Oltre alla conversazione con Taiwan, a complicare
le relazioni tra Washington e Pechino - sempre più
interessata al Mediterraneo - spunta anche un
progetto di legge a firma del senatore repubblicano
Marco Rubio. La data dell'insediamento intanto
vedersela anche con una nuova ondata di antiamericanismo arabo
di rimbalzo pungolata dagli hate speech della sua campagna elettorale.
Il tutto, mentre si prepara a nominare un nuovo giudice della Corte
Suprema. L’elefante repubblicano tornerà nella cristalleria dei diritti civili?
Unione europea Il Consiglio rimette la Difesa al centro Cosimo Risi 13/12/2016
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Il Consiglio europeo del 15 dicembre 2016 è chiamato a dare il via a tre iniziative in materia di sicurezza e difesa: piano d’azione per la difesa europea, attuazione della strategia globale nell’ambito della sicurezza e della difesa, attuazione della dichiarazione congiunta Ue-Nato di Varsavia.
Se a queste si aggiungiamo il piano d’azione per la difesa europea (Edap – European Defence Action Plan), abbiamo la rappresentazione, se non completa, quanto meno coerente della politica europea. Sappiamo cosa l’Unione pensa di fare in una materia a lungo negletta su cui, dal remoto 1954, è calato il silenzio.
Il Trattato di Lisbona aveva infatti illuminato il cono d’ombra con disposizioni innovative riguardo alla politica comune di sicurezza e difesa. Solo che dal 2009 tali disposizioni sono rimaste allo stato virtuale. La prossima uscita del Regno Unito dall’Ue incoraggia una discussione serrata sul “che fare” di leniniana memoria in materia di Psdc, proprio mentre le dichiarazioni del Presidente statunitense eletto mettono in discussione verità che sembravano acquisite una volta per tutte.
In principio fu Jean Monnet Riavvolgiamo il nastro della memoria per cercare di comprendere il perché dell’oblio e partiamo dagli anni quaranta del XX secolo. Perché “in principio è Jean Monnet, un costruttore dell’Europa unita” (Cosimo Risi e Alfredo Rizzo, con Vincenzo Camporini, L’Europa della sicurezza e della difesa, Napoli, 2016).
Nel 1940, quando l’avanzata tedesca in Europa pare incontenibile, Monnet pone il problema di difendere “la giustizia e la libertà contro l’asservimento ad un sistema che riduce l’umanità alla condizione di robot e schiavi” (Pascal Fontaine, Jean Monnet, actualité d’un bâtisseur de l’Europe unie, Paris-Lausanne, 2013).
La civiltà europea è in pericolo e solo lo sforzo congiunto delle democrazie può salvarla. Unirsi o perire, questo è il dilemma che Monnet pensa di risolvere in positivo: propugnando la necessità di un’Unione di Francia e Gran Bretagna, e cioè dei paesi che, diversi politicamente, condividono il medesimo patrimonio ideale. Una volta debellata la minaccia nazi-fascista, l’Unione franco-britannica è destinata ad essere il prodromo di un’unione talmente vasta da abbracciare buona parte del Continente. Tale è la visione dell’uomo di Cognac.
Monnet lancia il progetto di Dichiarazione d’Unione franco-britannica (Londra, 1940), in base alla quale: Francia e Gran Bretagna “non saranno più, all’avvenire, due nazioni, ma una sola Unione”; istituiranno organi comuni per la difesa e la direzione della politica estera; istituiranno un comune gabinetto di guerra; definiranno a termine l’unione politica e l’unione economica e finanziaria.
La costruzione promana dall’alto verso il basso, il processo è il frutto di una visione elitaria e di emergenza, i popoli parteciperanno all’Unione non direttamente ma tramite le rappresentanze dei rispettivi parlamenti nazionali. La cittadinanza comune sarà riconosciuta ai popoli, talché “ogni cittadino francese godrà immediatamente della cittadinanza in Gran Bretagna e ogni suddito britannico diverrà cittadino di Francia”.
Ceca promossa, Ced bocciata L’Unione franco-britannica, che pure riceve il parere favorevole di Londra e Parigi, non decolla. La Francia corre verso la disfatta. Il Primo Ministro Paul Reynaud dovrebbe ricevere a Concarneau il collega britannico per siglare l’intesa, ma alla vigilia è messo in minoranza in seno al suo governo, si dimette dall’incarico a favore di un nuovo Gabinetto che si appresta a trattare l’armistizio con la Germania.
Resta di quel periodo l’idea che la costruzione europea si fonda sulla cooperazione (meglio: l’unione) in materia di difesa e politica estera e che su questo pilastro si edifica l’unione economica e finanziaria.
La stessa visione porterà Monnet a concepire, dopo la guerra, la creazione della Ceca (Comunità europea del carbone e dell’acciaio) e della Ced (Comunità europea di difesa). La prima comunità ha successo ed i sei stati membri (Francia, Germania, Benelux, Italia) ratificano senza soverchie difficoltà, salvo che in Francia. La seconda finisce nelle secche del dibattito parlamentare francese e viene bocciata dalla convergenza di forze antitetiche (sinistra e destra) ma analogamente “sovraniste”, come oggi si direbbe.
L’Europa della Difesa imboccherà la pista giusta? Dal 1954, l’anno della bocciatura della Ced, il percorso dell’unione di sicurezza e difesa finisce sotto traccia per riaffiorare a varie riprese senza il reale convincimento di procedere. Resta da vedere se in questo scorcio del XXI secolo l’Europa stia per imboccare la pista giusta.
Il vertice del 15 dicembre non sarà certamente l’ultimo sull’argomento, il dibattito in seno all’Unione si trova alle battute poco che più che preliminari. I nodi da sciogliere sono numerosi e complessi: il rapporto con la Nato dopo Brexit, il rapporto con la Russia, soprattutto l’ammontare delle risorse da investire nella difesa. L’ultimo punto è rubricato sotto il nome asettico di burdensharing, ma politicamente non è asettico affatto.
Cosimo Risi è docente di Relazioni internazionali.
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