ALBO D'ORO NAZIONALE DEI DECORATI ITALIANI E STRANIERI DAL 1792 AD OGGI - SITUAZIONE

Alla data del 31 MARZO 2023 sono stati inseriti in modo provvisorio:
Decorati individuali 3800
Decorati Collettivi 162

Lo Stemma della Associazione Seniores dello IASD

Associazione Seniores dello IASD: il blog

Il Blog della Associazione Seniores dello IASD è:
www. associazionesenioresiasd.blogspot.com

per ogni contatto: senioresiasd@libero.it

Traduzione

Il presente blog è scritto in Italiano, lingua base. Chi desiderasse tradurre in un altra lingua, può avvalersi della opportunità della funzione di "Traduzione", che è riporta nella pagina in fondo al presente blog.

This blog is written in Italian, a language base. Those who wish to translate into another language, may use the opportunity of the function of "Translation", which is reported in the pages.

Translate

Palazzo Salviati. La Storia

chi avesse note, notizie, documenti e indicazioni riguardante Palazzo Salviati è pregato di inviarlo all'indirizzo e mail quaderni.cesvam@istitutonastroazzurro.org



Cerca nel blog

mercoledì 25 gennaio 2017

Ricerca parametrale n. 503. Notizie del 17 gennaio 2017

Oggetto Newsletter : Immigrazione, l'America di Trump, Brexit
Newsletter n° 503 , 17 gennaio 2017

Domani arriva nel Parlamento italiano il pacchetto immigrazione. 
A presentarlo - di rientro da un tour internazionale - 
sarà il ministro dell'Interno Marco Minniti, che ha annunciato
 la riapertura di venti Centri di identificazione ed espulsione 
(Cie) al massimo da cento posti ciascuno. A Washington
 si prepara intanto l'inaugurazione della presidenza Trump,
 mentre il magnate etichetta la Nato come "obsoleta",


L’America di Trump
Se le aziende gringas pensano al rimpatrio
Carlo Cauti
13/01/2017
 più piccolopiù grande
Il presidente-eletto Donald Trump non ha ancora prestato giuramento a Washington e già sembra che parte delle promesse fatte durante la campagna elettorale si stiano realizzando. Anzi, autorealizzando.

La prima riguarda la nuova fabbrica di autoveicoli che la Ford aveva progettato di costruire in Messico, investendo 1,6 miliardi di dollari. Piano cancellato e fondi dirottati verso lo stabilimento già esistente di Flat Rock, in Michigan, generando 700 nuovi posti di lavoro nel cuore della Rust Belt.

Esultano sindacati e colletti blu della regione considerata come il nuovo cuore del trumpismo, mentre a sud del Rio Grande la notizia è presa come una stangata. Se questo è un piccolo anticipo di quello che accadrà nei prossimi quattro anni, per il Messico, e più in generale per buona parte dell’America Latina, l’orizzonte si preannuncia funereo.

Le grandi di Detroit pensano di invertire il processo di delocalizzazione produttiva
E a nulla è valsa la precisazione della Ford sulla nuova Focus, che verrà comunque prodotta nella fabbrica già esistente di Hermosillo, nello stato di Sonora. La decisione della casa automobilistica di Detroit ha provato per la prima volta che invertire il processo di delocalizzazione produttiva non solo è pensabile, ma anche concretamente possibile.

E non è stato necessario neanche un executive order presidenziale. Nelle scorse settimane numerose altre aziende statunitensi hanno annunciato che rimpatrieranno parte delle proprie attività produttive, o che stanno analizzando questa possibilità. Tra loro anche la Apple. In altri casi, invece, sono stati annunciati nuovi investimenti in fabbriche Usa, come ad esempio per Fiat-Chrysler.

Tuttavia, per i Paesi che maggiormente hanno beneficiato della massiccia delocalizzazione produttiva dagli Usa verso i loro rispettivi territori nazionali, il rischio è la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro e l’impoverimento di intere regioni, che con l’apertura di fabbriche di gringos hanno conosciuto per la prima volta un netto miglioramento delle loro condizioni di vita.

L’economia messicana teme l’arrivo di Trump
In America Latina lo scenario è molto variegato. Brasile, Messico e Argentina sono le tre principali economie della regione, rappresentando il 70% del Pil in America Latina e nei Caraibi. Il Messico è il Paese che subirà il maggiore impatto nel caso in cui le riforme promesse da Trump in campagna elettorale divenissero realtà.

Il presidente-eletto ha promesso di rivedere, o addirittura denunciare, il North American Free Trade Agreement (Nafta), di aumentare pesantemente i dazi doganali, tassare le rimesse dei lavoratori messicani, deportare 11 milioni di immigrati clandestini e obbligare il Paese vicino a pagare per la costruzione di un muro di confine che dovrebbe sigillare la frontiera.

La principale minaccia è naturalmente quella legata al commercio, dato che circa il 90% dell’export messicano ha come destinazione finale gli Usa, corrispondendo al 28% del Pil del Messico.

Per quanto riguarda le rimesse, ogni anno i lavoratori messicani emigrati negli Usa, che con il loro lavoro contribuiscono alla formazione dell'11% del Pil statunitense, inviano circa 24-26 miliardi di dollari alle famiglie rimaste dall’altro lato del confine. Si tratta della seconda fonte di valuta pregiata per il Messico e un reddito fondamentale per centinaia di migliaia di persone, che se intaccato provocherebbe sconquassi sociali.

Infine, la questione del rimpatrio dei migranti e del muro avrebbe un effetto dirompente sul tasso di disoccupazione messicano, oggi al 3,9%. Una percentuale tenuta artificialmente bassa grazie al deflusso di manodopera verso gli Usa e dai disincentivi governativi a iscriversi tra le liste dei disoccupati, potrebbe esplodere se le promesse fatte da The Donald dovessero concretizzarsi.

Lo shock esterno che il Messico rischia di subire nei prossimi mesi è talmente violento che, non a caso, la sera stessa in cui Trump ha vinto le elezioni, l’8 novembre, il peso si è deprezzato di oltre il 13% nei confronti del dollaro. Un tonfo che segue la perdita del 10% accumulata durante il periodo di campagna elettorale. Il giorno dopo la Borsa Valori di Città del Messico ha perso il 3,18% e grandi banche come Citibank, Banorte e JP Morgan hanno tagliato le prospettive di crescita del Pil dal 2,3% all’1,1%.

Tuttavia, il magnate messicano Carlos Slim, tra gli uomini più ricchi del mondo, ha chiarito che il livore verso il Messico espresso da Trump negli ultimi mesi ha risposto alle esigenze immediate della campagna elettorale, mentre le contingenze reali di medio e di lungo periodo potrebbero essere molto diverse.

Modificare il Nafta, infatti, inciderebbe su oltre 7 milioni di posti di lavoro tra Usa e Messico che dipendono dal Trattato, così come sulla fabbricazione di molti prodotti americani realizzati sulla base di manufatti messicani. Un terremoto per l’economia messicana, ma le cui onde d'urto raggiungerebbero gli stessi Usa.

Brasile, effetto Trump sulle merci cinesi
Il Brasile, dal canto suo, sta attraversando una profonda recessione, e l’elezione di Trump mette in dubbio la possibile ripresa prevista per il 2017. Anche se non è tra i principali partner commerciali degli Stati Uniti, il Brasile dipende fortemente dall’interscambio con gli Usa, che rappresentano il 12,4% delle esportazioni brasiliane, il 17,1% delle importazioni e il 14% degli Investimenti diretti esteri (Ide).

La differenza con il Messico è che il Brasile non esporta manufatti, ma principalmente commodities, che per loro stessa natura non minacciano posti di lavoro americani, e che risulterebbero indispensabili nel caso in cui Trump concretizzasse il suo piano di massicci investimenti pubblici in infrastrutture.

Inoltre il commercio bilaterale è fortemente positivo per gli Usa, avendo toccato punte di 11 miliardi di surplus, e la composizione dei beni esportati in Brasile riguarda prodotti ad alto valore aggiunto e ad alta intensità di manodopera. il che tenderebbe ad escludere qualsiasi tentazione protezionistica.

Ma il Brasile potrebbe essere intaccato indirettamente, nel caso in cui Trump dovesse realmente applicare un dazio doganale del 35% sulle merci cinesi. Il probabile rallentamento dell’industria in Cina avrebbe un immediato effetto sulla domanda di commodities prodotte in Brasile, abbattendone il prezzo e riducendone la quantità esportata, e compromettendo così la ripresa brasiliana.

Infine, l’Argentina è probabilmente l’economia che verrà colpita meno direttamente dalla presidenza Trump, visto che gli Usa rappresentano solo il 5,7% dell’export argentino. Tuttavia gli Stati Uniti sono il primo Paese per flusso e stock di Ide in Argentina, che sta scommettendo sul suo recupero economico attraverso un indebitamento estero e che potrebbe essere intaccata dal cambiamento della politica monetaria della Fed, così come dalla riduzione del prezzo delle granaglie, anche in questo caso conseguenza di un possibile rallentamento cinese.

Se i tassi di interesse negli Usa dovessero iniziare a salire, a Buenos Aires avrebbero forti difficoltà per continuare ad attrarre capitali stranieri. E i profondi squilibri macroeconomici argentini potrebbero definitivamente deflagrare.

In conclusione, il periodo di bonanza economica che i Paesi latinoamericani avevano vissuto negli ultimi anni, caratterizzato da una congiuntura esterna favorevole, una traiettoria di crescita, un aumento del flusso di capitali in entrata e un alto prezzo delle commodities esportate sembra definitivamente tramontare con la futura presidenza Trump. La sfida per i governi locali sarà gestire gli inevitabili effetti provocati da questo brusco cambiamento di rotta.

Carlo Cauti è un giornalista italiano di base a São Paulo del Brasile.

Nessun commento: