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lunedì 20 marzo 2017

Ricerca Parametrale 519. Notizie del 14 marzo 2017

Oggetto Newsletter : Trump, Nato, Egitto, Smart Cities
Newsletter n° 519 , 14 marzo 2017

Il disgelo fra Stati Uniti e Cina comincia a Mar-a-Lago?
 È nel resort della Florida di sua proprietà che Donald 
Trump dovrebbe ricevere a inizio aprile il leader cinese
 Xi Jinping, come anticipato ieri da alcune fonti di stampa 
Usa. Ma sul rilancio delle relazioni fra Washington e
 Pechino pesa la deriva protezionista delle politiche 
della nuova Casa Bianca. A Occidente, gli Alleati non
 se la passano meglio: il Montenegro attende il via
 libera americano per diventare il 29o Stato membro 
di una Nato impegnata a proiettare la sua azione 
verso il fianco meridionale. E in Egitto continuano 
le violenze contro i cristiani copti, nel silenzio delle
 istituzioni. Un futuro meno tetro lo promettono
 le 'smart cities', che in Italia tardano. 


Effetto Trump
Montenegro e Nato: un valzer per l’accesso
Cristian Barbieri
11/03/2017
più piccolopiù grande
Il Montenegro nei prossimi mesi potrebbe diventare il 29° Stato membro dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord al Vertice in programma il 25 maggio a Bruxelles.

Il condizionale resta però d’obbligo, in quanto sebbene il 2 dicembre 2015, sotto la spinta dell’Amministrazione statunitense a guida Barack Obama, il Montenegro sia stato invitato dal segretario generale Jens Stoltenberg ad entrare nell’Organizzazione,e il 19 maggio 2016 sia stato firmato il protocollo di accesso del Montenegro alla Nato, l’elezione di Donald Trump a 45° presidente degli Stati Uniti ha rallentato questo processo.

Le ratifiche del protocollo di adesione
L’articolo 10 del Trattato di Washington contempla la possibilità di adesione all’Organizzazione di nuovi Stati europei, previo assenso unanime di tutti gli Stati membri. Dopo la ratifica da parte del Parlamento canadese della scorsa settimana, mancano ancora le ratifiche di Spagna, Paesi Bassi e Stati Uniti, mentre l’Italia ha ratificato ed eseguito il protocollo di accesso lo scorso 9 novembre.

Le Cortes spagnole approveranno nelle prossime settimane il protocollo. Invece, per la ratifica dei Paesi Bassi si dovranno aspettare le elezioni del 15 marzo, ma la legge di approvazione era già stata discussa e approvata in prima lettura senza intoppi.

La più importante, e probabilmente ultima, ratifica dovrà arrivare dal Senato degli Stati Uniti d’America.La conferma del protocollo di accesso da parte del Senato, che sembrava una semplice formalità prima delle elezioni del novembre scorso, si potrebbe trasformare in un bivio sostanziale per le politiche del presidente Trump nei riguardi della Nato e dei Balcani.

Il disimpegno in Europa proclamato in campagna elettorale, si è poi trasformato in una più realistica rivalutazione di condivisione di costi e responsabilità sostenuta dalla risoluzione del Senato del 7 febbraio sul “fermo impegno” degli Stati Uniti nella Nato. Questa politica dovrebbe, teoricamente, andare contro un allargamento dell’Organizzazione.

Se un’azienda vuol spendere meno, è raro che il proprio amministratore decida di ampliarla. Immaginando il magnate americano come nuovo Ceo degli Stati Uniti, l’ampliamento parrebbe un paradosso. È per questo motivo che il Senato, il 12 gennaio, nell’esprimere parere favorevole all’ingresso di Podgorica nell’Organizzazione, ha posto come condizione che questo accesso non debba comportare ulteriori costi per gli Stati Uniti.

Uno Stato così piccolo, un dilemma così grande
Il reale rallentamento del processo, però, pare derivare più da ragioni politiche ed in particolare dai rapporti con la Russia. Mosca aveva già condannato il tentativo di influenza americano nella regione all’indomani dell’invito all’entrata del 2 dicembre 2015. minacciando ritorsioni.

Le pacifiche relazioni che Trump voleva tessere con Putin si scontrano, e potrebbero essere minate, dall’ingresso del piccolo Paese mediterraneo nella Nato. D’altro canto un roll-back degli interessi americani nei Balcani potrebbe lasciare un via libera a quelli russi.

Gli interessi russi in Montenegro sono evidenti: si va dai grandi investimenti economici privati sulle coste, dove casinò e hotel a 5 stelle di proprietà russa la fanno da padrone, fino alla posizione geostrategica posseduta da un Paese di stesse tradizioni religiose e linguistiche (ortodossia ed uso ufficiale dell’alfabeto cirillico) e con sbocco sul Mar Adriatico.

A questo quadro si aggiunga poi una spy-story, in pieno stile balcanico (si veda Francesco Ferdinando), che vedrebbe coinvolti agenti russi nel tentativo di assassinio del leader del partito Democratico dei Socialisti del Montenegro promotore dell’avvicinamento all’Occidente, Milo Đukanović, durante le elezioni parlamentari dell’ottobre 2016. Accuse ritenute infondate dal governo russo, ma che hanno fatto molta notizia in Europa, specialmente nei Balcani.

Đukanović è una figura ambigua della politica montenegrina: informalmente alla guida del Paese dal 1991, da quando ricopriva il ruolo di primo ministro nell’allora ex-Jugoslavia, è alla guida del partito di governo dal 1998 e si presenta come il promotore vincente del referendum sull’indipendenza del 2006. È considerato l’uomo più potente del Montenegro ed è accusato da più parti di gestire il Paese come un’azienda di famiglia con annesse ripetute accuse di corruzione.

Pro e contro l’adesione alla Nato
Un paese di 600.000 abitanti, con un esercito di sole 7.000 unità, quattro elicotteri a disposizione e 14 unità navali militari: la domanda viene spontanea, che benefici trarrebbe l’Alleanza dall’ingresso del Montenegro? Da un punto di vista strettamente numerico ben pochi. Ma basta guardare all’’ultimo allargamento del 2009, il sesto nella storia dell’Organizzazione, con l’adesione di Croazia e Albania, per trovare una prima risposta; la chiara vocazione balcanica dell’Organizzazione è insita in queste ultime due adesioni che sottolineano l’importanza strategica della regione nello scacchiere europeo.

Il Montenegro nell’Organizzazione significherebbe una chiusura del fianco sud-est europeo e adriatico a possibili influenze russe. La gestione dell’Adriatico sarebbe resa più fluida dal porto di Bar, l’antica Antibari, che già i romani fondarono con lo scopo di controllare meglio questo mare: lì, l’ampia profondità delle acque rende possibile l’approdo di grandi navi militari.

In più, l’accesso del Montenegro darebbe una rinnovata spinta alla politica di ampliamento dell’Alleanza, riportando in discussione l’entrata della Macedonia già inserita nel Membership Action Plan (MAP) dal vertice di Washington del 1999 e la cui adesione è bloccata solo dalla Grecia per la questione del nome, e una possibile integrazione futura del Kosovo, dove peraltro le truppe Nato sono già presenti con la missione Kfor.

Infine un Montenegro membro della Nato significherebbe un altro passo di Podgorica verso l’Europa, come sottolineato dall’ultimo rapporto della Commissione europeasul Paese del 2016. I preparativi per il matrimonio sono in dirittura d’arrivo: se lo sposo (o, almeno, gli Stati Uniti) non si tirerà indietro all’ultimo momento, le nozze saranno celebrate il 25 maggio al vertice di Bruxelles, con buona pace della Russia.

Cristian Barbieri è Assistente alla Ricerca del Programma Sicurezza e Difesa dello IAI (Twitter @Barbiericr).

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