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lunedì 13 febbraio 2017

Ricerca arametrale n. 508 Notizie del 3 Febbraio 2017.

Oggetto Newsletter : Brexit, Balcani, Sudamerica
Newsletter n° 508 , 3 febbraio 2017

Londra comincia a fare sul serio sulla Brexit. Dopo 
la sentenza della Corte Suprema, che aveva rimesso
 il Parlamento al centro del processo di attivazione
 formale dell'uscita del Regno Unito dall'Ue, la
 Camera dei Comuni ha approvato con 498 sì (e 114 no) 
un testo che autorizza il governo di Theresa May a 
invocare la clausola di recesso prevista dal Trattato
 di Lisbona. Quali saranno le incognite e le prospettive 
del negoziato che prende così forma, mentre i leader
 dei Ventotto si incontrano oggi a Malta per un Vertice
 informale che avrà al centro la questione migratoria?
 In America Latina, intanto, si preparano i prossimi turni
 elettorali e il continente potrebbe virare a destra: ci sarann
o dei nuovi Trump anche a sud di Washington?

Anno nuovo, vecchie tensioni
Serbia-Kosovo: il treno delle provocazioni
Cristian Barbieri
01/02/2017
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Il 2017 è iniziato nel peggiore dei modi per le relazioni Serbia-Kosovo. Il 16 gennaio avrebbe potuto essere un giorno storico per la minoranza serba in Kosovo: le ferrovie serbe avevano programmato, infatti, il primo treno, da 20 anni a questa parte, diretto dalla capitale Belgrado a Kosovska Mitrovica/Mitrovice, cittadina del nord del Kosovo simbolo della guerra del 1998/1999, tuttora divisa in due tra popolazioni di etnia serba e albanese e con pendente un progetto serbo di muro divisorio.

Il treno non è giunto a destinazione, fermato alla frontiera amministrativa perché reputato provocatorio dalle autorità kosovare per il rivestimento scelto dalle ferrovie serbe che recava la scritta “Kosovo è Serbia” in varie lingue, compreso l’albanese.

Il primo ministro del Kosovo, Isa Mustafa, ha scritto alla delegazione Ue denunciando il treno come un’aggressione, mentre Tomislav Nikolic, presidente della Repubblica di Serbia, ha condannato lo stop affermando di essere pronto a mobilitare le truppe presenti al confine, nell’area di Prokuplje, in caso cittadini di etnia serba venissero attaccati.

Da quando Pristina ha dichiarato la sua indipendenza dalla Serbia il 17 febbraio 2008 si susseguono continue provocazioni da ambo le parti, ma nei primi giorni del 2017 un altro importante evento ha ulteriormente destabilizzato la situazione.

Il 4 gennaio è stato infatti arrestato dalle autorità francesi all’aeroporto di Mulhouse Ramush Haradinaj, ex leader dell’Esercito di Liberazione del Kosovo e in seguito primo ministro del Paese, su applicazione di un mandato di arresto internazionale per crimini di guerra richiesto dalla Serbia.

Haradinaj è una figura di primo piano nella politica kosovara essendo alla guida dell’Aak, il primo partito d’opposizione nel Paese. La richiesta di estradizione è al momento all’esame del tribunale di Colmar in Francia e non è ancora chiaro se sarà accettata viste le forti implicazioni politiche.

Haradinaj è stato già due volte assolto dal reato di crimini di guerra dalla Corte dell’Aja per insufficienza di prove, ma voci su una possibile riapertura del suo caso presso le future Camere Speciali per i crimini in Kosovo si rincorrono frequentemente. La Serbia però vorrebbe un’estradizione rapida per poterlo giudicare.

La mediazione guidata dall’Unione europea 
Il 24 gennaio le più alte cariche di Kosovo e Serbia sono state convocate a Bruxelles per iniziativa dell’Alto Rappresentante Ue, Federica Mogherini. Il presidente del Kosovo, Hashim Thaçi ha reclamato la revoca del mandato di cattura nei confronti di Haradinaj, mentre il premier serbo, Ivica Dadic, ha confermato la linea dura sul non riconoscimento dell’indipendenza.

Segnali positivi sono comunque giunti dalla volontà di continuare il dialogo lasciando forti sospetti sulla strumentalizzazione dei due episodi, il treno e l’arresto. Episodi che mettono comunque in luce la troppa lentezza del riavvicinamento dei due Paesi, tentato sin dal 2011 quando l’allora Alto Rappresentante Catherine Ashton apri il dialogo Belgrado-Pristina: una serie di negoziati che hanno portato a un primo accordo nel 2013.

L’intesa sembrava spianare la via a un rappacificamento dei due Stati sotto l’egida dell’Unione europea, Ue, ma l’implementazione dei 15 punti concordati risulta difficile.

Diversi nodi sono venuti al pettine, come il problema dell’Associazione delle Municipalità serbe, che ha paralizzato il parlamento di Pristina sotto la minaccia dell’opposizione con i famigerati lanci di lacrimogeni in sala che furono d’attualità per tutto lo scorso anno.

I lavori sui 35 capitoli di adesione all’Ue con la Serbia procedono a rilento, mentre l’ultima sinergia Kosovo/Ue data ottobre 2015 con la firma dell’Accordo di Stabilizzazione e Associazione, primo passo di un lungo cammino verso un’eventuale integrazione europea.

Infine, la missione Csdp Eulex, la più ampia mai realizzata, per durata e numero di uomini, dal Servizio esterno dell’Ue, è stata molto vicina a chiudere i battenti lo scorso giugno: il malcontento su entrambi i fronti, serbo e kosovaro, è palese.

Malcontento ambivalente, perché la classe politica di entrambi i Paesi è favorevole a una conferma della Missione ma ne reputa il lavoro non soddisfacente, mentre le popolazioni, specialmente quella di etnia albanese in Kosovo, vorrebbero una cessazione del mandato per ottenere più indipendenza su settori chiave come la giustizia.

L’Ue sta facendo molto per il dialogo ma ogni piccolo pretesto è stato usato da ambedue le parti per minare il cammino comune e gridare al conflitto al fine di compattare l’opinione pubblica contro il nemico esterno e ottenere benefici, presentandosi come vittime, al tavolo delle trattative.

Nato, Usa, Russia, anche Italia, quanti interessi in Kosovo
Ampliando l’analisi non bisogna dimenticare la forte presenza internazionale Nato, 31 Stati contribuenti, tuttora di base in Kosovo. Seppur ridotta dalle 50.000 unità con cui intervenne nel 1999 alle attuali 4.289, la Kosovo Force (Kfor) è attiva in tutto il Paese facendo le veci di un esercito nazionale che secondo la risoluzione Onu 1244 del 10 giugno 1999, non può essere formato prima di un raggiunto accordo internazionale.

La Kfor ha una base principale, Film City, nella capitale Pristina, e due basi regionali una ad est del Paese, “Camp Bondsteel”, nella zona di Urosevaç/Ferizaj, gestita dall’esercito degli Stati Uniti, e una ad ovest, nella città di Peç/Peja, affidata all’Esercito italiano, “Villaggio Italia”.

A questo impegno, per l’Italia, si aggiunge la presenza dei Carabinieri della base Multinational Stabilisation Unit (Msu) a Pristina, con un totale di 551 unità, seconda nazione contribuente per numero di uomini.

L’elezione di Trump ha destato preoccupazione tra i politici kosovari poiché il Kosovo potrebbe essere uno dei primi tasselli a staccarsi in caso di disimpegno Usa in Europa.

D’altro canto la Russia, da sempre dalla parte della Serbia nel non riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo, ha allentato il suo supporto dopo l’annessione della Crimea, visti i naturali parallelismi delle due vicende, non mancando però di cedere lo scorso dicembre aerei e carri armati usati all’esercito serbo.

Se entrambe le superpotenze riducessero nei mesi a venire le loro influenze su Serbia e Kosovo e l’Ue non riuscisse a mediare, come fatto in passato anche attraverso la leva di una futura integrazione che perde sempre di più il suo appeal, il rischio di una escalation delle tensioni nel 2017, come già mostrato da questi primi due episodi, diverrebbe sempre più reale.

Cristian Barbieri è Assistente alla Ricerca del Programma Sicurezza e Difesa dello IAI (Twitter @Barbiericr).

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