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lunedì 20 febbraio 2017

Ricerca Parametrale n. 511. Notizie del 14 febbraio 2017

Oggetto Newsletter : Trump e l’Italia, l’Ue, il Golfo, la Siria
Newsletter n° 511 , 14 febbraio 2017

Fra telefonate e visite, Donald Trump comincia a tessere la tela
 delle relazioni bilaterali. Domani alla Casa Bianca arriva
 il premier israeliano Benjamin Netanyahu, in sintonia con
 il nuovo corso di Washington. L'aria per l'Ue si fa pesante:
 non mancano le critiche degli uomini di Trump all'indirizzo
 dell'euro e della Germania,. Nel Golfo ci sono reazioni
 differenziate al cosiddetto Muslim Ban, il divieto d'ingresso 
negli Usa bocciato dai giudici di San Francisco ma difeso 
con forza dal presidente. In Siria, cambiano gli scenari. 
In questo contesto l'Italia si muove cauta: dopo lo scambio 
telefonico tra Trump e il premier Gentiloni, Roma è stata laconica 
di commenti. Il nostro Paese non ceda alla tentazione
 di proporsi come partner privilegiato.

asa Bianca
Usa: Trump un passo avanti ai suoi critici
Giampiero Gramaglia
12/02/2017
 più piccolopiù grande
The Telegraph sostiene che c’è “del metodo dietro la pazzia di Donald Trump”, così che l’eterodosso presidente degli Stati Uniti riesce sempre a essere un passo avanti ai suoi critici.

Prendiamo, ad esempio, la vicenda del bando all’ingresso nell’Unione da sette Paesi musulmani e dei rifugiati, respinto a due riprese dalle Corti federali: tutti davano per scontato che l’Amministrazione sarebbe ricorsa in appello alla Corte Suprema, e magari, a conti fatti, lo farà pure; ma, intanto, Trump gioca in contropiede, annuncia un nuovo bando che presti meno il fianco ai rilievi legali e attua retate e deportazioni di immigrati, specie messicani, con la fedina penale sporca.

A tre settimane dall’insediamento di Donald, Washington è tutta una girandola di commenti e ipotesi. Giornalisti e vecchie volpi della politica devono ancora rendersi conto di quel che sta succedendo, a cominciare dal cambiamento di orari che turba, per ora, soprattutto i media europei: con Obama, e ancora prima con Bush jr, tutto o quasi succedeva la mattina; con Trump, tutto o quasi succede la sera tardi o a notte fonda e le notizie si rincorrono da noi con un giorno di ritardo.

Lo sconcerto è condiviso da partner e alleati. "Ci sono da affrontare nuovi approcci internazionali aggressivi, ma non necessariamente negativi, espressi da Trump e da Putin", sostiene il ministro degli Esteri italiano Angelino Alfano a Madrid, intervenendo al Congresso dei popolari spagnoli. E non a caso il libro in testa alle vendite di Amazon nell’ancor breve ‘era Trump’ alla Casa Bianca è l’inquietante ‘1984’ di George Orwell.

Per un tweet, Hillary batte Donald
Dopo il no al bando della Corte d’Appello federale di San Francisco, per una volta il tweet migliore è stato quello di Hillary Clinton: 3 a 0; e palla - forse - alla Corte Suprema. I tre giudici della Corte d’Appello - due democratici e un repubblicano - sono stati unanimi: gli avvocati del segretariato alla Giustizia non hanno dimostrato che il bando serviva a sventare un pericolo incombente.

La Corte Suprema, cui spetta l’ultima parola, è incompleta: ha otto giudici, quattro conservatori e quattro progressisti, mentre il nono, appena designato da Trump, Neil Gosuch, non è stato ancora confermato dal Congresso - e non lo sarà in tempo utile. È dunque possibile che la Corte si trovi in stallo, 4 a 4. Se così fosse, resterebbe valido il verdetto di San Francisco.

Il presidente dice di non crederci, mette in guardia i giudici avvilendo persino Gosuch, ritiene “politica” la sentenza e assicura che, alla prossima, vincerà a mani basse. Ma il rischio di smacco alla Corte Suprema c’è; e, allora, in viaggio per la Florida, dove va a giocare a golf con il premier giapponese Shinzo Abe, cambia tattica e annuncia il nuovo bando.

Sconfitte in Corte, vittorie in Senato
È tutto un ribollire di decisioni e di polemiche. Ma l’agenda, per ora, la fissa sempre lui: i tweet della notte chiudono la giornata appena trascorsa e segnano la successiva. Il ‘twittatore in capo’ vorrebbe anche impedire alle Agenzie federali di inviare aggiornamenti sui social o ai media, così da polarizzare l’attenzione su di sé: i suoi followers aumentano e l’intenso dibattito su fake news e post verità lo vede, inverosimilmente, nei panni dell’accusatore più che sul banco degli imputati, dove finiscono volta a volta i media, i suoi nemici - a partire dal miliardario George Soros - e i suoi potenziali rivali, come Mark Zuckerberg, che però smentisce le ambizioni presidenziali.

Se perde in Corte, Trump vince in Senato. Uno a uno, magari per il rotto della cuffia, i suoi ministri vengono sdoganati: Betsy De Vos, la miliardaria filantropa designata all’Istruzione, ma poco incline alla scuola pubblica, se la cava con il voto decisivo del vice-presidente Mike Pence, perché due senatori repubblicani le votano contro e finisce 50 a 50.

Incognite e contraddizioni di politica estera
Dopo tante telefonate difficili o addirittura burrascose con gli interlocutori internazionali - peggiore di tutte quella con il premier australiano Malcolm Turnbull, cui mette giù la cornetta -,Trump riesce a fare una telefonata ‘educata’ col presidente cinese Xi Jinping: lo rassicura che per gli Usa c’è una sola Cina - dopo le tensioni suscitate dai suoi primi approcci con Taiwan, la ‘altra Cina’.

Sono giorni intensi di politica estera: dopo le visite del giapponese Abe e di Federica Mogherini, che vede il neo-segretario di Stato Rex Tillerson, sta per arrivare l’israeliano Benyamin Netanyahu, con cui forse Trump scioglierà l’incognita dello spostamento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme - sì o no.

La Carnegie Foundation s’interroga se il presidente magnate può salvare la politica estera Usa, nell’era delle fake news e della Brexit. Il quadro è denso di cautele altrui e contraddizioni di Trump: Mosca è ben disposta, ma il Cremlino “non si fa illusioni sui miglioramento dei rapporti”; Pechino incassa le rassicurazioni, ma denuncia in un durissimo editoriale del Quotidiano del Popolo “l’ignoranza totale” sulla Cina della nuova Amministrazione; Teheran, colpita dal bando, reagisce ‘occhio per occhio, dente per dente’ e testa missili nel Golfo; i talebani giocano la carta dell’isolazionismo e invitano gli americani ad andarsene dall’Afghanistan (“Che vi serve stare qui?”); con Messico e Canada, oltre che Australia, va malissimo; invece, gli uomini forti al-Sisi ed Erdogan aspettano solo d’essere chiamati a Washington.

Il bando fa danni anche fra alleati più o meno presunti e affidabili. Lo Yemen revoca agli Usa l’autorizzazione a compiere missioni antiterrorismo sul proprio territorio con forze speciali, ufficialmente perché il primo raid ordinato dal presidente magnate ha ucciso diversi civili, tra cui alcuni bambini - nell’azione, morì pure un militare americano.

Nonostante le immagini orribili delle piccole vittime, la Casa Bianca continua a definire il raid "un successo". Per quel che conta, nel Paese in preda a una guerra civile, la decisione delle autorità yemenite è un elemento di disturbo rispetto alla volontà di Trump d’essere più efficace contro il terrorismo integralista di al-Qaida, che alberga ancora nello Yemen, e del sedicente Stato islamico.

Giampiero Gramaglia è consigliere per la comunicazione dello 

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