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mercoledì 21 dicembre 2016

Ricerca Parametrale n. 491. Notizie del 2 dicembre 2016

Oggetto Newsletter : Referendum, Austria al voto, Primarie francesi
Newsletter n° 491 , 2 dicembre 2016

Oltre al referendum, sul quale Affarinternazionali ha
realizzato uno Speciale, il 4 dicembre a tornare alle 
urne saranno anche gli austriaci per il ballottaggio
 presidenziale tra l'ex-leader dei Verdi Alexander
 van der Bellen e Norbert Hofer della destra nazionalista.
 Sarà l'ennesima vittoria del nazionalismo euroscettico?
 E in Francia, la vittoria alle primarie della destra di Fillon
 può sbarrare la strada a Marine Le Pen?


Elezioni in Europa

Francia
Con Fillon la destra cerca la riconquista dell’Eliseo
Jean-Pierre Darnis
29/11/2016
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François Fillon, già primo ministro francese di Nicolas Sarkozy nel 2010, si è aggiudicato le primarie della destra in Francia. Un successo che rappresenta anche una sorpresa: era infatti il ‘terzo uomo’, che certamente pochi si aspettavano di veder trionfare su Sarkozy, e su Alain Juppé, attualmente sindaco di Bordeaux e già ministro degli affari esteri ed europei proprio sotto la presidenza Sarkozy.

A determinare l’esito della corsa sono stati diversi fattori: in primis il voto negativo dell’elettorato, avverso all’ex presidente; la gestione capillare sul territorio della campagna elettorale e l’attenzione prestata alle istanze presentate dalle associazioni cattoliche; ma anche la finestra d’opportunità creata proprio dalla battaglia fra i due favoriti, Sarkozy e Juppé.

È la prima volta che la destra francese organizza delle primarie. Con un’affluenza di più di 4 milioni d’elettori si può parlare di un vero e proprio successo, nettamente superiore ai 2,6 milioni registrati dalle primarie della sinistra nel 2011.

Fillon, conservatore di rottura
Con l’archiviazione di Sarkozy, la destra francese volta pagina e sceglie con Fillon un candidato molto piu “classico”. Fillon è infatti un puro prodotto della provincia francese con un fortissimo radicamento nella regione della Sarthe, di cui è originario. Dallo stile diretto, molto apprezzato dai suoi elettori, Fillon offre l’immagine di un impeccabile notabile di provincia, cattolico praticante, dai toni estremamente pacati.

Una compostezza che non preclude la sua grande capacità di rappresentare il Paese reale, rivolgendosi direttamente ai ceti produttivi, artigiani e piccole aziende.

Il rapporto diretto con questo elettorato è in grado di spiegare anche le proposte più radicali del suo programma economico, che riprendono quelle istanze di semplificazione e di abbassamento della pressione fiscale profondamente sentite nella Francia industriale - quella che, ad esempio, organizzava le proteste in Bretagna, una zona che si è particolarmente mobilitata per il candidato. Fillon è anche sinonimo del ritorno alla destra classica, portatrice di valori che mal si conciliano con la personalità e la vita privata di Sarkozy.

Con questa commistione fra tradizionalismo e rottura, Fillon si è aperto una strada diretta verso l’elezione a presidente della Repubblica. Ma alcuni interrogativi rimangono. Fillon offre infatti un mix fra ideologia di rottura (l’imprinting di un certo liberalismo di ispirazione thatcheriana con richiami a scelte d’ispirazione cattolica conservatrice) e un forte attaccamento al territorio e ai valori tradizionali.

Se la destra torna in corsa perl’Eliseo
Il successo nelle primarie equivale all ritorno della destra classica- gollista e centrista - nella corsa all’Eliseo come alternativa ad un quinquennio di gestione socialista percepita in modo catastrofico.

Se da un lato l’offerta ideologica di Fillon potrebbe creare una linea compatta contro il partito di Marine Le Pen, il Front National, con una proposta accattivante sia per i valori (conservativismo cattolico) che per le proposte radicali in ambito economico, lo scenario risulta tuttavia ancora lontano dall’essere completamente definito, per una serie di ragioni.

All’interno del Front National è forte la tendenza - ben illustrata da Florian Philippot - ad attrarre il voto popolare, dei ceti operai ed impiegatizi colpiti della crisi e sensibili alle problematiche di identità.

Nella situazione di grande disordine in cui versa la sinistra francese, al momento non si vedono opportunità di raggruppamento dei socialisti e dei loro potenziali alleati attorno ad un candidato in grado di passare il primo turno delle presidenziali.

A sinistra esiste un forte desiderio di sbarazzarsi di Francois Hollande, come a destra c’era la voglia di eliminare Sarkozy, ma Hollande, in quanto presidente, rimane fulcro del gioco e sembra difficile scavalcarlo completamente. Un’impasse che per la sinistra potrebbe anche comportare un notevole ritardo sul calendario elettorale.

“Fronte Repubblicano” vs Front National?
Esiste quindi il rischio che la sinistra si presenti in ordine sparso e venga spazzata via dopo il primo turno della corsa all’Eliseo. In questo caso Fillon rappresenterebbe l’unico candidato di un “fronte repubblicano” che dovrebbe opporsi a Le Pen.

In assenza di un candidato socialista con forte legittimità che chiami gli elettori a confluire su Fillon, al secondo turno si potrebbe assistere a una netta dispersione dei voti di sinistra, che, nella loro parte anti-sistema, potrebbero parzialmente convogliare al Front National. Questa, la cosiddetta questione del “serbatoio di voti al secondo turno” è fondamentale per Fillon, che deve assolutamente allargare il suo bacino di votanti. Sembra che abbia mobilitato molto bene il campo della destra classica,ma questo non sembra ulteriormente estendibile.

Sono molte infatti le componenti della società francese fuori del raggio del voto Fillon; fra di esse i giovani dei centri urbani e i francesi immigrati o di origini immigrate. Una Francia decisamente moderna o addirittura post moderna, sfaccettata sia nelle origini che nei modelli di organizzazione familiare, che non si può ritrovare istantaneamente nella faccia pulita del fillonismo.

Rimane quindi in salita il percorso del nuovo leader della destra francese, che dovrebbe paradossalmente augurarsi un ricompattamento della sinistra, garanzia importante della tenuta di fronte ai populismi rappresentati dal Front National.

Jean-Pierre Darnis è professore associato all'università di Nizza e direttore del Programma di ricerca su sicurezza e difesa dello IAI (Twitter: @jpdarnis).
Dopo gli tsunami Brexit e Trump, il prossimo appuntamento con la marea populista è quello del 4 dicembre in Austria (in Italia il populismo c'è, eccome, sia a destra che a sinistra e anche al centro, ma non fornisce la chiave di lettura dell'esito del prossimo referendum).

Una consultazione, quella austriaca, dalle conseguenze infinitamente meno sconvolgenti, e tuttavia significativa in quanto misurerà l'incidenza di quegli stessi fattori socio-culturali - rivolta contro l'establishment, sfida al politically correct, paura dell'immigrazione incontrollata, insofferenza contro l'Unione europea - anche in un Paese di vecchia democrazia dell'Europa centrale.

Come alcuni ricorderanno si tratta della ripetizione del ballottaggio per l'elezione del Capo dello stato tenutosi in maggio, vinto dal candidato di sinistra con un margine di soli trentamila voti e poi annullato per irregolarità di poco conto, del tutto irrilevanti ai fini dell'esito del voto.

Al primo turno gli elettori avevano voluto dare uno schiaffo ai due partiti tradizionali (tuttora al governo in una poco armoniosa “grosse Koalition”) eliminando i loro candidati e consegnando il ballottaggio a due outsider: l'ex-leader dei Verdi Alexander van der Bellen e il numero due dei “libertari” (destra nazionalista) Norbert Hofer.

Un nuovo rinvio, questa volta dovuto a un difetto tecnico delle schede già ristampate, ha prolungato di altri tre mesi la vacanza della più alta carica della repubblica.

Effetto populismo in Austria
Chi aveva previsto la rimonta nello sprint finale dei leavers inglesi e poi di Donald Trump, intuendo che i sondaggi sottovalutavano l'effetto “populismo” (anti-politica, gusto dello schiaffo anonimo, nazionalismo) prevede ora per analoghe ragioni una vittoria di Hofer, pur in svantaggio di due punti negli opinion polls.

Durante la campagna della primavera scorsa l'esponente della Fpoe aveva indicato una propensione ad interpretare in modo estensivo la funzione del Capo dello stato, che nella costituzione materiale, o prassi, è analoga a quella del nostro Presidente della repubblica, ma secondo la Costituzione scritta comprende il potere di licenziare il governo.

Ultimamente ha messo in sordina questa velleità interventista e puntato invece sull'immagine di padre di famiglia, giovane, sorridente, moderato, rassicurante, in grado di rappresentare degnamente il Paese all'estero.

Al futuro di Hofer è legato quello di Strache 
Se eletto, non sarà in grado di riorientare la politica estera dell'Austria; ma, nel giro di un paio di anni, potrebbe facilitare in qualche misura l'avvento del ben più battagliero Strache alla Cancelleria (verosimilmente in coalizione con i “popolari”, cioè i cristiano-democratici).

Questa sarebbe, sì, una svolta preoccupante. Non nel senso di un rigurgito di vecchie ideologie autoritarie, fascistoidi, razziste (come all'estero alcuni commentatori solo superficialmente informati non mancheranno di sostenere), ma di una affermazione della retorica nazionalista ed euro-scettica, unita al rifiuto di subire l'ondata migratoria. Un'involuzione, insomma, simile a quella della Polonia e dell'Ungheria.

Kurz, l’uomo per scongiurare l’allineamento con il gruppo di Visegrad 
Le speranze di chi teme questa prospettiva di allineamento con il gruppo di Visegrad si appuntano non tanto sul socialdemocratico Kern, Cancelliere da alcuni mesi, con solide credenziali di manager ma visto come incarnazione della continuità; bensì sul giovane e dinamico Sebastian Kurz, astro in ascesa del partito democristiano OeVP e Ministro degli Esteri.

Kurz ha fatto inarcare qualche sopracciglio, anche da noi, non esitando a dire quello che molti pensano, ma per lo più non osano esprimere, sull'incompatibilità della Turchia di Erdogan con i valori dell'Ue e sulla necessità di frenare (non vietare del tutto) l'afflusso di rifugiati e migranti. Ma quel che conta è che offre una credibile alternativa di centro-destra alla destra di Strache, una alternativa europeista alla deriva populista, lepeniana, anti-europea.

Francesco Bascone è Ambasciatore d’Italia.

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