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domenica 18 giugno 2017

Ricerca parametrale n. 545. Notizie del 6 giugno 2017

Legislative, primo turno
Francia: un solo scenario, Macron pigliatutto
Jean-Pierre Darnis
09/06/2017
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"L’elezione del presidente della Repubblica sta divorando le politiche". Cosi l’ex primo ministro Jean-Pierre Raffarin commentava recentemente la dinamiche delle legislative in Francia. La République En Marche, il partito creato dal neo presidente Emmanuel Macron, si sta affermando in molti collegi elettorali.

In poche settimane, il partito ha avviato la selezione dei candidati su basi curriculare, presentando una serie di facce nuove sul territorio. I partiti tradizionali, LesRépublicains a destra e il partito socialista a sinistra, sembrano ormai debolissime controfigure.

La destra i e socialisti ridotti a figuranti
La dinamica dell’elezione presidenziale aveva già mandato in soffitta il partito socialista, con un’emorragia di dirigenti traslata verso il candidato centrista. La nomina di Edouard Philippe a capo del governo, con l’insieme dei dicasteri economici affidati a politici di destra, ha rappresentato la seconda fase dell’operazione di conquista politica, quella dell’Opa su gran parte della destra.

Anche la decisione di riaprire le discussioni sulla riforma del mercato del lavoro ha dato un altro colpo ai Republicains, visto che questo tema era da decenni parte del Dna della destra. Destabilizzati dalle presenze significative al governo, i politici di destra rimangono poi senza voce tanto il programma lanciato dalla presidenza riprende idee che non possono criticare.

Un mese di presidenza ineccepibile
Bisogna costatare che il primo mese di presidenza Macron è stato ineccepibile. Il presidente si è subito distinto per un utilizzo della carica consono alla sua sacralità. Nonostante si serva puntualmente delle occasioni fornite dall’agenda presidenziale per apparire e parlare in pubblico, Macron presta molta attenzione a rimanere sull’altare presidenziale e a non ripetere gli errori commessi in passato sia da Hollande che da Sarkozy, i quali apparivano troppo dozzinali sia in termini morali che di frequentazioni vip.

Piccoli dettagli, come la decisione di festeggiare la sua vittoria di fronte alla piramide del Louvre, hanno delineato la ricercatezza nell'attenzione all’immagine. Macron si è recato nella base militare di Gao in Mali per esprimere il suo sostegno alle truppe, in puro stile presidenziale americano; ha colto il pretesto della visita ai cantieri navali di Saint Nazaire per chiedere una revisione dell’accordo con Fincantieri e apparire come il paladino della difesa dell’interesse industriale francese.

Ovvio che questa mossa abbia suscitato parecchio risentimento in Italia, perché ha riaperto una partita che sembrava già chiusa, ma Macron prosegue sulla sua strada elettorale dove ogni operazione è propedeutica alla conquista di ulteriori consensi.

Altro esempio, la decisione presa da Donald Trump di uscire dagli accordi di Parigi sull’ambiente ha suscitato un’importante reazione negativa mondiale. Macron ha colto la palla al volo con il tweet “Make Our Planet Great Again” diventato virale. Infine, il presidente non ha trascurato di essere presente alle finali della Coppa di Francia di calcio e del campionato di rugby, coltivando l’immagine di un presidente giovane e amante degli sport popolari.

Un Paese che si compatta intorno alla presidenza
Di fronte a questo impeccabile percorso, il Paese si sta compattando intorno alla presidenza della Repubblica. La vittoria elettorale è stata un incredibile colpo politico, ma quest’operazione ha cambiato il panorama. Le ragioni del disagio che aveva nutrito l’estrema destra e l’estrema sinistra sono ancora presenti. Ma la maggioranza dei Francesi appare stanca delle opposizioni osservate nella lunga campagna elettorale, durata almeno un anno includendo le primarie e caratterizzata da colpi di scena, opposizioni violente e minacce di destabilizzazione con programmi che mettevano a rischio la stabilità europea.

L’elettorato vuole voltare pagina. Emmanuel Macron ha vinto le presidenziali in modo brillante e esiste ormai un sentimento diffuso volto a sostenerlo dotandolo di mezzi politici atti a governare. Per questo motivo si è imposto lo scenario di una larga vittoria del partito “La République En Marche” alle politiche.

Subito dopo l’elezione di Emmanuel Macron molti analizzavano la situazione guardando alle passato e affermando l’impossibilità che un esercito di candidati sconosciuti potesse affermarsi nelle urne fino al punto di ottenere la maggioranza assoluta. Si ragionava anche sulle possibilità di maggioranze allargate ai socialisti o ai “républicains” nell’ambito di coalizioni oppure di maggioranze di scopo per votare alcune leggi.

Questi scenari sembrano ormai archiviati, tant’è grande la solidificazione del consenso intorno al presidente che dovrebbe sfociare nella maggioranza assoluta all’Assembla superando, anche di gran lunga, il traguardo dei 288 eletti. Anche se la legge elettorale maggioritaria francese crea un forte collegamento fra l’eletto e il suo territorio, non essendo previste liste nazionali, la slavina macronista è tale che molti francesi si accingono a votare il “partito del presidente” e ad eleggere un’intera classe di candidati pressoché sconosciuti.

Questa operazione rinforzerà il mandato del presidente che dovrà d’altro canto consegnare risultati. Il rinnovo inedito della classe parlamentare francese creerà delle complicazioni, senza dubbio, il che rafforzerà ulteriormente il potere della Presidenza della Repubblica sia come centro decisionale ma anche come expertise tecnica, essendo supportato da tecnici al governo.

È dai tempi del Gollismo trionfante, alla fine degli anni 1950, che la Francia non appariva cosi politicamente compatta, una Francia che potrà quindi lanciare una sfida ai partner europei, chiamati a rispondere alle spinte riformiste parigine.

Jean Pierre Darnis è Direttore Programma Sicurezza e Difesa IAI.


Lo chiamano le troisième tour: più che un appuntamento elettorale a sé, un vero e proprio terzo turno delle elezioni presidenziali. In effetti il voto per il rinnovo dell’Assemblea nazionale non solo è strettamente legato a quello per l’elezione del presidente, ma è, solitamente, nient’altro che la conferma del risultato della precedente consultazione.

In un sistema bipolare com’è - o meglio com’era, fino alla vittoria il 7 maggio di Emmanuel Macron - quello francese, gli elettori tendono a risintonizzarsi sulle stesse frequenze politiche del mese prima e la maggioranza dei seggi finisce per essere occupata da deputati allineati con il presidente. Ora che il bipolarismo è saltato, le cose non sono più così scontate.

L’incognita è soprattutto legata alla velocità con cui si è realizzata la svolta centrista dell’elettorato francese. Macron è sì riuscito a mettere ai margini la destra e la sinistra storiche, ma con un partito che è ancora allo stadio di debuttante: La République en marche - con cui si presenta alle legislative - è il figlio, con appena un mese di vita, di un movimento che ha da poco compiuto un anno. Senza contare che la meteora Macron si è accesa così velocemente anche grazie alla spinta anti-LePen che ha caratterizzato gli ultimi mesi della campagna elettorale.

Il rischio, qualora non confluissero sufficienti voti su La République en marche, è la cosiddetta coabitazione, come si definisce la situazione in cui maggioranza parlamentare e capo di Stato in carica appartengono a schieramenti opposti.

Si verificò sotto la presidenza di François Mitterand nel 1986 e nel 1993, e con quella di Jacques Chirac nel 1997; oppure, un’inedita, per la Francia, coalizione.Stando ai sondaggi, però, Macron dovrebbe seguire piuttosto il modello De Gaulle: le intenzioni di voto suggeriscono che il presidente otterrà una maggioranza simile a quella del padre della Quinta Repubblica nel 1968.

Presidenziali “mignon”
Come per l’elezione del presidente, il voto per il rinnovo dell’Assemblea Nazionale si distribuisce su due turni, il primo l’11 giugno, il secondo il 18. I seggi da occupare sono 577, così come i collegi uninominali in cui è diviso il territorio francese. Se nessun candidato raggiunge il 50%, la sfida si sposta al secondo turno, tra i due o più candidati che hanno ottenuto almeno il 12,5% degli aventi diritto al voto.

La possibilità di uno scontro a tre o a quattro è l’unica grande differenza tra legislative e presidenziali. Ed esattamente come per l’elezione del presidente, può succedere che al ballottaggio gli elettori che hanno visto sconfitto il proprio candidato decidano di utilizzare il loro voto più che per favorire la loro seconda scelta per sfavorire la terza.

Per questo l’estrema destra di Marine Le Pen, che oggi rappresenta almeno il 25% dell’elettorato, difficilmente potrà ottenere una percentuale equivalente di seggi alle legislative: è più probabile che gli altri partiti e rispettivi elettori si coalizzino, come per il ballottaggio con Macron, contro il Front National. Come nel 2012, quando il 13% di voti conquistati dal partito alle legislative non riuscì a tradursi in più di due seggi.

Per avere la maggioranza, Macron dovrebbe vedere vincere il proprio partito in almeno 289 collegi. Un capo di Stato che non sia sostenuto dall’Assemblea nazionale, in Francia, conserva il potere di decidere la politica estera e di difesa, ma non quello - da negoziare con gli altri partiti - di definire l’agenda di politica interna.

La République en marche e l’alleanza con MoDem
Un’ex torera professionista, un pilota intervenuto in Siria, un eccentrico studioso della matematica: sono solo alcuni tra i profili più caratteristici dei 526 candidati presentata da Emmanuel Macron. La vera originalità sta però nel fatto che si tratta - come nel 77% dei nomi scelti dal presidente - di personaggi estranei alla politica, o che non esercitano alcun incarico pubblico.

L’età media dei candidati è poi di 46 anni - contro i 60 dei deputati uscenti - a testimoniare che sull’idea di rinnovare il panorama politico francese Macron fa sul serio. È con questa squadra che il presidente spera di portare avanti la sua politica europeista e il suo programma di riforma del lavoro, sul quale - ha annunciato - ha già in mente di procedere per decreti, con l’obiettivo di superare entro la fine dell’estate un sistema che ad oggi “non crea occupazione né attrae investitori”.

Alleato de La République en marche, dopo qualche iniziale difficoltà, è il Movimento Democratico di François Bayrou, che ha ottenuto di presentare un centinaio di candidati nella stessa lista. Le circoscrizioni lasciate senza candidato non sono casuali: l’alleanza presidenziale non concorrerà dove sono schierate personalità già favorevoli a una collaborazione in Assemblea.

Marine Le Pen, “Voglio essere sola”
Consapevole di non avere il favore di altri partiti, il Front National corre da solo e schiera ben 571 candidati, quasi uno per ogni circoscrizione. Tra questi c’è la stessa Marine Le Pen: riluttante in un primo momento, la leader euroscettica si è infine decisa a concorrere per il seggio di Nord Pas di Calais, regione che le ha consegnato il 58% delle preferenze al secondo turno delle presidenziali. In generale, anche il Front National presenta una lista di giovani - età media 47 anni -,l’80% dei quali, tuttavia, già detentori di un incarico politico a livello locale.

C’era, inizialmente, una prospettiva di alleanza con il partito sovranista Debout la France, guidato da Nicolas Dupont-Aignan, ma l’accordo è stato presto sospeso. Quanto al programma, per il Fn la riforma del lavoro non sembra essere una priorità - almeno non quanto l’uscita dall’Unione europea e dall’Euro - e la proposta di Macron di realizzarla attraverso decreti sarebbe invece un tentativo di “colpo di Stato” al servizio delle grandi aziende.

La Destra in agitazione: Repubblicani e Udi
481 candidati, più i 146 dell’Unione dei Democratici e degli Indipendentisti, non bastano a rassicurare i Repubblicani, messi all’angolo dal ciclone Macron alle presidenziali e ora di fronte a un bivio: rivendicare l’identità di destra o scendere a patti con il presidente, che nel frattempo li ha attratti a sé nominando Édouard Philippe primo ministro e affidando a Bruno Le Maire e Gérald Darmanin i dicasteri dell’Economia e dei Conti pubblici. François Baroin, a capo della campagna repubblicana per le legislative, pende senz’altro per la prima ipotesi ed è anzi determinato a imporre a Macron una coabitazione con la “sua” destra.

Leggermente ritoccato il programma originario dell’ex candidato presidenziale, François Fillon. Resta la proposta di eliminare le 35 ore di lavoro settimanali e di riformare la tassa sul patrimonio, ma cambiano le posizioni su alcuni temi: tagli alla spesa pubblica più graduali, minore apertura verso i matrimoni gay, priorità alla creazione di“una vera Unione politica europea”.

La sinistra ambiziosa di Mélenchon
Per i sondaggi è ormai l’unica sinistra, sempre più avanti rispetto al Partito Socialista. Del resto è proprio l’obiettivo del leader della France Insoumise, Jean-Luc Mélenchon: diventare il punto di riferimento della sinistra a spese del vecchio, storico, partito, cui ha già sottratto un’ampia fetta di elettorato nella corsa all’Eliseo.

Anche la sua Francia ribelle fa il pieno di circoscrizioni, con una lista dicandidati giovani - ce n’eè uno di 19 anni -, per il 60% provenienti dalla società civile. Dovevano farne parte anche alcuni nomi del Partito Comunista, ma i rapporti tra le due sinistre sono andati deteriorandosi nel corso della campagna elettorale, fino al disfacimento dell’accordo.

Invariato il programma politico: garantire un salario minimo che favorisca i meno abbienti, abbassare l’età pensionabile, introdurre nuove misure a tutela dell’ambiente, rinegoziare i Trattati con l’Unione europea.Lo stesso Mélenchon è candidato a Bouches-du-Rhône, in Provenza, dove ha già riscosso un discreto successo alle presidenziali: neanche a dirlo, un vecchio bastione socialista.

Socialisti in crisi, ancora
Spinto sempre più al largo dall’estrema sinistra, la sua priorità ora è essenzialmente quella di sopravvivere. Il Partito socialista, in coda nei sondaggi, ha presentato oltre 400 candidature, lasciando le restanti circoscrizioni ai suoi alleati - i Verdi, l’Unione dei Democratici ed Ecologisti e il Partito Radicale di sinistra.

L’attuale programma politico abbandona alcune delle proposte dell’ex candidato presidenziale Benoît Hamon - come l’uscita dal nucleare - e si oppone, come già altri programmi avversari, all’idea del presidente Macron di riformare le regole del lavoro attraverso una serie di decreti.

Isabella Ciotti è giornalista.

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