare a prendere solo quello che i nostri partner ci offriranno. Uno dei vantaggi del programma Forza Nec è proprio la sua flessibilità e lo sviluppo a spirale basato sul miglioramento dei mezzi in servizio che potrà essere meglio adattato ad eventuali futuri accordi europei. Ma, nel frattempo, questo ci consente di migliorare le capacità operative nazionali.
Nella parte relativa all’Aeronautica ci si concentra sulle critiche al cacciabombardiere F 35. Ed è questa alla fine su cui si è concentrata l’attenzione della stampa come se i problemi della Difesa italiana fossero riconducibili solo a questo.
Oltre alle riflessioni già avanzate su AffarInternazionali, emergono queste contraddizioni:
1) Eurofighter e F 35 non sono concorrenti, come viene sottinteso. Un intercettore e un cacciabombardiere nascono intrinsecamente diversi e possono essere solo parzialmente utilizzati nell’altro compito. Per questo Regno Unito e Italia hanno previsto di averli tutti e due.
2) Non esistono alternative all’F 35, come viene ipotizzato. A meno di non investire una montagna di soldi per continuare a far volare velivoli che fra breve saranno molto vecchi o per cercare di dare capacità di attacco al suolo a velivoli nati per svolgere altri ruoli. Per altro, non si dice che il costo finale dell’Eurofighter oltre ad essere molto più alto di quello inizialmente previsto, è ancora oggi più elevato di quello dell’F 35.
3) Non si riconosce che la partecipazione industriale dipende anche dal nostro impegno nel programma. La strategia basata sulla Faco di Cameri può essere vincente solo se vi si produrranno un numero adeguato di velivoli in tempi ragionevoli. In caso contrario sì che il costo dei velivoli italiani esploderà: utilizzare un impianto previsto per un minimo di 130 velivoli per costruirne 45 sarebbe una follia economica, a prescindere dalla perdita di posti di lavoro. È, inoltre, sulla base di questa esperienza che si potrà poi farne un centro per la manutenzione e l’aggiornamento dei velivoli localizzati in Europa. Infine, ci si dimentica che con la cessazione della produzione dell’Eurofighter vi saranno migliaia di esuberi a meno che, per lo meno in parte, vengano riassorbiti dall’F 35.
4) Dimezzare lo stanziamento previsto, come viene richiesto, non significa molto, considerando che comunque questa, come la precedente, rappresenta una previsione e non un impegno giuridicamente vincolante. Il programma procede sulla base di ordini annuali: fra dieci anni saranno altri a decidere cosa fare.
Nella parte relativa alla Marina, si ipotizza la possibile rinuncia ad una seconda unità portaeromobili. Ma in questo modo la nostra capacità aeronavale sarebbe ad intermittenza, inutilizzabile nei periodi di fermo per manutenzione ordinaria e straordinaria della Cavour.
Ma, anche in questo caso si sta ripetendo per l’ennesima volta lo stesso errore: si tagliano o riducono i programmi o, invece, come nel caso della legge di stabilità, se ne avviano di nuovi senza nessuna logica interforze e bilanciata e senza nessun quadro di riferimento predefinito.
Michele Nones è Direttore dell’Area Sicurezza e Difesa dello IAI.
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Innanzi tutto si è registrata una nuova attenzione e una maggiore partecipazione, ma, soprattutto, è emersa la volontà di svolgere un ruolo più attivo. Di questo bisognerà tener conto, anche se, come spesso capita quando si entra in un campo nuovo o con un nuovo approccio, il lavoro svolto ha presentato diverse incongruenze.
Già suona curioso l’approvare con cinque mesi di ritardo un documento che avrebbe dovuto servire a preparare il vertice europeo. Ma è, soprattutto, sull’impostazione dell’indagine che si dovrebbe riflettere.
È molto positivo aver affrontato il tema degli equipaggiamenti delle nostre Forze Armate, ma, evidentemente, questo rappresenta solo una parte del sistema della Difesa. Politica militare, personale, addestramento, funzionamento sono altre fondamentali componenti. Cercare di arrivare a delle conclusioni generali limitandosi a considerare solo uno degli aspetti è, per definizione, un errore di metodo.
Necessità del Libro Bianco
Diventa, oltre tutto, impossibile o molto opinabile se manca ancora, come nel caso italiano, un adeguato quadro di riferimento. Continua, infatti, a mancare quel Libro Bianco della sicurezza e difesa che più volte è stato evocato durante l’indagine come il necessario scenario di fondo in cui collocare ogni possibile decisione in merito all’allocazione delle spese della difesa.
Senza aver chiarito e condiviso quale si ritiene sarà lo scenario strategico nei prossimi dieci-quindici anni, quali le minacce e i rischi, quali le possibile risposte e gli strumenti utilizzabili, quali le risorse umane e finanziarie necessarie e disponibili, quale l’evoluzione tecnologica, ecc., cercare di definire quali equipaggiamenti bisogna acquisire è un esercizio senza senso. Si partirebbe dalla coda del problema anziché dal capo.
È stato certamente utile che i nostri parlamentari abbiano approfondito la conoscenza delle sempre più complesse problematiche legate allo sviluppo, produzione, acquisizione dei nuovi sistemi d’arma, ma questo non avrebbe dovuto essere considerato una base sufficiente per trarne conclusioni operative.
Più in generale, in questo modo si rischia involontariamente di svilire il fondamentale ruolo del Parlamento di indicazione e di controllo delle linee di azione al cui interno deve muoversi il Governo. Perdersi nei dettagli e scendere nella micro-gestione compromette la possibilità e capacità di tutelare gli interessi generali del Paese, proprio quello che più manca nel nostro sistema politico.
Per questo è importante la decisione presa a marzo dal Ministro della Difesa di avviare la preparazione del Libro Bianco come primo atto del suo incarico e considerando il dibattito parlamentare che ha evidenziato le preoccupazioni, ma anche il disorientamento della nostra opinione pubblica.
Questa iniziativa, a quasi trent’anni dalla precedente (in mezzo ve ne è stata una più limitata) avrebbe dovuto essere tenuta in maggior conto in sede parlamentare: si sarebbe così evitato di anticipare richieste e proposte che rischiano di condizionare una riflessione collettiva che dovrebbe, invece, essere più aperta possibile.
Maggiori dubbi e perplessità possono sorgere esaminando alcune parti dei documenti parlamentari, e in particolare su quello presentato dal PD.
Nella premessa viene apprezzata l’intenzione del Ministro di presentare un Libro Bianco sulla sicurezza e difesa, ma poi si procede come se fosse inutile decidendo in anticipo quali equipaggiamenti tagliare.
Si richiede, inoltre, di “votare” la relativa “proposta definitiva”. Ma un Libro Bianco disegna uno scenario e presenta le conseguenti linee di azione: a dover essere approvate saranno solo le eventuali misure che ne dovessero conseguire, non il Libro Bianco in sé. Altrimenti alla confusione sui rapporti fra Parlamento e Governo e sulle competenze delle due Istituzioni, si sommerà anche quella sul ruolo e significato del Libro Bianco.
Un’altra richiesta anomala riguarda l’utilizzo dei recenti lavori parlamentari come “linee guida” del Libro Bianco, mentre, data la loro natura, potranno essere solo un valido contributo.
I tagli ai programmi
Nella parte relativa all’Esercito si critica il programma Forza Nec in quanto solo nazionale, dimenticando che la prospettiva di collaborazioni europee, sempre aperta e perseguita da parte italiana, dipende però dalla disponibilità dei partner.
Non si può condizionare l'ammodernamento delle forze terrestri ad un accordo in ambito europeo o Nato: le capacità net-centriche sviluppate dalle forze navali e aeronautiche comportano che anche quelle terrestri si adeguino.
Bisogna, inoltre, maturare esperienze, competenze e capacità che possano essere messe sul tavolo europeo per non doversi limitare a prendere solo quello che i nostri partner ci offriranno. Uno dei vantaggi del programma Forza Nec è proprio la sua flessibilità e lo sviluppo a spirale basato sul miglioramento dei mezzi in servizio che potrà essere meglio adattato ad eventuali futuri accordi europei. Ma, nel frattempo, questo ci consente di migliorare le capacità operative nazionali.
Nella parte relativa all’Aeronautica ci si concentra sulle critiche al cacciabombardiere F 35. Ed è questa alla fine su cui si è concentrata l’attenzione della stampa come se i problemi della Difesa italiana fossero riconducibili solo a questo.
Oltre alle riflessioni già avanzate su AffarInternazionali, emergono queste contraddizioni:
1) Eurofighter e F 35 non sono concorrenti, come viene sottinteso. Un intercettore e un cacciabombardiere nascono intrinsecamente diversi e possono essere solo parzialmente utilizzati nell’altro compito. Per questo Regno Unito e Italia hanno previsto di averli tutti e due.
2) Non esistono alternative all’F 35, come viene ipotizzato. A meno di non investire una montagna di soldi per continuare a far volare velivoli che fra breve saranno molto vecchi o per cercare di dare capacità di attacco al suolo a velivoli nati per svolgere altri ruoli. Per altro, non si dice che il costo finale dell’Eurofighter oltre ad essere molto più alto di quello inizialmente previsto, è ancora oggi più elevato di quello dell’F 35.
3) Non si riconosce che la partecipazione industriale dipende anche dal nostro impegno nel programma. La strategia basata sulla Faco di Cameri può essere vincente solo se vi si produrranno un numero adeguato di velivoli in tempi ragionevoli. In caso contrario sì che il costo dei velivoli italiani esploderà: utilizzare un impianto previsto per un minimo di 130 velivoli per costruirne 45 sarebbe una follia economica, a prescindere dalla perdita di posti di lavoro. È, inoltre, sulla base di questa esperienza che si potrà poi farne un centro per la manutenzione e l’aggiornamento dei velivoli localizzati in Europa. Infine, ci si dimentica che con la cessazione della produzione dell’Eurofighter vi saranno migliaia di esuberi a meno che, per lo meno in parte, vengano riassorbiti dall’F 35.
4) Dimezzare lo stanziamento previsto, come viene richiesto, non significa molto, considerando che comunque questa, come la precedente, rappresenta una previsione e non un impegno giuridicamente vincolante. Il programma procede sulla base di ordini annuali: fra dieci anni saranno altri a decidere cosa fare.
Nella parte relativa alla Marina, si ipotizza la possibile rinuncia ad una seconda unità portaeromobili. Ma in questo modo la nostra capacità aeronavale sarebbe ad intermittenza, inutilizzabile nei periodi di fermo per manutenzione ordinaria e straordinaria della Cavour.
Ma, anche in questo caso si sta ripetendo per l’ennesima volta lo stesso errore: si tagliano o riducono i programmi o, invece, come nel caso della legge di stabilità, se ne avviano di nuovi senza nessuna logica interforze e bilanciata e senza nessun quadro di riferimento predefinito.
Michele Nones è Direttore dell’Area Sicurezza e Difesa dello IAI.
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